Giacomo Pasquazzo, classe 1991, ultimo sindaco di Ivano Fracena prima della fusione del suo comune con Villa Agnedo, Strigno e Spera; ex assessore del nuovo Comune di Castel Ivano e alle ultime elezioni candidato (non eletto) nelle file dell'opposizione, seppur molto giovane, ha conosciuto la vita amministrativa di un piccolo comune da tutte le angolature: prima ne è stato la guida, poi l'assessore e infine (seppur da fuori) l'opposizione.L. Petermaier, "Trentino", 24 ottobre 2020
La sua è quindi una testimonianza interessante e competente sul tema oggetto del nostro "Caso della settimana": cosa succede ai piccoli comuni trentini? Perché la partecipazione dei cittadini è così ridotta ai minimi termini da non riuscire a presentare due candidati sindaci sfidanti in ben 56 municipi alle ultime elezioni?
Ecco, Pasquazzo, che succede? Le ragioni sono diverse. L'attuale sistema di governo dei comuni è incentrato sulla figura del sindaco, con una forte impostazione liberistica. Nella sua attività amministrativa il primo cittadino, soprattutto nei piccoli comuni, ha pochi freni. E se i suoi assessori "dormono", lui può esaltarsi ancora di più, nel bene e nel male.
Noi li abbiamo definiti dei "podestà" dei giorni nostri. È così? Guardiamo ai fatti: il sindaco ha i due terzi dei consiglieri assegnati, può nominare e revocare i suoi assessori, mantiene le principali competenze. Il centro dell'attività comunale è lui.
Questo garantisce governabilità e soffoca la partecipazione? Nella sua esperienza di sindaco è stato così? Io ho avuto la fortuna di avere una squadra coesa. Almeno una volta al mese ci trovavamo con tutto il gruppo che mi aveva sostenuto. Poi, una volta alla settimana, ci trovavamo come giunta e una volta ogni due come consiglieri comunali. Quindi, per quanto mi riguarda, ho cercato di mantenere un ampio confronto. Nella giunta di cui sono stato assessore, invece, le cose sono andate diversamente: con il gruppo di candidati che aveva sostenuto la lista ci siamo trovati due volte in cinque anni. Come vede, è il sindaco a dettare i tempi e i modi della partecipazione.
E il consiglio comunale, nella sua esperienza, che ruolo ha avuto? Del tutto accantonato, è come se non esistesse. Del resto, la giunta è nominata dal sindaco e questo potere oscura tutti gli altri. Ci vorrebbero dei correttivi alla legge.
Lei ha qualche suggerimento? A mio avviso dovrebbe essere scissa l'elezione del sindaco, che è giusto rimanga diretta, dal potere di nomina della giunta che dovrebbe passare dal sindaco al consiglio comunale. È una formula che si potrebbe sperimentare nei piccoli comuni. Il sindaco manterrebbe comunque i due terzi dei consiglieri assegnati e una solida maggioranza. Ma almeno si ridarebbe un minimo di dignità al consiglio comunale che potrebbe, ad esempio, sfiduciare un singolo assessore in quanto la giunta comunale risponderebbe al consiglio e non solo al sindaco.
Serve un riequilibrio dei poteri, lei dice, senza andare ad intaccare l'efficienza. Oltretutto questo renderebbe anche un po' più appetibile di quanto lo sia ora fare un'esperienza in un consiglio comunale... Certo e penso soprattutto ai giovani come me. Le nuove generazioni non hanno paura di impegnarsi, ma difficilmente scelgono a scatola chiusa. Se sanno di ottenere un po' di visibilità e di riconoscimento della propria individualità si impegneranno, altrimenti no. Del resto, tutte le ricerche dicono che i giovani di oggi, in politica, fanno molto più fatica dei meno giovani a riconoscersi nell'uomo solo. E oggi, più che sindaci, in molti piccoli comuni del Trentino abbiamo dei veri e propri commissari.
Lo è stato anche lei? Dica la verità... Non penso, ma avrei potuto. La mia era una giunta composta da tre persone. Mi sarebbe bastato nominare un "signor sì" e gli altri assessori potevano andare a pescare cinque anni.
Strapotere dei sindaci, dunque, ma anche ruolo delle minoranze da tutelare. Gli spazi dell'opposizione sono sempre più stretti. Lo conferma? Lo confermo, ma vorrei aggiungere un piccolo appunto. A volte i consiglieri di opposizione dovrebbero essere un po' più preparati e sapere che anche loro hanno a disposizione degli strumenti ostruzionistici per far sentire, nei limiti dei numeri, il proprio peso. Credo che andrebbe introdotta qualche forma di obbligatorietà di frequentazione dei corsi di preparazione organizzati dal Consorzio dei comuni.
Fusioni e comunità di valle "congelate": secondo lei hanno condizionato questa disaffezione dalla politica? Nelle fusioni la partecipazione c'è stata, ma forse per coglierne a pieno i benefici ci vuole del tempo. Quanto alle comunità di valle devono gestire servizi per conto dei comuni ed è bene che siano partecipate solo dai sindaci
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