Le forzature di Fugatti

Ringrazio il vicepresidente Tonina per le espressioni di stima che ha voluto usare nei miei confronti sull'Adige di ieri e soprattutto per aver auspicato la ripresa di un dialogo, in Consiglio provinciale, tra maggioranza e minoranze. Ma la base del dialogo non può essere certo quella proposta, sulla stessa pagina, dal presidente Fugatti.
Giorgio Tonini, 3 agosto 2020

Secondo Fugatti è suo diritto spendere i soldi dei trentini come vuole lui, perché lui ha vinto le elezioni. Al massimo, bontà sua, si impegna a "informare" il consiglio, nemmeno in aula, ma attraverso la prima commissione. Seguendo il ragionamento del presidente, la prossima legge di bilancio della Provincia potrebbe ridursi ad un comunicato stampa: «Il presidente della giunta provinciale informa di avere a disposizione 5 miliardi di euro e che farà sapere alla commissione competente come deciderà di spenderli». Eccoli qua, i "pieni poteri" sognati da Salvini. Non basta: il presidente Fugatti si lamenta pure che le minoranze in consiglio provinciale abbiano avuto qualcosa da ridire e che abbiano deciso di abbandonare l'aula, invece di stare lì ad accapigliarsi con la maggioranza su norme di dettaglio o ritagli di bilancio, mentre lui metteva nel cassetto della sua scrivania tutti i 350 milioni frutto della sudata, da lui, ma anche da noi, trattativa col governo.


In democrazia, presidente Fugatti, chi vince le elezioni acquista il diritto di governare, non quello di comandare. E il confine tra questi due concetti, dalla Magna Charta in poi, si chiama parlamento. È il parlamento, nel nostro caso il consiglio, che decide come si spendono i soldi dei contribuenti. Il governo, nel nostro caso la giunta e il suo presidente, ha già due poteri enormi: proporre come spenderli e, una volta autorizzato dal parlamento, aprire la borsa e spenderli.
Il presidente Fugatti sarebbe dunque dovuto venire in consiglio con una proposta articolata su come spendere i 350 milioni. Su questa proposta il consiglio avrebbe discusso, litigato, polemizzato e alla fine deciso, naturalmente a maggioranza. E il presidente, che pure è stato votato dalla maggioranza relativa e non assoluta dei trentini, dispone in consiglio di una maggioranza di 21 consiglieri a 35. Dunque ha tutto lo spazio per far passare le proprie proposte, senza calpestare le prerogative del parlamento della nostra autonomia.


E invece, il presidente Fugatti, non sappiamo se per incapacità o malizia, non ha portato in consiglio nessuna proposta. Al momento sul tavolo non c'è la più pallida idea di se, come e quando saranno spesi quei 350 milioni dei quali l'economia e la società trentina, alle prese con la più spaventosa e repentina recessione che la nostra generazione abbia conosciuto, avrebbero un drammatico bisogno. Al consiglio il presidente ha detto che non poteva avanzare proposte su come spenderli, già con l'assestamento, perché quei soldi non ci sono ancora, almeno fino a quando il governo non trasforma l'accordo con le regioni in una legge dello stato. Una posizione discutibile e criticabile, ma almeno formalmente corretta. In tal caso, la discussione e decisione su come impiegare le risorse sarebbe stata rinviata di qualche settimana, appena approvato il decreto nazionale, mediante il confronto in consiglio su una variazione di bilancio, ovviamente proposta dalla giunta.


Invece il presidente, mentre diceva al consiglio una cosa, ne faceva un'altra. Diceva che i soldi non c'erano ancora e quindi il consiglio non poteva discutere e decidere come spenderli. Ma intanto proponeva un subemendamento col quale li metteva in bilancio, parcheggiati nel fondo di riserva, al quale potrà attingere senza alcun confronto in consiglio. Al massimo, saremo informati su come deciderà di spenderli.


Naturalmente, mentre il consiglio veniva abilmente raggirato dalla volpe di Avio, il leone della Vigolana taceva. Il presidente Kaswalder ha riacquistato il dono della parola solo per rimbrottare le minoranze per la loro assenza in aula. Il ruggito del coniglio.