A31 vent'anni dopo. Riflessioni in forma di autointervista

Perché “vent’anni dopo”?
Perché il giugno 2000 è stato un momento molto importante nella storia del rapporto tra l’autostrada A31 e il Trentino. Giunsero sulla stampa noti-zie che riprendevano alcuni contenuti di uno studio firmato dalla Ata En-gineering. Contenuti che intendevano dimostrare che una Valdastico con uscita a Besenello sarebbe stata capace di togliere 25.000 veicoli al giorno alla Valsugana.
Emanuele Curzel, 28 giugno 2020


E non è così?
Certo che no. Lo si poteva capire abba-stanza facilmente, anche senza disporre del-l’intero studio (invero molto esile), sulla ba-se dei soli dati che furono pubblicati sul-l’Adige il 22 giugno 2000. Ma i titoli che ac-compagnavano gli articoli e il modo in cui furono presentati i dati (non solo sul-l’Adige) fecero dire a molti che sì, che l’A31 andava fatta. Io ero tra quelli.


Davvero?
Me lo ricordo bene. Per qualche minuto, forse un quarto d’ora. Abito a meno di 100 metri dalla Statale 47, nel punto più trafficato che è ancora a due corsie, di fronte a una collina che aumenta l’eco. Dal mattino alla sera il sottofondo è il rombo dei camion. Come dire di no a qualcosa che avrebbe tolto metà del traffico? Poi cominciai a incrociare i dati delle ta-belle, mi accorsi che qualcosa non funzionava e mi sentii preso in giro. La mia piccola battaglia per la verità delle cifre è cominciata lì. Ho cominciato a chiedere, a cercare di capire. E via via che le risposte non arrivavano – o che arrivavano conferme ai miei sospetti – cresceva la rabbia e il desiderio di parlarne.


Ma davvero quei dati contarono così tanto?
Sì. Non solo per il modo in cui vennero presentati ma anche perché fu scritto che venivano da uno studio fatto commissionare dalla Provincia (non era vero). E perché divennero la chiave interpretativa per leggere i dati successivi, quelli del 2002 e del 2004, che in forza di tale interpretazione furono presentati come se fossero la conferma di quei primi dati, anche se sostanzialmente li smentivano. È nel giugno 2000 che è nata, in Trentino in generale e in Valsugana in particolare, un’opinione pubblica solidamente convinta che la nuova autostrada avrebbe risolto i problemi di traffico della SS 47. Un mantra poi ripetuto costantemente per un ventennio da parte di tutti coloro che volevano sostenere la costruzione: serve “per ridurre il traf-fico e l’inquinamento in Valsugana”, come disse, per citarne uno tra gli ultimi, Maurizio Fugatti nel discorso programmatico al momento dell’inse-diamento, il 27 novembre 2018.


Allora Lei pensa che l’A31 non serva a ridurre traffico e inquinamento in Valsugana.
No, non serve. E non perché lo dico io: perché lo dicono quegli stessi studi che invece venivano posti a fondamento della propaganda favorevole alla nuova A31. Non me lo faccia raccontare per l’ennesima volta…


Va bene, non torniamoci sopra. E adesso, vent’anni dopo?
Sono successe tre cose importanti. La prima tra 2015 e 2016, quando la Provincia di Trento si è seduta al tavolo con la regione Veneto e il Ministe-ro portando con sé i dati di traffico. Che dimostravano (e dimostrano) l’inutilità di quel tratto autostradale che va da Piovene Rocchette a Bese-nello, per lo meno se si tiene conto degli interessi della Valsugana (e a maggior ragione del Trentino). Vedere che questo elemento ha contato nel-la discussione è stata per me una grande soddisfazione, un momento di fi-ducia nella capacità dell’essere umano di basarsi sulla razionalità. Peccato che vi fossero, allo stesso tavolo, fior di motivi di carattere politico, econo-mico e legale che impedivano al Trentino, da solo, di impedire la costru-zione della nuova strada. E allora, per tener conto di questi convitati sco-modi, ci si è inventati una formula: il collegamento avrebbe potuto essere costruito solo se fosse stato utile al Trentino. A questo punto la razionalità è stata un po’ messa da parte e – senza poter contare, penso, su stime sui flussi di traffico che sarebbero stati generati – si è pensato che potesse esse-re una buona idea il “corridoio” verso la Valsugana.
E con questo arriviamo alla seconda novità: sia l’ipotesi di uscita in Val-sugana sia quella, più recente, di uscita a Rovereto non sono state più ac-compagnate da calcoli sui flussi di traffico (o per lo meno le stime non sono state rese pubbliche). Non è difficile capirne il motivo: se già l’uscita a Be-senello avrebbe inciso poco, figuriamoci l’uscita a Rovereto; e uno sbocco a Caldonazzo farebbe invece persino aumentare il traffico da lì verso est, a danno della bassa Valsugana.
E poi c’è una terza questione, forse meno nota ma per me più importante, e che racconto con un certo imbarazzo.


Di che si tratta?
Chi mi ha sentito parlare di queste cose negli ultimi anni sa che la pietra tombale sulla questione sembrava essere stata posta dall’indagine “Quali trasporti per lo sviluppo della Valsugana e Tesino”, prodotta dall’Universi-tà degli Studi di Trento per la Comunità di Valle Valsugana e Tesino (data-ta 2013 su dati del 2009-10, resa pubblica nel 2014).
Quello studio riportava che sulla SS 47, all’esterno dell’abitato di Bor-go, il traffico era di soli 6.000 veicoli al giorno (un migliaio di pesanti, cin-quemila di leggeri: circa 8.000 veicoli equivalenti). Una cifra così bassa da far pensare che Borgo (la sua zona industriale, le sue scuole, il suo ospeda-le) fosse in grado di attirare ogni giorno svariate migliaia di veicoli in entra-ta e in uscita. Dato che il traffico di attraversamento poteva essere solo una frazione di tale cifra, e che quello che avrebbe potuto essere forzato a usare l’A31 solo una frazione della frazione, si giungeva a concludere che la Val-dastico avrebbe potuto far calare il traffico solo di pochissime migliaia di veicoli, anche meno dei 5-7.000 di cui si era parlato fino a quel momento. Ma nel 2019 il coordinamento NO-A31 ha fatto un controllo sui dati di traffico, un controllo che qualunque cittadino può fare facendo semplice-mente domanda di accesso alla Provincia. Ed è emerso che chi all’epoca aveva curato il rapporto si era servito di cifre (quelle fornite della centrali-na di Borgo, appunto) difettose, in palese contrasto con quelle raccolte ne-gli anni precedenti e negli anni successivi, che descrivono invece una situa-zione di crescita progressiva del traffico lungo la SS47 andando da est ver-so ovest: una descrizione della situazione molto più credibile.


Dunque siete stati voi del coordinamento a scoprire che... l’A31 serve davvero alla Valsugana?
Ma no, la sostanza della questione non è cambiata. Le cifre dicono co-munque che l’A31 sarebbe una soluzione molto, molto parziale ai problemi di traffico della Valsugana. È però significativo che in cinque anni nessuno si sia mai preso il tempo di verificare e discutere i dati che stavano alla base di quell’indagine (facilmente accessibili a chiunque). Nessuno, soprattutto, tra coloro che sono favorevoli alla A31, si è preso il tempo di fare qualche controllo e di denunciare l’errore; una denuncia che, in determinati conte-sti, avrebbe potuto davvero mettere in difficoltà chi si pronunciava contro l’A31. Questo la dice lunga sulla qualità del dibattito e su quanto davvero contano le valutazioni oggettive nel momento in cui soggetti economici e politici prendono decisioni sulla costruzione di una grande infrastruttura.


E allora forse non vale la pena di perdere tempo a discutere di queste cifre.
Già. Lo devo ammettere con una certa frustrazione, dato che una parte non piccola di quanto sono andato dicendo in questi anni si basava su que-sto. Non smetto di credere che le decisioni possano e debbano venire prese anche basandosi sulle previsioni che è ragionevolmente possibile fare, ma mi pare che questa “fede nei numeri” sia, almeno nel caso in questione, un culto di minoranza.


E allora, vent’anni dopo, a che punto siamo? Cosa ne pensa Curzel, l’autostrada verrà fatta?
No. L’autostrada A31 è morta. Una creatura già debole è rimasta schiacciata sotto le macerie del ponte Morandi.


Che vuol dire?
Il crollo del ponte Morandi, il 14 agosto 2018, non ci ha messi solo di fronte all’evidenza che bisogna curare meglio le infrastrutture esistenti e investire nella loro manutenzione. Non è stato solo un momento di rifles-sione sullo stato della nostra rete autostradale. È stata un’apocalisse, nel senso etimologico del termine: uno svelamento. È stato il momento in cui il concetto di “concessione autostradale” è entrato nel dibattito pubblico, a livelli che prima erano impensabili. So che molti di coloro che stanno leg-gendo diranno che non è vero, che lo sapevano anche prima. Ma quanti lo sapevano, oltre a noi? Dopo il crollo del ponte Morandi tantissimi hanno scoperto davvero come l’ente pubblico abbia lasciato spazio ad alcuni sog-getti privati nel governo di infrastrutture assolutamente pubbliche come le grandi vie di comunicazione.


E cosa c’entra questo con l’A31?
C’entra eccome. Per anni si è dovuto spiegare quanto antieconomica – non solo antiecologica – fosse la “diagonale” tra Vicenza e Trento. Chi tracciava quella diagonale sulla carta magari sapeva che in mezzo stavano massicci montuosi alti duemila metri – montagne carsiche abbastanza da rendere l’atto di bucarle tanto difficile quanto pericoloso – ma sosteneva che comunque l’autostrada non sarebbe costata nulla. Non l’avrebbe paga-ta mica l’ente pubblico: l’avrebbero pagata i “privati”, ossia la società con-cessionaria dell’A4, che possiede anche l’A31. Se qualcosa non costa nulla, per poco che serva, è sempre conveniente. Anzi: quel denaro “privato” avrebbe fatto bene all’economia, avrebbe dato lavoro agli uffici tecnici, agli operai, ai camionisti, all’indotto. Chi voleva spiegare come stavano davvero le cose doveva remare controcorrente per cercare di spiegare: non tutti sa-pevano come sono fatte le concessioni autostradali. Non tutti capivano immediatamente che tutto quel denaro – quelle decine di milioni di euro a km – sarebbe stato pagato da tutti coloro che percorrono e percorreranno la rete autostradale, tutto il sistema economico e sociale del Paese. Il crollo del ponte Morandi ha reso molto più facile far conoscere, e smascherare, questi meccanismi.


Lei dunque pensa che questo basti impedire la costruzione dell’autostrada?
Sia chiaro: gli argomenti per non costruirla – in quanto opera devastan-te dal punto di vista ambientale, impagabile dal punto di vista economico, quasi inutile dal punto di vista viabilistico – c’erano tutti anche prima. Ma ora è molto più facile spiegare, in qualunque dibattito, l’intreccio perverso che è stato creato nel momento in cui si è voluto legare il rinnovo della concessione sulla A4 alla costruzione dell’A31. Certe… dimenticanze più o meno interessate, nel dibattito politico o sui mezzi di informazione, non sono più possibili. E chi guarda la cronaca di questi ultimi mesi vede quan-to la società concessionaria, già incalzata dalle responsabilità relative al crollo del ponte Morandi e ora indebolita dal calo di traffico indotto dalla crisi del Covid-19, stia annaspando. Sono anzi convinto che la stessa socie-tà concessionaria stia cercando il modo per non farla, l’A31. I primi no-A31 sono quelli che dicono di volerla – anzi: di doverla – costruire.


“I primi no-A31 sono quelli che dicono di volerla – anzi: di doverla – co-struire”. Difficile da credere: ne è sicuro?
Non vorrei dare l’impressione di conoscere chissà quali retroscena: non è così. Ma sono rimasto impressionato dal comportamento del governo del-la Provincia autonoma di Trento nell’ultimo anno e mezzo. Fugatti era ed è sensibile, com’è noto, alle istanze politiche ed economiche del partito che lo ha fatto eleggere e che governa anche il vicino Veneto. Eppure, nel mo-mento in cui ha ripreso in mano la partita dell’A31, ha fatto carta straccia dell’accordo già raggiunto nel febbraio del 2016 (quello che apriva il “cor-ridoio” verso la Valsugana) e ha ignorato l’opzione tecnicamente meno as-surda, quella che prevedeva l’uscita a Besenello (e sì che bastava dare il via libera a quel tracciato per mettere in crisi la sentenza del Consiglio di Stato del 2019 che, in assenza dell’accordo con il Trentino su quell’uscita, aveva bloccato i lavori già pronti a partire in Veneto). Ha stracciato l’accordo già fatto e non ha pensato alla soluzione più facile. Perché l’ha fatto? Non certo per motivi elettorali: è dimostrato che l’elettorato delle aree non diret-tamente interessate alla questione (e a volte anche quello delle aree diret-tamente interessate) dà stabilmente la sua fiducia al centro-destra per altri motivi. L’unica spiegazione che ho è che si tratti di un gioco delle parti, di una posizione concordata con le autorità venete e i vertici della A4 Hol-ding. Quest’ultima è interessata solo a tenersi stretta la concessione sulla Brescia-Padova, non certo a buttare denaro per bucare le montagne che stanno al confine tra il Veneto e il Trentino. Ogni ostacolo politico posto sulla via della costruzione dell’A31, capace di provocare rinvii e slittamenti, permette di mantenere il controllo della Brescia-Padova senza muovere una ruspa. Domani è un altro giorno: e sono altri milioni guadagnati.


Un’ipotesi davvero strana…! Fugatti d’accordo con l’A4 Holding per sabotare l’A31?
C’è un’altra spiegazione al fatto che Maurizio Fugatti punta con ostinazione a un’opzione che, per stessa ammissione dei progettisti, è “al limite della fattibilità”? Certo che c’è: il leader della “Lega Salvini” sta difendendo l’autonomia trentina e vuole un’autostrada nella valle di Terragnolo per favorire il turismo della zona di Folgaria. Le sembra più sensato?


Ma allora Curzel crede che sia tutta una commedia?
È teatro, grande teatro. Se sia una commedia o una tragedia lo sapremo solo alla fine: sono convinto che l’A31 non verrà mai completata, ma in suo nome si potrebbero ancora compiere molti disastri ambientali. C'era un rapinatore che usava entrare in banca con un coniglio e minac-ciare, se non gli davano il denaro, di ucciderlo. Non si poteva dire che il rapinatore fosse armato; non si poteva dire che minacciasse qualcuno, né sarebbe stato punito se avesse ammazzato un coniglio che era di sua pro-prietà (l’episodio risale a un’epoca in cui non c’era ancora il reato di cru-deltà contro gli animali). E così spesso riusciva a ottenere il denaro, perché i cassieri avevano pietà del coniglio. Ecco: la banca è la sfera pubblica (nella versione collettiva di un intero Paese che deve pagare l’onere derivante dalla mancata messa a gara dell’A4 o nella versione dello Stato minacciato di risarcimenti per il mancato rin-novo della concessione); la valle dell’Astico, e tutte le valli che potrebbero venir attraversate, è il coniglio. Ormai tutti sanno che la rapina è in corso, ma siamo divisi sul che fare – arrenderci? compiere un atto di forza? At-tendere per vedere se si tratta di un bluff? – e nessuno sa cosa arriverà a fare il rapinatore pur di avere il denaro.


Dunque c’è ancora qualcuno in pericolo?
Certo. Pur di avere il rinnovo della concessione, o un cospicuo rimbor-so spese, la A4 Holding potrebbe fare quel che è un suo diritto: muovere le ruspe. E uccidere il coniglio.


Cambiamo argomento. Il 14 luglio di cinque anni fa Emanuele Curzel si presentava di fronte a Ugo Rossi come portavoce dei comitati che si oppone-vano alla A31. Qual è ora la situazione da questo punto di vista?
L’estate 2015 era stato un momento molto particolare. Da poco era emerso che la Provincia stava ragionando sulla possibilità di accettare che l’A31 uscisse in Valsugana ed ero una specie di intersezione: abitante della Valsugana, ma attivo negli anni precedenti anche quando l’uscita era prevista a Besenello. Era stato dunque quasi inevitabile che finissi con l’essere io, quella mattinata, a fare l’anello di congiunzione tra i gruppi e a figurare come portavoce. Da allora è nato quel che aspettavo da molto tempo: un collegamento tra coloro che si oppongono all’A31. Negli anni precedenti il coordinamento non c’era: c’era il comune di Besenello a combattere nella trincea istituzionale, c’era una discussione difficile e spesso divisiva all’in-terno dei partiti, c’era un pulviscolo di prese di posizione da parte di asso-ciazioni e movimenti; ma niente che favorisse la circolazione delle informa-zioni e il sostegno reciproco.


Ed è quello che esiste invece dal 2015?
In un certo modo sì, e bisogna ringraziare il WWF e chi lo dirige per es-sere riuscito a fare da baricentro. Il coordinamento è nato con un nucleo forte in Valsugana; poi – con il cambiamento degli obiettivi provinciali – questo nucleo si è spostato in Vallagarina e nelle valli del Leno. I social fanno girare informazioni, i comunicati stampa vengono ripresi dai giorna-li, alcune serate pubbliche e alcune manifestazioni hanno avuto un certo successo.


Cosa pensa sia più importante, in questo coordinamento?
Tenere i contatti, far girare informazioni e far sì che l’esistenza di vari livelli di impegno contro l’A31 sia un vantaggio, non un problema. Vedo però che spesso siamo tentati di allargare l’ottica a temi che hanno a che fare con il futuro della mobilità, con le “grandi opere” e con le grandi que-stioni ambientali. Sappiamo tutti che la Valdastico è un pezzetto di un problema più ampio. Ma un coordinamento che è nato attorno a un tema specifico dovrebbe, per l’appunto, limitarsi a quel tema: altrimenti rischia di disperdere le forze e di creare divisioni al suo interno (pensiamo al giu-dizio su nuove infrastrutture ferroviarie, che alcuni vedono come il futuro e altri temono come ulteriore occasione di devastazione ambientale). Asso-ciazioni ambientaliste ce ne sono già molte; se necessario, possiamo anche organizzarne un’altra; ma un coordinamento che vuole mantenere desta l’attenzione su una grande opera deve per l’appunto comportarsi solo co-me un coordinamento – non un’altra associazione – e guardare a quella grande opera.
Inoltre ho l’impressione che nel coordinamento talvolta prevalga un’ottica “movimentista”, che ignora o contesta il livello della mediazione politica per puntare direttamente alla mobilitazione dei cittadini. Non è il modello di convivenza civile in cui mi riconosco e non credo che sia una buona idea considerare fallita la democrazia rappresentativa, anche se sco-priamo ogni giorno che non dà sempre dà i risultati che vorremmo.
Per tornare alla rapina e al coniglio, credo che il coordinamento No A31 non dovrebbe farsi distrarre dal fatto che in quello stesso momento un cane venga preso a sassate sulla piazza o dei gattini vengano abbandonati nella via adiacente (anche se ovviamente noi stessi, collocati in un altro contesti associativi, ne terremo conto). Né mi sembra il caso di denunciare come complici del rapinatore coloro che, per risolvere la situazione, scel-gono di seguire una linea diversa da quella che riteniamo vincente (come se l’atto di forza utile a salvare il coniglio fosse privo di costi e di rischi).


Tra quanto ha fatto il coordinamento, cosa giudica più efficace?
Difficile dirlo. Ma mi è piaciuto quando l’anno scorso, si è collaborato nel far sì che in molti comuni della Vallagarina e a Trento venissero votate mozioni contrarie all’A31. Non ci si è interrogati sulle dinamiche del passa-to né quali fossero le posizioni di questo o quel partito in vista di altre ope-re più o meno grandi: è stata semplicemente favorita la convergenza di molti consiglieri sul minimo comune denominatore dell'opposizione all’A31. Qualcuno è convinto che non vi sia stata alcuna discontinuità tra la giunta attuale e quelle precedenti, o che tutti i governi nazionali dell’ultimo quarto di secolo si siano comportati allo stesso modo: è un appiattimento che non mi trova d’accordo sul piano della ricostruzione storica e, soprat-tutto, è un’impostazione perdente. Chi è contro la costruzione di questa autostrada deve trovare alleati, non distribuire patenti di credibilità e ri-schiare di farsi mettere all’angolo. Non lo dico dall’alto di qualche teoria: è l’esperienza che ho fatto in questi vent’anni.


Però, di fronte alla dimensione dei problemi, è anche opportuno ritagliarsi il ruolo di minoranza critica.
In astratto sì. Ma nel concreto trovo che chi sostiene orgogliosamente questa posizione sottovaluti un pericolo: quello del favorire il diffondersi, nell’opinione pubblica, della convinzione che chi si oppone a questa auto-strada lo fa per ideologia, per fanatismo, per radicalismo insensato. Siamo stati più volte accusati di tutto questo: non dobbiamo comportarci in modo tale da dare qualche fondamento alle accuse e agli insulti.
Questo non è poi così importante per noi stessi: singoli, associazioni e lo stesso coordinamento potrebbero anche non preoccuparsene. Ma tutti co-loro che, nei governi locali, cercano di portare avanti politiche critiche nei confronti dell’A31 (o di altri progetti ugualmente dissennati) non traggono alcun vantaggio dall’essere accomunati, nel dibattito pubblico, a posizioni radicali (o presentate come tali).
Rendiamoci conto del tipo di pressioni e di vincoli di cui devono tener conto gli amministratori, di qualunque livello e colore politico. Per schie-rarsi contro l’A31 ci vuole coraggio e lungimiranza: è molto più facile ac-cettare chiedendo che il tracciato venga spostato di qualche centinaio di metri. Rendiamoci conto che le amministrazioni vengono giudicate a ogni turno elettorale e le posizioni contrarie all’A31 hanno portato, elettoral-mente parlando, pochi vantaggi. Lo si è visto benissimo sia in Trentino che in Veneto.


Però Lei mi ha detto che l’A31 non verrà costruita. C’è allora ancora bisogno di opporsi? E di un coordinamento?
Rimango convinto che l’A31 Valdastico Nord, in quanto tratto auto-stradale, non verrà costruita: né nel prossimo decennio, né in quelli succes-sivi. Temo però che sia ancora possibile l’avvio parziale dei lavori, nel mo-mento in cui il Trentino desse il suo via libera. Tali lavori servirebbero solo a permettere il rinnovo della concessione sulla A4, ma avrebbero conse-guenze disastrose per la valle dell’Astico. È dunque necessario che un coordinamento trentino mantenga desta l’attenzione sul tema, e ostacoli questo possibile esito. Ma se anche questi timori fossero privo di fonda-mento, non dimenticherei che la storia pluridecennale della A31 è stata an-che una storia di dati distorti, di manipolazioni dell’opinione pubblica e di condizionamenti negativi del dibattito politico. È valso e vale ancora la pe-na di impegnarsi anche solo per contrastare tutto questo. Quando il pro-getto verrà definitivamente abbandonato, sarà una vittoria non solo di co-loro che sono scesi in piazza per manifestare, ma anche dei politici che hanno rischiato la loro carriera, dei tecnici che hanno avuto il coraggio di schierarsi, dei cittadini che se ne sono ricordati nel segreto dell’urna. Se ci coordineremo, la vittoria sarà più facile e più bella.


E se il progetto non dovesse venire abbandonato?
Allora sarà una vittoria degli imprenditori e dei ‘prenditori’ ignari della dimensione collettiva dell’esistenza, dei politici che hanno direttamente o indirettamente beneficiato di tali attività dissennate e di tutti coloro che ri-nunciano al futuro in cambio di qualche presente. Tutti gli altri avranno perso.