Tra le cose importanti di Trento che alle volte diamo un po’ per scontate, l’Università occupa un posto del tutto particolare. Intanto perché non è stato sempre così, ed anzi per lunghi anni i rapporti tra la città e il suo ateneo sono stati tutt’altro che scontati o routinari.Franco Ianeselli, "Trentino", 18 maggio 2002
Poi perché ci si siamo accorti di quanto quei rapporti avessero influito sulla società trentina, trasformandola. Infine, constatando come l’ospitare nelle nostre vie una delle migliori università d’Italia avesse modificato l’autocoscienza stessa di noi abitanti, consegnandoci una consapevolezza nuova: quella di fare parte di una rete internazionale di conoscenza, scambi e cultura che rendeva così centrale e viva la nostra collocazione.
Ho pensato a questi passaggi la settimana scorsa, leggendo la notizia delle oltre mille iscrizioni registrate in un solo giorno dalla nostra università, per i test d’ammissione al prossimo anno. Un risultato notevole, reso ancora più brillante dall’indeterminatezza del momento, con aule e dipartimenti chiusi e lezioni ed esami fatti a distanza. Una soddisfazione che si aggiungeva all’orgoglio per l’impegno come volontari dei tanti studenti universitari che durante l’emergenza hanno consegnato farmaci, cibo e mascherine. Una soddisfazione però che si adattava poco alla preoccupazione, alle incertezze e ai timori che mi erano stati presentati da numerosi esercenti, titolari di agenzie immobiliari, baristi, pizzaioli, panificatori per i quali un’università veramente aperta, con studenti e professori fisicamente presenti, comporta una differenza sostanziale rispetto ad un suo funzionamento virtuale e da remoto.
Mi sono così ritrovato a pesare alla distanza che esiste tra l’università come istituzione e l’università come soggetto di una comunità. Una distanza che fa sì che se anche la prima si sia appena confermata straordinariamente viva, l’incertezza riguardo al normale funzionamento della seconda inneschi un’apprensione diffusa in settori rilevanti e ampi della nostra città. Mi è tornata alla memoria una riflessione di Paolo Prodi riferita ai suoi anni da rettore, una riflessione che lo portava a concludere che “solo a Trento, per le condizioni particolari dell’autonomia … si sarebbe potuto sviluppare un sistema integrato di Università, scuola e territorio che altrove sarebbe stato impossibile”. Ciò che sembra insegnarci l’esperienza delle ultime settimane, è che nonostante la scommessa universitaria a Trento sia stata vinta, la qualità, la tipologia e le caratteristiche della relazione tra l’università, la città e la comunità sono qualcosa che va definito e alimentato con costanza e intelligenza. Allo stesso modo di come, quasi sessant’anni fa, una parte di città e di classe dirigente si mise “Sociologia” sulle spalle, fondandola e difendendola.
È una situazione che ci deve impegnare a precisi comportamenti. A noi società civile, amministratori, politici e cittadini, quello di riconoscere la fortuna di una formazione universitaria di alto livello vicino a casa, l’occasione di affittare stanze e appartamenti, la garanzia di poter contare su giovani clienti per i nostri negozi, bar, ristoranti, panifici, pizzerie e impianti sportivi, senza peraltro rinunciare ad una gestione più attenta degli spazi e dei tempi della città, utile sia ai giovani che ai residenti. Senza mai dimenticare che un rapporto felice tra residenti, commercianti e studenti passa per la responsabilità di avere cura degli spazi e di rispettare le esigenze di chi lavora e abita nel centro storico.
Difficile? Sì. Impossibile, no. Allo stesso modo, all’università, ai docenti, ricercatori, studenti e dirigenti, dobbiamo richiedere la disponibilità e la volontà di continuare a credere in una relazione profonda con la città, il territorio e la comunità. A farsi parte attiva per sollecitare con questi un rapporto che vada oltre il semplice essere ospitati o il solo essere finanziati, per riconoscere l’occasione di realizzare ed aggiornare costantemente quel sistema integrato tra università, scuola e territorio di cui Prodi parlava. Bilanciando, anche in questo caso, l’indispensabile appartenenza ad una comunità scientifica interconnessa e globale, con aspetti più quotidiani come la residenza e la permanenza dei docenti sul nostro territorio, la disponibilità alla progettazione di percorsi di ricerca condivisi con le sue istituzioni, l’apertura di tavoli d’analisi e di dialogo con gli stakeholder locali.
Da questo punto di vista, gli ultimi mesi non sono stati particolarmente felici. Prima l’incomprensibile disfida della Giunta provinciale al suo stesso ateneo per l’apertura di una scuola di medicina, con il fortunato ma paradossale epilogo di un’università costretta a difendere la sua e nostra autonomia da un’azione politica provinciale decisa ad appaltarla al Veneto. Poi la chiusura fisica imposta dall’emergenza sanitaria e l’indeterminatezza del futuro legata anche alle decisioni del MIUR che riguarderanno le modalità e i tempi di riapertura dei vari atenei. Infine, la non del tutto lineare decisione della Giunta di sospendere e posticipare i finanziamenti previsti per quella scuola di medicina chiesta e pretesa con urgenza e a gran voce. Resta la convinzione, una volta di più, della necessità di una visione strategica del futuro.
L’università e la città non sono due coinquilini che condividono gli spazi, ma piuttosto due pilastri sui quali si è fondata e trasformata la nostra comunità territoriale recente. Dalla capacità di entrambi di agire e costruire insieme, passa una parte importante del nostro futuro.
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