Le autonomie in lotta contro il virus

In questi giorni si sono levate voci critiche nei confronti delle Regioni per alcune decisioni. Solo con autonomie diffuse e responsabili si migliora però il paese.
Roberto Pinter, "Corriere del Trentino", 27 marzo 2020

In queste giornate drammatiche si sono levate più voci critiche verso le Regioni, e a sostegno di una più forte centralizzazione. Perfino sulla «Repubblica» si parla del federalismo e del regionalismo come un’ideologia che ha prodotto solo guasti (Claudio Tito). In alcuni casi non sono mancati gli appelli per l’uomo forte e comunque per il ricorso a commissari con pieni poteri.E l’interesse nazionale è tornato a essere l’unico da proteggere. La stessa democrazia parlamentare o quella consiliare di regioni ed enti locali sono state disegnate come superflue nell’emergenza.

Ora è pur vero che ci sono stati proclami provenienti da diversi presidenti di Regione che sono risultati fuori luogo, che ci sono stati provvedimenti locali più o meno o restrittivi discutibili, e pure di dubbia costituzionalità alcune ordinanze o dichiarazioni nei confronti dei non residenti, ma sfido chiunque a non trovare analoghe incertezze o altrettanto dubbie uscite di esponenti del governo o delle opposizioni a livello nazionale.

In tanti si sono sbagliati e, al netto di chi lo ha fatto per convenienza, sono in buona parte giustificati vista l’incertezza delle stesse autorità mediche o scientifiche. Ci sarà modo spero di riflettere sugli errori commessi e su chi si è dimostrato di non essere all’altezza delle proprie responsabilità di governo o amministrative. Ma vorrei che non si approfittasse della confusione per un’ulteriore centralizzazione dei poteri e per contrastare le istanze regionaliste, delle Autonomie o del federalismo. E vorrei che non si offrisse l’alibi per coprire le responsabilità di autorità centrali e statali che non si sono dimostrate sempre all’altezza della sfida.

Prendiamo ad esempio la questione di chi fa cosa, del conflitto di competenze tra Stato e Regioni che avrebbero complicato o rallentato l’adozione dei provvedimenti d’urgenza. Vero che la Costituzione non disciplina l’emergenza se non in stato di guerra, ma le norme in materia di sicurezza di salute permettono di fatto la competenza esclusiva dello Stato e l’autorità del Ministero dell’Interno non è soggetta a limitazioni da parte delle Autonomie.

E anche in materia di sanità occorre ricordare anche che è competenza dello Stato fissare i livelli minimi di prestazione o, a puro titolo di esempio, che la Provincia di Trento non può aprire un punto nascita senza l’autorizzazione ministeriale. Per cui se è vero che ci sono state contraddizioni nei provvedimenti adottati per fronteggiare l’emergenza è anche vero che ci sono state per l’incertezza nelle scelte delle autorità governative e che in generale sono state di più le richieste regionali di interventi restrittivi che la richiesta di sottrarsi alle misure di tutela nazionali. Si è quindi trattato più di una confusione dettata dall’emergenza, di una programmazione assente o di dialettica politico/istituzionale più che di conflitto di competenze. In altre parole non è stata pregiudicata la protezione della salute dei cittadini per il comportamento delle Autonomie e se ci sono stati dei provvedimenti difformi tra Regioni, vedi la chiusura degli impianti sciistici o la chiusura delle scuole,ciò è accaduto in assenza di indicazioni e di provvedimenti statali. Così come se mancano posti letto per le terapie intensive questo è conseguenza di una programmazione statale, o se ci sono in alcune Regioni sviluppi più significativi della sanità privata di certo non sono stati in conflitto con le volontà statali.

Dobbiamo invece chiederci se l’organizzazione sanitaria piuttosto che quella della protezione civile siano a livello regionale da considerarsi meno o più efficaci, meno o più capaci nell’erogare prestazioni assicurando il coinvolgimento di tutto il territorio. Bisogna chiedersi se lo Stato-comunità funzioni meglio con il centralismo o con il principio di sussidiarietà. Ci sono senz’altro differenze tra Regioni, ma partire dal presupposto che la gestione accentrata è più efficiente sarebbe affermare qualcosa che la storia della Repubblica ha smentito più volte. Sicuramente in Trentino e in Regione abbiamo una organizzazione sanitaria, sociale, e della protezione civile che ci sono invidiate e riconosciute, e sarebbe sciocco sacrificarle in nome dell’emergenza. A prescindere dalle classifiche di merito, sarebbe sbagliato che le esperienze più avanzate, vedi l’Emilia, o le sperimentazioni e innovazioni territoriali, o le risorse che risalgano a patrimoni di tradizioni civiche, facciano un passo indietro per permettere di essere tutti allo stesso livello.

Ai giornalisti nazionali, e anche alle Regioni che faticano ad avere lo stesso livello di servizi, fa comodo individuare le parole o gli atti sbagliati degli amministratori locali e ignorare invece decenni di inefficienza burocratica e gestionale e di politiche fallimentari dello Stato.

Nemmeno io posso difendere le sparate di Zaia o le affermazioni di Fugatti (venite da noi, andate via) in nome di sovranismi vari, come non mi riconoscevo in quelle di Salvini ministro dell’Interno, ma qui il problema è politico non di competenze. Una cosa è certa, non è a colpi di decreti (che pure ci vogliono in tema di sicurezza e salute), ma solo con la cooperazione e ricostruendo comunità, a livello nazionale come a livello europeo, possiamo farcela. Solo facendo appello alle responsabilità di tutti, coinvolgendo i cittadini e le risorse delle Comunità locali, è possibile dare risposte solidali. Solo con autonomie diffuse e responsabili possiamo migliorare il Paese.

La politica nazionale si preoccupi, più che di estendere il potere di esercitare quello primario: il governo del paese e della sua economia, recuperando la capacità di affrontare e guidare le trasformazioni, di agire a livello globale per assicurare cittadinanza e protezione a tutti.