« Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili: vivete bene e muterete i tempi». Mai come oggi questa esortazione di Ambrogio, vescovo di Milano (tanto amico del Trentino del tempo da inviare al suo collega Vigilio i famosi Martirio, Sisinio e Alessandro, la cui tragica fine è a tutti nota) assume il senso di una urgente necessità.
Donata Borgonovo Re, 20 dicembre 2018
Le nostre paure, le nostre ansie - fondate o meno che siano - hanno trovato un terreno fertile su cui radicarsi e stanno producendo frutti avvelenati.
Come altrimenti definire le scelte politiche e amministrative che, sia a livello nazionale sia a livello provinciale, stanno lacerando il tessuto sociale, dichiarando guerra ai poveri, ai fuggitivi, ai cercatori di pace e di più sicure opportunità di vita, agli stranieri, ai diversi, agli «altri da noi»?
Assistiamo ad un progressivo incattivirsi delle nostre comunità.
Comunità spesso indotte a credere che solo difendendo con le unghie e con i denti (e cioè con leggi incostituzionali e con provvedimenti liberticidi) il proprio territorio potranno preservare il benessere (quanto apparente?) legato all'attuale stile di vita. Siamo spaventati dal mondo, dalle sue vorticose trasformazioni, dalla vastità dei problemi e delle tragedie che lo attraversano, dalla complessità dei fenomeni economici, sociali, culturali che intercettiamo solo parzialmente, sbirciando da quel moderno buco della serratura che è internet (o peggio, da quel buchino minuscolo che sono i social), e non troviamo risposta migliore alla nostra ansia che chiudere occhi, orecchie (la bocca no, quella non abbiamo difficoltà ad usarla, spesso a sproposito, forse anch'io in questo momento?) ed innalzare muri, trattando da nemico chi è là fuori.
E se coltivassimo il dubbio di una storia diversa? E se provassimo a mutare i tempi vivendo bene? Questo periodo natalizio ci sta offrendo diverse preziose opportunità? partiamo dal presepio, quel geniale strumento che ci consente di fare memoria di un evento storico sul quale poggia la fede bimillenaria di popoli diversi, sparsi per il mondo. Di cosa ci parla quella distesa di figure umane e di pecorelle in cammino verso una grotta, dove «adagiato in una mangiatoia» (ma ci sarà pure qualcuno che sa quanto poco adatta ad accogliere un neonato possa essere una mangiatoia?) sta il Figlio di Dio? Ci parla di tradizioni rassicuranti? Di benessere diffuso? Di luminarie sfavillanti e vin brulè? Dove sono i ricchi, i sazi, i padroni a casa loro nel presepe? Anche contemplando il più tradizionale dei presepi, fatto con il muschio, le montagne di carta da pacco, i pastori con l'agnellino sulle spalle, la candida distesa di greggi, non possiamo non accorgerci che si sta raccontando una storia di poveri, di persone che dormono all'aperto, vicino al fuoco, e che persino il Bambino non è al calduccio nella sua culla, in una casa, ma si lascia scaldare dal fiato di un bue e di un asino? Ma allora, se il Bambino nascesse oggi, forse dovremmo andarlo a cercare sotto un ponte dell'autostrada o su un gommone in mezzo al Mediterraneo, proprio come ci ha voluto così delicatamente ed efficacemente ricordare la comunità parrocchiale del Santissimo, a Trento. Sarebbe là dove sono i poveri del nostro tempo, per ricordarci che, in fondo, poveri siamo anche noi, che non sappiamo più di esserlo.
Ma il Natale torna fedelmente e pazientemente ogni anno non già per farci macerare nei sensi di colpa, quanto piuttosto per ridarci slancio e speranza: possiamo fare di meglio, sappiamo fare di meglio se ci lasciamo guidare da sentimenti diversi dalla paura, dall'aggressività, dal sospetto, dall'egoismo («prima i trentini» è una frase terribile? e se fosse «insieme ai trentini»?). La solidarietà è un valore (ed un principio costituzionale, andrebbe sempre ricordato) che nelle nostre comunità molti conoscono e praticano attivamente. Un valore che ci restituisce tutta la bellezza dell'essere reciprocamente utili, del sostenersi a vicenda, del fidarsi gli uni degli altri: dove c'è solidarietà, non c'è spazio per la paura. Dove i volti hanno un nome ed una storia, dove ci si conosce e ci si parla, non ha più importanza il colore della pelle e tantomeno il conto in banca: la sicurezza nasce dalle relazioni che le persone coltivano tra loro, dal tempo che si dedicano, dallo spazio protetto che si donano, dalla disponibilità vicendevole. Certo, la violenza che sconvolge le nostre società e che colpisce insensatamente, troncando vite preziose (proprio oggi diamo l'addio ad uno dei nostri giovani migliori?) rappresenta una dolorosa contraddizione, e ci ricorda che il male si cela da sempre nella storia degli uomini. Impegnarsi a sconfiggerlo è il compito di ogni generazione: serve però trovare gli strumenti giusti. Solo per fare un esempio drammaticamente recente, se dei giovanissimi muoiono in una discoteca, non si mettono al bando le discoteche ma si mettono a norma i sistemi di sicurezza là dove sono carenti, perché non accadano più tragedie come quella di Corinaldo.
Se dunque vogliamo evitare che la violenza cieca si insinui nelle nostre comunità, dobbiamo moltiplicare le relazioni e le occasioni di incontro, dobbiamo perseverare nella creazione di progetti sociali che accolgano e che sostengano i più deboli (i nostri e i loro, insieme), dobbiamo combattere la disperazione di chi, non avendo nulla da perdere, diventa disponibile a tutto? Anche regalare ore di italiano a chi vorrebbe inserirsi attivamente nella nostra società, e che invece le nuove norme finiranno per cacciare inspiegabilmente ai margini (potenziale preda di chi agisce nell'illegalità), diventa un gesto natalizio che ridà speranza e che costruisce futuro. Il futuro di tutti, non solo di alcuni; un futuro migliore.