L'Italia, come il Trentino, ha da alcuni mesi deciso di cambiare la propria politica di gestione dei flussi migratori. Prima, con Alfano, il ministero dell'Interno aveva gestito gli ingenti flussi dalla Libia come una continua emergenza, chiedendo una solidarietà europea mai ottenuta per davvero, nonostante i più di mezzo milione di immigrati arrivati nei porti italiani tra il 2014 e il 2016.
Lorenzo Borga, 12 dicembre 2018
Poi, con Minniti, il governo italiano ha deciso di imprimere una svolta, bloccando le partenze dalla Libia. Questo aveva portato - da luglio ad agosto dello scorso anno - a ridurre gli sbarchi in Italia di quasi il 70 per cento, attraverso accordi con le tribù libiche e ? secondo alcune inchieste ? anche con i trafficanti di esseri umani.
Matteo Salvini, entrato in carico il primo giugno, ha intrapreso due nuove strade. Dapprima ha deciso di ridurre ulteriormente gli arrivi, disincentivando le partenze dalla Libia.Questo attraverso il potenziamento della marina libica e il blocco dei porti per navi delle Ong, mercantili e navi della Guardia Costiera con a bordo migranti. In questo modo gli arrivi dalla Libia si sono ridotti ulteriormente di circa 40mila persone.
L'effetto collaterale di questa decisione è stato però l'aumento dei rischi del viaggio in mare, coerente con una strategia della deterrenza che mirava a disincentivare le partenze.
Gli effetti sono nei numeri: i morti e dispersi in mare tra giugno e ottobre sono stati 862, circa 170 al mese; mentre la strategia del suo predecessore ? già aspramente criticata ? aveva ridotto le vittime a poco meno di 100 ogni mese.
Non sempre i naufragi possono essere attribuiti alla responsabilità dei governi italiani: ma d'altronde se si rimuovono dal Mediterraneo centrale le imbarcazioni di salvataggio e si disincentivano le navi di passaggio a prestare soccorso (con il rischio di rimanere bloccati per settimane in un porto italiano), il rischio di aumentare i morti è concreto. Ed è ciò che purtroppo si è verificato.
La seconda strada intrapresa da Matteo Salvini è il cambiamento delle politiche di integrazione per chi è già arrivato in Italia e ha richiesto il diritto d'asilo. Il decreto sicurezza, trasformato in legge, cambia drasticamente le pratiche di accoglienza e immigrazione per centinaia di migliaia di immigrati.
La misura principale è la stretta sulla protezione umanitaria, la forma di protezione più frequente (riconosciuta per circa il 20 per cento delle richieste), che la nuova legge dedicherà solo a casi speciali. Questa protezione era precedentemente destinata a cittadini stranieri che presentavano «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano».
La decisione avrà degli effetti importanti nei prossimi anni. Il rischio infatti è che molti di coloro che prima avrebbero potuto avere questa forma di protezione, ora vengano invece riconosciuti come clandestini. L'Ispi ha calcolato che il rischio è reale: nel 2020 potremmo trovarci circa 130mila immigrati irregolari in più (oggi dovrebbero essere quasi 500mila, secondo l'Ismu), per via dei mancati rinnovi delle protezioni umanitarie già erogate e della riduzione delle nuove concessioni. Eppure queste persone rimarranno in Italia, seppur nell'irregolarità.
Nonostante le promesse elettorali, i rimpatri verso i paesi di origine rimangono pochi e molto complicati dal punto di vista logistico ed economico. I dati del ministero dell'Interno mostrano che la media mensile di rimpatri effettuati dal governo Conte è addirittura inferiore rispetto a quanto avvenuto con il precedente esecutivo (434 versus 558). Gli effetti negativi saranno sia per gli immigrati, che si ritroverebbero senza la possibilità di lavorare in modo legale (impossibile quando si è irregolari), sia per la popolazione italiana, per la probabile riduzione della sicurezza, sia reale che percepita, che questa scelta comporta.
Gli immigrati irregolari infatti, obbligati a rimanere nell'illegalità, è probabile che si dedicheranno ad attività fuori dalla legge. Per comprenderlo, i numeri vengono di nuovo in nostro soccorso: è stato calcolato da studi scientifici che gli immigrati irregolari compiono molti più reati rispetto ai propri connazionali che hanno ricevuto il permesso legale di rimanere in Italia. Stiamo parlando di tassi di delinquenza che possono arrivare ad essere fino a 34 volte più alti rispetto agli italiani (fondazione Hume, 2015).
L'integrazione appare dunque una via che favorisce tutti, sia gli stranieri che vogliono lavorare in Italia, sia i cittadini italiani che sono interessati a una convivenza sicura. Gli strumenti ci sarebbero: durante il dibattito parlamentare sul decreto sicurezza è stato proposto un emendamento dell'Anci che avrebbe istituito la possibilità di ricevere un permesso di lavoro per chi dimostri un buon livello di italiano, un regolare contratto di lavoro e abbia compiuto almeno 100 ore di volontariato a favore della comunità ospitante. Neanche a dirlo, è stato bocciato.