Un accordo su lavoro, scuola, sviluppo, fragilità sociali. Alessandro Olivi dà di fatto il via libera alla ricandidatura a presidente di Ugo Rossi e cerca di spostare l’attenzione dalla scelta del candidato a quella del programma. . «A ottobre — dice — i trentini non saranno chiamati a scegliere il candidato più simpatico. Dovranno scegliere tra due diverse idee di società. Quella della crescita, dell’inclusività, dell’Europa, o quella della paura, dell’isolamento e della contrapposizione».
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 8 luglio 2018
«A ottobre, i trentini non saranno chiamati a scegliere il più simpatico tra due candidati presidente. Dovranno scegliere tra due diverse idee di società. Quella della crescita, dell’inclusività, dell’Europa, o quella della paura, dell’isolamento e della contrapposizione». Alessandro Olivi non ha lesinato critiche a Ugo Rossi in questi cinque anni. Proprio per questo è da lui che arriva forse il più significativo dei via libera alla conferma del governatore. «È un gran lavoratore e in questi cinque anni difficili non si è mai risparmiato. Talvolta ha avuto la tendenza ad agire in solitudine, ma credo abbia capito che questo metodo alla lunga non paga».
Vicepresidente, dal 4 marzo il centrosinistra autonomista appare avvitato su se stesso, incapace di andare oltre lo spettacolo piuttosto penoso del “Rossi sì”, o “Rossi no”.
«Non è un mistero che io abbia posto in tempi non sospetti la questione della presidenza. Rivendicavo e rivendico un ruolo centrale per il mio partito perché, ora come allora, penso che la nostra visione progressista della società sia quella più adatta a interpretare un presente che guarda al futuro. Il tempo, però, in politica non è una variabile indifferente. In un clima caratterizzato da insofferenza, anche retorica, verso il sistema e da un crescente rancore sociale il bivio è netto: più solitudine o più comunità. È proprio quando c’è spaesamento e frammentazione che alla politica si deve chiedere uno scatto di responsabilità, di coraggio, e soprattutto di generosità».
È un via libera a Rossi?
«La scelta spetta ai partiti, non a me, ma mi pare che si vada in quella direzione. Ciò che dobbiamo smettere di fare è incardinare tutto sulla scelta del presidente. Se, a ottobre, i due candidati forti saranno Rossi e Fugatti, i trentini non saranno chiamati a scegliere il più simpatico. Dovranno scegliere tra due diverse idee di società. Quella della crescita, dell’inclusività, dell’Europa, o quella della paura, dell’isolamento e della contrapposizione. Mi pare che i segnali che arrivano dal livello nazionale siano chiari per tutte le persone di buon senso: l’assenza di reali decisioni coperta da un mare di propaganda, qualche intervento spot, questa o quella categoria indicata come l’origine di ogni male, una generale incompetenza. È questo polverone di urla e proclami che vogliamo importare in Trentino? Io non credo. Solo negli ultimi giorni, la sanità e la scuola trentine sono state giudicate sul tetto d’Italia. Ci sono ancora molte persone da aiutare, ma la disoccupazione è finalmente tornata a calare, il Pil cresce più che nel resto del Paese, dalle imprese arrivano segnali positivi. Che senso avrebbe rinunciare a tutto questo per seguire qualche apprendista stregone?».
Ma è la sua stessa coalizione che pare giudicare debole Rossi.
«Nessuno, come ho già detto, è insostituibile e male ha fatto il Patt a partire da una sorta di diktat su di lui che ha messo noi e gli amici dell’Upt in una difficile condizione. Ma Rossi è un gran lavoratore e in questi cinque anni difficili non si è mai risparmiato. Talvolta ha avuto la tendenza ad agire in solitudine, ma credo abbia capito che questo metodo alla lunga non paga. Ha l’esperienza necessaria per offrire agli elettori assolute garanzie sul fronte amministrativo, mentre francamente, al netto delle divergenze politiche, non mi è chiaro quale sia la classe dirigente che la Lega propone ai trentini. Tolto Fugatti, io vedo il nulla».
Però una Provincia autonoma non vive di sola amministrazione.
«Nonostante, in passato, a sinistra qualcuno abbia rinunciato nei momenti decisivi a costruire un cultura maggioritaria, il Pd non deve rinunciare a esprimere la propria leadership politica. Da migliorare c’è molto, penso alla scuola, dove forse la nostra voce si è sentita poco. C’è una sanità eccellente, ma percepita come poco vicina ai cittadini. Ci sono nuove efficienze da sviluppare nell’ente pubblico».
Non rischiate di apparire «la solita minestra»?
«Il centrosinistra autonomista deve andare oltre la replica di sé stesso. Lo sforzo deve essere quello di promuovere una più larga aggregazione che sia capace di includere e valorizzare le energie sociali ed associative, popolari, produttive che oggi si esprimono anche al di fuori dei partiti. Alla rabbia dobbiamo sostituire la partecipazione. È necessaria una svolta civica dei partiti, ossia una loro apertura, che è cosa ben diversa da un accordo tra liste civiche o fra sindaci. Proprio oggi vi è più che mai bisogno che i progressisti anche di diversa provenienza sentano la responsabilità di occuparsi e prendersi cura del destino della nostra autonomia, che ha bisogno di riforme, di innovazione, di una nuova spinta valoriale per costruire un’alternativa seria e credibile alle parole d’ordine di vecchi e nuovi sovranismi e all’avanzare di una destra che agita paure e promette illusorie protezioni».
L’Upt sta faticosamente cercando di rifondarsi. Il Pd può restare quello che è?
«È venuto il momento di decidere. Il Pd del Trentino farebbe bene ad incamminarsi senza timori e troppi tatticismi verso una prospettiva più territoriale. Ho insistito ripetutamente in questi anni perché il Pd del Trentino costruisse una sua proposta politica, aperta e plurale, per esercitare un ruolo di guida nel governo della Provincia. Per questo era nato e non per accontentarsi di presidiare una riserva identitaria. Sulla qualità del lavoro, sulla protezione sociale dei più deboli, sulle politiche per lo sviluppo economico, sulla scuola e sulla programmazione sostenibile è indispensabile un accordo che sia costitutivo della leadership senza deleghe e scorciatoie».