La Provincia Autonoma di Trento si è assunta la responsabilità, grazie ad un apposito protocollo con il Comissariato del Governo, di gestire direttamente le attività connesse all’accoglienza delle persone richiedenti asilo e protezione internazionale.Mattia Civico, 23 maggio 2018
L’obiettivo di tale protocollo d’intesa è quello di consentire una distribuzione equa ed equilibrata dei profughi sul territorio provinciale cercando di evitare concentrazioni di migranti e proponendo invece l’inserimento di piccoli gruppi nella comunità in modo da favorire livelli soddisfacenti d’integrazione e prevenire elementi di tensione sociale. Fondamentale, per questa scelta organizzativa, è la sinergia tra CINFORMI, il Servizio della Provincia responsabile e referente per i progetti di accoglienza in Trentino, i Comuni, Comunità di Valle, terzo settore e privati cittadini.
I comuni coinvolti che vedono la presenza sul proprio territorio di persone in accoglienza sono 68 su 176 e dei 1.614 richiedenti protezione internazionale attualmente presenti sul suolo provinciale, 985 sono inseriti in piccoli gruppi (appartamenti, e simili).
Positivo in questo quadro è anche il protocollo tra Provincia e Consorzio delle Autonomie Locali finalizzato all’utilizzo delle risorse economiche statali per la cosiddetta “terza accoglienza”
Nonostante questo i tempi di permanenza nelle strutture per la cosiddetta prima accoglienza sono ancora mediamente lunghi. Il Centro di accoglienza di Trento, in via Fersina ad oggi accoglie 281 persone, il Campo di Marco conta 164 presenze ed infine la struttura delle Viote, sul territorio del Comune di Garniga Terme, accoglie 38 migranti.
Il protrarsi oltre 18 mesi dell’attesa del riconoscimento o meno dello status di rifugiato rischia di far nascere l’idea che vivere a carico della collettività sia un diritto e che l’integrazione, imparare la lingua, l’accesso al lavoro non siano poi così cruciali. Il rischio connesso a un protrarsi dell’attesa, e quindi all’indeterminatezza di una prospettiva personale, è quello di scivolare in forme di depressione, anomia, perdita di capacità e motivazione.
In questo senso, nel corso delle ultime settimane sono emersi elementi di criticità rispetto all’accoglienza dei migranti presso il campo di Marco di Rovereto. Il Campo è strutturato in piccoli prefabbricati dentro i quali pernottano 10/12 persone, che sono in attesa che venga perfezionata la domanda di asilo o chiarita la loro posizione giuridica mediante il passaggio attraverso la Commissione territoriale. Nonostante il rispetto degli standard definiti dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015 che afferisce al cosiddetto “regime di accoglienza straordinaria” e i molti servizi che al suo interno vengono organizzati e concretizzati a favore dei richiedenti protezione, i tempi di permanenza prolungati degli stessi impongono di migliorare la situazione del campo di Marco. Il Dipartimento competente è al momento al lavoro per individuare la soluzione più opportuna per l’aspetto abitativo, che a quanto risulta sarà portata a realizzazione in tempi brevi.
In questo senso è certamente elemento positivo l’approvazione da parte del Consiglio Provinciale di una mozione che impegna la Giunta ad attivarsi presso il Governo per potenziare e sostenere il lavoro delle Commissioni Territoriali, anche prevedendo l’istituzione di un organismo giudicante competente sul nostro territorio. Ma come detto durante il dibattito in sede di approvazione del documento politico, tale azione è da considerarsi un tassello importante di una strategia più ampia.
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Va ribadito quindi che lo sforzo nel ricercare nuove soluzioni che consentano una redistribuzione ancora più capillare dei richiedenti protezione internazionale, ed una loro integrazione nella realtà trentina, deve essere costante e sostenuto.
Uno sforzo che deve prevedere la fattiva collaborazione tra Provincia, associazioni e organizzazioni del terzo settore, del privato sociale e del volontariato, nonché delle comunità territoriali.
La collaborazione fra questi soggetti è fondamentale per individualizzare i progetti, verificare puntualmente risorse e capacità di chi legittimamente chiede protezione e dunque ha pieno diritto di essere affiancato e sostenuto nell’impegno a comprendere ed integrarsi; e così anche favorire la possibilità di individuare quelle persone che non sono né interessate e né disponibili ad investire nel proprio percorso di integrazione e che con comportamenti devianti danneggiano se stesse e la comunità.
La Provincia, attraverso il Cinformi, ha la responsabilità di organizzare l’accoglienza delle persone che vengono assegnate al nostro territorio, sia nella prima fase per sua natura comprensibilmente emergenziale, sia nelle fasi successive che dovrebbero essere connotate da processi di comunità orientati decisamente all’integrazione lavorativa e sociale e alla accoglienza capillare.
Negli anni quest’impostazione si è affermata e consolidata, consentendo di raggiungere risultati soddisfacenti. Quello che oggi però emerge è la necessità di dare più spazio alle riflessioni riguardo alla sistematizzazione, e alla valutazione d’efficacia, sul medio periodo, dei risultati conseguiti dagli interventi volti a costruire i requisiti necessari, all’instaurarsi di dinamiche di reciproco riconoscimento e quindi d’integrazione.
Tale domanda richiede una fase di approfondimento e studio per comparare il nostro modello ad altri esistenti anche in panorama europeo, valutando le soluzioni più virtuose ed efficaci a partire da quei territori nord europei che hanno storicamente affrontato il tema dell’integrazione di cittadini extracomunitari con le comunità locali.
Accanto a questo meriterebbe un particolare approfondimento l’esperienza dei Corridoi Umanitari (che ora coinvolge non più solo l’Italia ma anche la Francia e il Belgio). Quello dei “corridoi” è un modello di accoglienza, non basato sui numeri, ma sulla presa in carico puntuale e personale; su un accompagnamento individuale che ha il suo fondamento nella conoscenza approfondita del migrante (già nella fase di partenza dai territori di origine), con le proprie capacità, aspirazioni, difficoltà e dignità, che potrebbe affiancare sempre di più l’attuale sistema d’accoglienza diffusa realizzando così il cosiddetto “modello adottivo” (cfr. Daniela Pompei – Comunità di Sant’Egidio). La Provincia di Trento già da due anni ha avviato un positiva sperimentazione di accoglienza di richiedenti asilo provenienti dalla Siria e per anni soccorsi nei campi profughi nel nord del Libano; e questo anche sulla base di un oridne del giorno approvato in Consiglio Provinciale di Trento nella seduta di bilancio del dicembre 2015.
Un aspetto importante che caratterizza i Corridoi umanitari è il fatto che le persone ed i gruppi che vengono accolti sono conosciuti precedentemente e vengono presentati alle comunità già nella fase precedente alla concreta accoglienza: le comunità hanno così il tempo di prepararsi, sapendo chi accoglieranno, conoscendo in linea di massima le esigenze e i percorsi personali. E i sistemi di sicurezza nazionale hanno la possibilità di verificare in anticipo le singole posizioni, garantendo sicurezza sia a chi viaggio, sia a chi accoglie.
Questo evidentemente favorisce da un lato la costruzione di reti precedenti all’arrivo e dall’altra consegna anche al migrante l’esperienza di essere atteso e accolto. E questi due elementi sono evidentemente una buona base per una positiva integrazione.
Sulla base di questa positiva sperimentazione, si può affermare che vi è la necessità quindi di approfondire e radicare maggiormente il coinvolgimento delle istituzioni locali, organizzazioni intermedie, realtà del privato sociale, realtà ecclesiali. Ma anche direttamente i cittadini. Come quando erano definite le quote di accesso ai fini lavorativi, si potrebbe rivisitare la figura degli “sponsor” locali, ovvero mappare, sostenere e valorizzare l’azione di cittadini, gruppi, famiglie, soggetti del Privato Sociale, realtà di volontariato sociale o legato alla protezione civile, che si fanno carico non tanto dei costi e dei numeri ma dei percorsi delle singole persone. In un processo di reale incontro e conoscenza: per dignità, per giustizia innanzitutto, ma anche per un più efficace e capillare controllo sociale.
Le esperienze positive registrate in questi anni ribadiscono ancora una volta che non può esservi positiva gestione e integrazione senza il protagonismo dei cittadini e delle strutture intermedie.
A questo proposito parrebbe opportuno avviare una approfondita riflessione sulla possibilità che Cinformi, nato per affiancare i migranti nella regolarizzazione delle posizioni giuridiche e negli ultimi anni evoluta in una sorta di agenzia unica per l’immigrazione, ridefinisca l’ambito del proprio intervento, verificando l’efficacia e la sostenibilità di un compito tanto complesso e gravoso che attualmente va dalla prima accoglienza, all’affiancamento per l’inserimento lavorativo, la consulenza giuridica, il supporto psicologico e sanitario, l’istruzione, il vitto e l’alloggio. Questo in ogni fase dell’accoglienza, sia quella dell’arrivo, sia quella che accompagna alla definizione della posizione giuridica, sia quella immediatamente successiva. Dalla prima protezione, all’accoglienza e all’integrazione. Con particolare attenzione ai gruppi più fragili: alle madri con i propri bambini.
Infine: non può essere negata la condizione di quelle persone che a fronte di un diniego del dritto di asilo e soprattutto alla luce dell’impossibilità oggettiva, per le più diverse ragioni, di proseguire in un percorso positivo di integrazione lavorativa e sociale. Va valutata, in sinergia con il Commissariato del Governo, la possibilità di attivare progetti di riaccompagnamento verso il proprio Paese di origine, anche mettendo in campo strumenti di cooperazione internazionale.
Tanto premesso si impegna la Giunta e l’Assessore Competente
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