«Senza un moto di indignazione, che porti più gente possibile a votare “Sì”, non si uscirà fuori dallo stagno». Il referendum costituzionale del 4 dicembre può rappresentare per Sergio Fabbrini — direttore della Luiss school of government ed ex direttore della Scuola di studi internazionali di Trento — lo spartiacque tra un Paese vecchio e uno nuovo.
A. Rossi Tonon, "Corriere del Trentino", 24 ottobre 2016
Non tanto perché dal giorno dopo tutto ripartirà o crollerà definitivamente, quanto perché il “Sì” sosterrà uno slancio innovatore positivo in grado di restituire istituzioni adeguate ai tempi moderni e a quelle degli altri paesi democratici.
Professore, quali ritiene essere i punti qualificanti della riforma?
«Va innanzitutto sottolineato che propone una nuova idea di democrazia, fondata su tre aspetti cruciali. Primo: la riforma consente il superamento del cosiddetto “bicameralismo simmetrico” facendo in modo che la fiducia al governo venga data solamente dalla Camera dei deputati, come avviene in tutte le altre grandi democrazie parlamentari. Secondo: i disegni di legge ritenuti prioritari dal governo potranno beneficiare di una corsia preferenziale alla Camera. In questo modo si ridurrà il ricorso ai decreti legge, di cui negli ultimi anni si è abusato, permettendo così al governo di portare avanti il proprio programma. Contemporaneamente la riforma riconosce uno statuto particolare alle opposizioni, che avranno così modo di tenere sotto controllo le priorità legislative del governo. Terzo: cruciale è che attraverso la riforma verranno razionalizzati i rapporti tra lo Stato e le Regioni, riducendo il gran numero di dispute tra di essi, che hanno finora ingolfato l’attività della Corte costituzionale».
In molti criticano l’eccessivo accentramento di potere, aspetto particolarmente temuto in Trentino Alto Adige.
«Certamente l’abolizione di alcune competenze condivise e l’introduzione della clausola dell’interesse nazionale configurano un riaccentramento significativo, che viene però bilanciato dalla nuova composizione del Senato delle Regioni, in quanto costituito di rappresentanti dei consigli regionali e dei sindaci. Inoltre prevede il “regionalismo differenziato” di cui ho più volte celebrato l’importanza anche su questo giornale. Attraverso il regionalismo differenziato è possibile responsabilizzare le regioni ordinarie a operare virtuosamente per ottenere ulteriori forme di autonomia. Invece di togliere la specialità, come sostengono Zagrebelsky e i sostenitori del “No”, è necessario estenderla ad altre regioni, a condizione che abbiano i bilanci in pareggio e una struttura amministrativa efficiente e non corrotta. Vorrei anche ricordare a Zagrebelsky che le specialità di Trentino e Alto Adige sono il risultato di una lunga storia, oltre ad essere internazionalmente riconosciute e protette. Si può essere a favore del No, ma non si può ignorare tutto ciò. L’ignoranza produce sempre guasti».
Tra i sostenitori del «no» c’è poi chi afferma che la riforma, insieme all’Italicum, renda il governo troppo forte. Non è così?
«Anche qui rimaniamo ai fatti. La riforma costituzionale non tocca né la forma di governo né concerne la legge elettorale. L’Italicum, che è stato già approvato dal Parlamento e che riguarda solamente la Camera dei deputati, appunto in previsione del superamento del bicameralismo paritario, assegna al partito che vince le elezioni 340 parlamentari alla Camera su 630. Cento di questi saranno i capilista bloccati, scelti dal leader del partito, delle 100 circoscrizioni elettorali in cui sarà diviso il paese. Gli altri 240 saranno invece i candidati che hanno più preferenze personali in ognuna di quelle rispettive circoscrizioni elettorali. Per quanto possa essere potente un leader di partito, è difficile che possa determinare le preferenze degli elettori in ognuno dei collegi della Puglia o della Lombardia o di altre regioni. Gli eletti con le preferenze saranno, dunque, parlamentari con una loro base elettorale, non soldatini del leader del partito. Quindi basterà che un piccolo gruppo di 25 o 30 di quei 340 deputati votino con l’opposizione per rovesciare il governo; come si fa a sostenere che quest’ultimo controllerà la Camera dei deputati? Di nuovo, si può essere contro l’Italicum, ma non si possono dire stupidaggini, specialmente se si è un professore di diritto o di scienza politica».
Non crede che la farraginosità del bicameralismo sia dato anche da un depauperamento della tecnica legislativa? E non teme quindi che una sola Camera produrrebbe leggi ancora peggiori?
«È un fatto empiricamente accertato che la farraginosità è dovuta proprio dalla doppia lettura. Il problema della tecnica legislativa esiste, è vero, ma deve essere affrontato formando staff parlamentari di alta qualità. Ad esempio, la School of Government è fortemente impegnata a formare funzionari specializzati nelle discipline giuridiche, economiche, politologiche e manageriali che possano aiutare il Parlamento a scrivere leggi più chiare ed efficaci».
Crede che non si potesse fare di meglio?
«Certo che si poteva fare di meglio. Tuttavia questa riforma costituzionale, come tutte le riforme in tutti i paesi democratici, è il risultato di compromessi tra forze politiche diverse, ma anche tra componenti diverse dello stesso partito di maggioranza. La politica costituzionale si basa sempre su compromessi. Tenga presente che il centrodestra di Berlusconi ha contribuito a scrivere questa riforma, l’ha approvata nell’una e nell’altra camera. È stata l’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica che ha portato il centrodestra ad opporsi alla riforma. Ma, mi lasci domandare, che c’entra l’elezione di Mattarella con la riforma del bicameralismo? La dura verità è che questo nostro amato Paese continua a soffrire perché è stato guidato da una classe politica parrocchiale, sostenuta da élite intellettuali auto-referenziali. Si stupisce perché i nostri giovani vanno via dall’Italia, quando non riusciamo nemmeno a riparare un sistema parlamentare che fa acqua da tutte le parti? Senza un moto di indignazione, che porti più gente possibile a votare “Sì”, non si uscirà fuori dallo stagno».