Il silenzio può essere un modo per ricordare, fare Memoria, ma serve anche a riflettere. In occasione del primo anniversario della tragedia del 3 ottobre 2013, avvenimento nel quale morirono quasi 400 persone imbarcate su una nave libica inabissatasi a poche miglia dalle coste dell’isola di Lampedusa, il silenzio è quindi utile per riflettere circa le azioni e i fatti che quell’evento ha determinato.
Pasquale Mormile, segretario PD Gardolo, 6 ottobre 2014
Mi permetto di saltare a pie’ pari la cronaca della lunga processione di visite, più o meno guidate, sull’isola da parte delle autorità europee e italiane. Tutti espressero dolore per un lutto che riuscì ad avvolgere le coscienze della cittadinanza, non più soltanto italiana, ma europea ed internazionale. Ciò non di meno, quelle stesse personalità politiche, non hanno poi fatto seguire all’indignazione un’azione realmente capace di affrontare il problema partendo dalle sue radici. Anzi, lo schema di interpretazione del fenomeno migratorio utilizzato dai governi europei rimane sempre quello che ha generato il 3 ottobre 2013 e che tutt’oggi continua a generare morti su morti. Purtroppo, l’Europa continua a governare (si fa per dire) il fenomeno migratorio con un approccio “Frontex-centrico” per il quale l’obiettivo da perseguire è la sicurezza dei cittadini comunitari attraverso il presidio delle frontiere e l’arresto dei trafficanti di uomini.
Ma partiamo, innanzitutto, col fare un po’ di chiarezza sulla famigerata “Operazione Frontex Plus” che, in realtà, non esiste, quantomeno non nelle forme evolutive e migliorative lasciate immaginare, ad agosto di quest’anno, dal ministro degli Interni italiano Angelino Alfano, rispetto all’Operazione Mare Nostrum. Va detto, che i dettagli di questa operazione sono stati vaghi fin da subito. Il 27 agosto 2014, l’allora Commissario Ue per gli Affari Interni, Cecilia Malmström, dichiarò, infatti, che Frontex Plus avrebbe completato il lavoro iniziato dagli italiani, ma senza fare alcun riferimento ad obiettivi di “Search-and-Rescue”, vale a dire ricerca e salvataggio di persone in mare aperto che è di fatto, assieme all’arresto dei trafficanti internazionali di esseri umani, l’obiettivo principale dell’operazione Mare Nostrum.
Ma allora cos’è Frontex Plus? Niente di più e niente di meno che la fusione di due operazioni già esistenti a largo della coste italiane, in scadenza di mandato a fine settembre, che verranno fuse in una nuova operazione denominata “Triton” e il cui raggio d’azione sarà più amplio delle precedenti operazioni da cui è nata, con obiettivo principale il controllo delle frontiere. Se questo scenario dovesse confermarsi, Frontex Plus risulterebbe una denominazione alquanto altisonante per un’operazione gattopardesca in salsa europea, dove il cambiamento non produce altro che il mantenimento dello status quo. Ma d’altra parte, va detto che un repentino cambio di direzione dell’Ue riguardo le politiche migratorie sarebbe stato quanto meno schizofrenico, considerato che quasi tutti gli stati europei, su scala nazionale, stanno elaborando azioni di forte contenimento e filtraggio dei flussi migratori.
È il caso della recente sottoscrizione di un accordo bilaterale franco-britannico per combattere l’immigrazione illegale attraverso la Manica proveniente dal porto francese di Calais, che dimostra la netta volontà da parte di Francia e Gran Bretagna di rafforzare in modo massiccio la politica di sicurezza delle frontiere, così come in Bulgaria dove sono state erette delle recinzioni sul confine turco al fine di impedire l’accesso ai profughi siriani, in Grecia dove la Guardia Costiera nazionale è stata accusata di spingere le imbarcazioni con a bordo migranti verso le acque territoriali della Turchia e in Spagna con la polizia che spara proiettili di gomma a coloro che cercano di entrare nel suo territorio provenendo dal Marocco.
Alla luce di tutto ciò, a cosa è dunque servito il grido di dolore e di sdegno lanciato dalla comunità internazionale dopo il terribile evento del 3 ottobre 2013? Il ministero degli Interni italiano ha dichiarato che tra gennaio ed agosto siriani ed eritrei hanno coperto quasi il 50% degli arrivi di migranti in Italia. Considerato che agli eritrei, una volta giunti sani e salvi sul suolo italiano, nel 90% dei casi viene concesso il riconoscimento giuridico di rifugiato e che per i siriani dovrebbe valere lo stesso discorso, dato che fuggono da un paese straziato dalla violenza perpetrate dalle milizie governative di Assad e dai tagliateste dell’Isis, l’Italia e l’Europa non dovrebbero affidarsi alle operazioni Triton e Mare Nostrum, ma creare dei corridoi umanitari per salvare tutte le persone provenienti da questi paesi. Questa sarebbe, probabilmente, la soluzione strategicamente più corretta per conciliare sia il dovere di salvaguardare la vita e i diritti umani di chi lascia la propria casa e il proprio paese a causa di guerra e povertà, sia il diritto degli stati, che accolgono queste persone, di tutelare la sicurezza dei propri cittadini.
Tuttavia, vi è un grande problema e cioè il regolamento “Dublino II”, il quale stabilisce che lo Stato membro dell’Ue competente per l’esame di una domanda d’asilo da parte del richiedente sia quello dove per prima si viene identificati. Questo determina, ad esempio in Italia, il tentativo di non fornire le proprie generalità nel momento in cui si arriva sul suolo italiano non perché, come erroneamente si ritiene, si voglia nascondere l’identità per poi darsi alla macchia e delinquere, ma perché sono molti di più i migranti che, giunti nel nostro paese, intendono poi chiedere asilo in un secondo paese membro dell’Ue. Ma questa libertà è negata automaticamente nel momento in cui le autorità italiane, legittimamente, identificano il migrante.
Da questa perversione burocratica nasce poi il fenomeno della clandestinità dei migranti che d’altronde chiedono solo di poter decidere dove restare.
In conclusione, un anno dopo il 3 ottobre 2013 la situazione è molto critica. L’insicurezza e l’ipocrisia dei stati europei moltiplica le morti di innocenti e, soprattutto, per assurdo, non modifica in meglio le condizioni di sicurezza delle loro frontiere, pur spendendo vagonate di milioni di euro.