Manica: «Io, sindaco a mille euro al mese dico che è una follia»

Prima di entrare nella “casta” del consiglio provinciale, Alessio Manica ha trascorso otto anni - due mandati, di cui l’ultimo interrotto a ottobre per candidarsi nelle liste del Pd - da sindaco di Villa Lagarina. Quattromila abitanti circa, un paese piccolo ma pur sempre più grande di altri 150 comuni trentini (su un totale di 261) che di abitanti ne fanno meno di mille. Quando è stato eletto sindaco aveva 30 anni. Ne ho compiuti 31 dopo l’elezione.
G. Lott, "Trentino", 3 marzo 2014


All’epoca, la legge Amistadi prevedeva sensibili aumenti per gli amministratori pubblici. Quanto guadagnava? Non ho mai condiviso quella legge. Infatti subito dopo l’elezione ho contestato la legge Amistadi e mi sono rimesso al parere del consiglio, che mi assegnò un compenso di 2 mila euro lordi. In tasca me ne rimanevano circa 1.300, 12 mensilità senza contributi nè maturazione di pensioni.

Uno stipendio da operaio a fronte di un impegno che rappresenta anche delle responsabilità penali. Mi sembra comunque un compenso equo. Ho sempre usato la mia auto, senza mai chiedere rimborsi. La mattina lavoravo come dipendente del Comune di Mori, dove ero stato assunto all’ufficio tecnico. Al pomeriggio arrivavo in municipio a Villa. In realtà però fare il sindaco in un piccolo comune è un impegno che ti occupa 24 ore al giorno. Non solo come amministratore, ma anche come figura di riferimento della comunità, alla stessa stregua del parroco, del medico o del carabiniere. Qualsiasi cosa accada, chiamano il sindaco. Anche per premiare i vincitori di una gara podistica o per una visita al Circolo anziani. Rimpiango molto il lato umano di questo ruolo, vicino ai tuoi compaesani.

Anche se era esposto al rischio di denunce? Un sindaco in carriera passa almeno un paio di volte dal tribunale. Si è rivestiti di molte responsabilità. Ricordo il caso di un sindaco altoatesino, condannato per una persona annegata in una piscina comunale. Dovette vendersi la casa per indennizzare la controparte. Triste, ma fa parte del ruolo.

Per una paga da operaio, è un rischio un po’ eccessivo rispetto a quello pressoché nullo di un consigliere provinciale. Se avessi carta bianca, ridurrei i comuni a 120, 130 al massimo, dando a ciascuno una dimensione adeguata, e a quel punto stipendi più alti per sindaci e giunta, poiché diverrebbe un impegno a tempo pieno.

Da quattro mesi siede in consiglio provinciale: tutta un’altra cosa. Anche come trattamento economico, pur non beneficiando delle “pensioni d’oro” che spettavano ai consiglieri fino a ottobre scorso. Sono ruoli diversi, ci si allontana dalla gente ma si entra nella cosiddetta “casta”, che però lavora a livello legislativo. Non avere i benefici ante 2013 mi fa sentire più leggero, sarei in grave imbarazzo a percepire certe somme.

Non è che guadagni poco. Per l’esattezza 5.300 euro al mese. Io sono uno di quelli che dà al partito il 25% dello stipendio, per cui il netto che rimane è intorno ai 4 mila euro. Una bella cifra, secondo me consona al ruolo. Non mi vergogno di ciò che guadagno. Lo faccio a tempo pieno e oggi non ci sono più nè benefit né altri privilegi. I soldi per i gruppi si spendono solo per il partito, c’è stata una giusta stretta sui costi della politica. Tuttavia ci portiamo sulla schiena la coda del vecchio sistema.

Quello delle pensioni d’oro. Quando ho letto le cifre delle liquidazioni non credevo ai miei occhi. Non ho problemi a dire che è una spesa scellerata, inaccettabile e indifendibile. Il problema è come intervenire ora. Ma è evidente che qualcosa bisogna fare. Bisogna però operare una netta distinzione.

Sarebbe? Far capire alla nostra gente, che ha tutte le ragioni di indignarsi per le liquidazioni d’oro, che oggi non funziona più così per chi viene eletto in Provincia. Solo noi e l’Emilia Romagna abbiamo tagliato i privilegi. Nelle altre regioni funziona tale e quale a prima, ma non se ne parla altrettanto.