Ben ha fatto il Presidente Ugo Rossi a riprendere sulle pagine del quotidiano l’Adige la coraggiosa iniziativa del nuovo Segretario del PD Matteo Renzi sul tema del lavoro rivendicando i risultati dell’Autonomia trentina in termini di politiche attive e di buone relazioni industriali.Lorenzo Passerini, 20 dicembre 2013
Il dibattito «riforma del lavoro» sconta oggi un rischio, come spesso capita nel nostro Paese, ossia quello di essere appiattito sull’articolo 18 e di esaurirsi in facili slogan che semplificano la realtà e che possono interrompere le spinte riformiste. Ritengo invece che il confronto sul tema del lavoro non possa essere avulso da una prospettiva di sistema, che intrecci tutte le sue dimensioni: la complessità delle (troppe) fattispecie contrattuali, che vanno semplificate; la competitività del tessuto economico, che va rilanciata attraverso il capitale umano; l’integrazione tra formazione e ricerca, che deve supportare l’innesto di nuove professionalità nelle imprese; le politiche attive del lavoro, che devono offrire tutele più eque ed adatte ai nuovi scenari. L’impostazione del “Job Act” proposto dal nuovo corso del PD sembra andare in queste direzione: semplificare le regole e dare nuovi diritti a chi non li ha.
Oggi le politiche pubbliche per il lavoro sono tarate su un modello organizzativo fordistico, nel quale il profilo standard del lavoratore corrisponde a quello di un individuo di sesso maschile, impiegato nella grande industria e che nel corso della sua esperienza lavorativa rimane dipendente di una sola impresa. Il contesto attuale è radicalmente cambiato e per questa ragione non è possibile limitarsi, solo, a conservare l’esistente: infatti così facendo si difendono solo formalmente i già protetti, peraltro spesso attraverso mere enunciazioni giuridiche che mal si coniugano con la realtà. Spesso infatti, come ha ricordato molte volte il Sen. Pietro Ichino, il mercato del lavoro italiano viene definito come «il mercato del lavoro peggiore del mondo»: peggiore non per il tasso di lavoro precario, che è più o meno in linea con il resto d’Europa, ma per il maggior tasso di disoccupazione permanente, di lavoro nero, di esclusione dal lavoro di donne, giovani e anziani.
È per questo che la prospettiva indicata dal “Job Act” mira a coniugare la flessibilità dei contratti con la sicurezza dei lavoratori. Da un lato, la cosiddetta flessibilità in uscita va spalmata fra tutti i protagonisti del mercato del lavoro, dall'altro, si deve ragionare anche sulla flessibilità in entrata e sulle difficoltà per i giovani a costruire percorsi professionali adeguati.
Ma il fulcro del mercato del lavoro è il suo legame con la qualità del sistema economico. È necessario ridurre la distanza tra la scuola, l’alta formazione, la ricerca e le imprese per far si che i giovani possano trovare una struttura economica in cui finalizzare le loro aspettative di lavoro con l’obiettivo di travasare gli investimenti in ricerca nel sistema produttivo, trasformando il sapere in valore economico. Partendo da questa consapevolezza si deve investire sempre di più nell’istruzione, nella ricerca, nella formazione permanente, nell’irrobustimento dei poli tecnologici e scientifici. Questo per offrire percorsi qualificanti per i giovani e per rigenerare la nostra piattaforma produttiva.
C'è, infine, la dimensione del welfare. Oggi l’Italia carica i giovani di un enorme debito pubblico e pensionistico e li priva di prospettive per il futuro relegandoli ai margini del mercato del lavoro. La spesa per la protezione sociale è ripartita in modo del tutto svantaggioso per le nuove generazioni di lavoratori, garantendo prevalentemente il sistema pensionistico e sanitario. Soltanto il 18 per cento delle persone in cerca di occupazione riceve un sussidio, mentre negli altri paesi europei, dove la spesa sociale è distribuita in modo meno sproporzionato e non penalizzante, oltre il 70 per cento dei disoccupati riceve un benefit. L’obiettivo dev’essere quindi, anche nell’attuazione delle deleghe sugli ammortizzatori sociali della nostra Autonomia, quello di garantire maggiore equità del sistema di welfare, attraverso misure modellate sulla generalità dei cittadini.
In sintesi, lavoro, qualità del tessuto economico e welfare sono versanti del medesimo problema, da affrontare in modo organico. Se la flessibilità non va caricata solo sulle spalle dei cosiddetti “outsider” del mercato del lavoro vanno anche garantiti sistemi di qualificazione permanente della forza lavoro, servizi pubblici di incontro tra domanda e offerta e un livello di protezione sociale sicuramente più alto dell'attuale.
Tutti questi temi devono contribuire a rafforzare il ruolo del Partito Democratico alla guida del Paese con una proposta politica capace di governare il cambiamento e di produrre una svolta all’altezza dei tempi. Una spinta riformatrice che non si deve interrompere.
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