Zeni ha ricordato la difficile situazione che sta attraversando il Paese, attraversato da una crisi strutturale resa più evidente dalla crisi economica internazionale, con una politica che ha perso credibilità.
Trento, 3 ottobre 2011
Una crisi che si innesta all’interno di una profonda fase di riassetto dei rapporti tra territori e istituzioni; negli ultimi anni il tema che passa sotto “federalismo”, in particolare quello fiscale, non deriva tanto da diverse impostazioni nella visione di qualche partito, ma dai difficili rapporti tra Stato centrale e Regioni, tra Regioni a Statuto ordinario e Regioni a Statuto speciale, tra nord e sud del Paese. Tensione che è riesplosa in occasione dell’ultima manovra di settembre, dove lo Stato centrale ha penalizzato fortemente tutte le autonomie locali.
Oggi occorre essere consapevoli che la finanza dei territori costituisce la pietra angolare dell’intero edificio autonomistico, perché i mezzi finanziari a disposizione delle autonomie incidono sul contenuto delle decisioni politiche dalle stesse adottabili nell’esercizio delle competenze loro riconosciute.
Questo il quadro nel quale ci troviamo a discutere le linee di bilancio per il prossimi anni.
Lo stiamo facendo in un contesto di grande incertezza, con criticità e opportunità che si intersecano, e che dipendono in larga misura dal contesto nazionale ed internazionale, a cui siamo legati a doppio filo, a dispetto di chi pensava che potessimo essere sufficienti a noi stessi e che quanto si muove intorno a noi non incidesse sulle sorti della nostra autonomia:
1) Innanzitutto non è ancora chiaro se e quanto sarà l’importo richiesto per il Patto di stabilità per i prossimi anni, e questo incide sulla possibilità di spesa e sulle ipotesi di spostare di anno in anno alcuni pagamenti (espediente peraltro discutibile nel merito) perché se la situazione attuale dovesse continuare poi ci troveremmo in difficoltà.
2) Sappiamo poi essere possibili ulteriori manovre nazionali, e verosimilmente gli interventi prevederanno la riserva all’erario per le nuove e magari anche per le vecchie misure adottate, e questo significherebbe un ulteriore appesantimento per imprese e cittadini senza nuove entrate per la Provincia.
3) Ci sono infine molti interrogativi sull’andamento dell’economia nazionale e trentina nei prossimi anni. Molti indicatori ci dicono che in questi ultimi tre anni di crisi il Trentino ha tenuto molto bene rispetto al resto del Paese, ma vediamo anche che a fronte di una forte immissione di risorse pubbliche, iniziano ad esserci preoccupanti segnali di difficoltà per la crescita (siamo ormai in media nazionale, inferiori all’Alto Adige), per l’accesso al credito, per il futuro stesso di molte imprese, per l’occupazione, in particolare giovanile, quasi in linea con il resto del nord est. E ci sono indicatori come numero di spin off e brevetti che ci mostrano un sistema che deve ancora crescere.
4) Un percorso, quello dei prossimi anni, reso più impegnativo dalla consapevolezza che fino al 2018 riceveremo dallo Stato dei crediti arretrati che sono stati sbloccati con l’Accordo di Milano, per un importo di circa 4-500 milioni all’anno, ma che a partire da quella data non rappresenteranno più una voce di entrata.
Zeni è poi passato al sostegno alla linea che spinge su competitività e la produttività delle imprese, perché il nostro bilancio dipende dalla salute del nostro tessuto produttivo. Più competitività, più crescita, significa più ricchezza per le casse provinciali e dunque più interventi di perequazione, di sostegno alla solidarietà e alla giustizia sociale.
Ed ha ribadito che oggi serve meno contribuzione a pioggia e maggiore capacità di puntare su ricerca, innovazione, giovani imprese, reti e filiere. Ma possiamo fare molto di più – ha sostenuto Zeni - anche per stimolare una cultura d’impresa che in Trentino è forse rimasta sopita a causa di un accompagnamento pubblico che ha troppo spesso deresponsabilizzato le imprese. Apriamo di più agli imprenditori privati, ma chiediamo al contempo più coraggio.
Dopo la manovra anticongiunturale del 2008-2010, in cui si sono spese moltissime risorse per sostenere interi settori in crisi, si deve chiudere una fase in cui si sono salvate aziende la cui crisi è stata solo rimandata.
Non ce lo possiamo più permettere.
Così come non ci si può più permettere il sistema di società controllate come quello attuale.
Zeni ha concluso con una preoccupata considerazione, che riportiamo quasi integralmente:
Alla luce dei rischi che si presentano per gli anni a venire e che abbiamo ricordato – patto di stabilità per i prossimi anni, crisi economica duratura, nuove manovre nazionali, venir meno dal 2018 dei crediti arretrati – sarà molto importante una politica di bilancio rigorosa e prudente: diversamente, cosa accadrebbe se la crescita del PIL fosse inferiore alle attese e il Paese ci chiedesse ulteriori sacrifici? Prepariamoci alle condizioni più difficili, con l’ottimismo e l’impegno di chi pensa si possa ripartire con slancio!
Certo, non è facile da un lato proseguire con una politica di investimenti alta, investimenti che peraltro dovranno essere sempre più oculati e attenti ai costi di gestione che comporteranno, insieme ad una politica di rigore di bilancio, ma abbiamo ancora le risorse per farlo, e questo è evidente se confrontiamo le risorse della nostra autonomia con quelle di altre aree.
Doveroso razionalizzare la spesa e migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione; avremo modo nelle prossime settimane di approfondire questo tema, vorrei soltanto anticipare la proposta del gruppo del Pd relativa al passaggio dai sistemi operativi con licenza all’open source per tutta la pubblica amministrazione, con risparmi di milioni di euro ogni anno.
Accanto a questo, abbiamo il dovere di accantonare sul bilancio dei prossimi esercizi una quota di risorse, e questo ce lo impone il patto di stabilità, ma anche di diminuire ulteriormente le uscite, senza aver paura di ridurre di qualche punto il bilancio complessivo. Lo abbiamo fatto lo scorso anno, quando avevamo “soltanto” 59 milioni richiesti per il patto di stabilità ed un “meno” rispetto al 2010, potremo farlo anche nei prossimi, in modo da arrivare al 2018 preparati: sono troppe le variabili in gioco per rischiare. Naturalmente tutto questo senza incrementare ulteriormente il debito, anzi, cercando di ridurlo, perché sarà un fardello che ingesserà la possibilità di manovra per chi verrà dopo di noi.
Lavoriamo con ottimismo ma con l’atteggiamento del buon padre di famiglia che sa che l’inverno potrebbe essere ancora lungo, e per questo privilegia la solidità della sua casa e la capienza della sua dispensa.
Se poi i rischi non si avvereranno, il patto di stabilità verrà meno, l’economia tornerà a galoppare, il Paese riuscirà a fare quelle riforme che aspettiamo da anni, tanto meglio! Avremo nuove entrate e maggiore flessibilità di bilancio!