La manovra e gli orari d'apertura degli esercizi commerciali - Alcune riflessioni

Con la “manovra bis” il Governo ha scavalcato le Regioni e le Provincie autonome imponendo loro una liberalizzazione totale degli orari d’apertura degli esercizi commerciali impiegando strumentalmente il principio di matrice europea della libera concorrenza.
Alessandro Olivi, 25 agosto 2011

Il Decreto (e la sua eventuale conversione in legge da parte del Parlamento) si pone in contrasto con l’impianto della nostra Riforma del luglio 2010. Riforma, giova ricordare, attenta alla salvaguardia degli elementi di qualità del sistema – sia in relazione alla programmazione commerciale, sia in relazione agli orari di apertura – ed imperniata intorno al principio della sostenibilità e quindi in grado di coniugare l’esigenza di modernizzazione del settore con le esigenze dei territori.

Nella legge provinciale in materia di orari i Comuni sono stati classificati in gruppi omogenei per quanto riguarda le vocazioni e le specificità dei territori: principalmente come comuni ad economia turistica e comuni ad attrazione commerciale.

L’elemento particolarmente innovativo riguarda i comuni urbani (classificati ad attrazione commerciale), quali Rovereto e Trento, che precedentemente erano privi della possibilità di orientare il loro modello di sviluppo commerciale verso obiettivi di maggior attenzione alle esigenze del consumatore. La nostra legge del commercio attribuisce loro una maggiore autonomia decisionale e quindi la possibilità di graduare le loro aperture nel corso dell’anno secondo modelli flessibili e duttili, senza bisogno di essere incasellati dentro provvedimenti troppo rigidi. L’orientamento della Giunta provinciale non è stato quindi quello di una liberalizzazione senza regole, ma quello di attribuire un nuovo protagonismo ai territori. Il provvedimento di classificazione del Comune quale Comune ad attrattività commerciale è infatti assunto con delibera del Consiglio comunale, sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti. Si evidenzia, a tale proposito, la disposizione che prevede, a seguito dell’attribuzione della qualifica di Comune ad attrattività commerciale, l’effettuazione di una valutazione dei servizi di conciliazione famiglia-lavoro per verificarne la congruità circa la capacità di far fronte ai nuovi bisogni dei lavoratori. Ove necessario è previsto che i comuni provvedano al loro potenziamento. Alle Amministrazione viene quindi attribuito un importante ruolo: quello di mediare tra le esigenze e gli interessi dei consumatori, dei lavoratori del settore, delle imprese commerciali, dei consorzi di valorizzazione.

La nostra Riforma ha anticipato il dibattito che poi, a livello nazionale, è stato sollevato dal sindaco di Firenze Matteo Renzi, che in occasione del primo maggio aveva acconsentito all’apertura dei negozi. La posizione di Renzi evidenziava l’importanza di valorizzare l’autonomia delle municipalità, elemento già contenuto all’interno della nostra normativa.

Successivamente il primo decreto del Governo approvato a luglio, e già convertito in legge, sembrava molto simile al nostro impianto riformatore in quanto delegava alle Regioni e alle Province autonome l’individuazione delle città d’arte o turistiche, differenziando quindi i Comuni sulla base delle loro caratteristiche.

Con il secondo decreto del 13 agosto invece il Governo va ad intaccare l’autonomia degli Enti locali impiegando il principio europeo della libera concorrenza come un grimaldello per scardinare il diritto dei territori a pianificare il proprio sviluppo.

Sul piano politico è quindi una scelta inopportuna e lesiva dell’autonomia non solo delle Regioni e delle Provincie a Statuto speciale, come la nostra, ma anche di quelle a Statuto ordinario. Il governo si nasconde strumentalmente dietro il principio della libera concorrenza derivante dagli atti normativi comunitari, quali fonti del diritto di rango superiore, non tenendo conto che tale principio può essere recepito dalle discipline locali sulla base delle singole specificità dei territori. Nella nostra Provincia la direttiva relativa ai servizi nel mercato interno (direttiva Bolkestein) è già stata applicata nella nostra legge tenendo conto che il Trentino ha caratteristiche sociali, economiche, orografiche molto diverse dal resto del Paese e dell’Europa; infatti il Trentino non è “una spianata Padana” e quindi deve potersi dotare di modelli di sviluppo specifici. Il Trentino è europeista e autonomista al tempo stesso, tanto che la nostra norma è stata notificata anche a Bruxelles.

Nel merito inoltre non si può condividere il provvedimento del governo in quanto non è di questo che ha bisogno il commercio; “l’apriamo tutti e sempre” non è sicuramente l’elemento che può arricchire e rivitalizzare il settore. Non è così che cresce il consumo, ma piuttosto aumentando la quota di reddito disponibile al consumo stesso. La legge provinciale, ad esempio, stabilisce anche alcune linee di indirizzo per privilegiare il commercio di prossimità, le medie strutture, le botteghe storiche dei nostri centri urbani. La scelta del Governo pare invece orientata a mero beneficio dei colossi della distribuzione, che possono permettersi di coprire domeniche, festività e orari prolungati.

Mettiamo quindi la nostra legge sul commercio a disposizione del Governo, perché ne possa trarre utili indicazioni. Ci muoveremo quindi per contestare i provvedimenti contenuti in finanziaria, a livello di Conferenza Stato-Regioni, il luogo istituzionalmente deputato dove potremo confrontarci con il Governo.