Convegno sulla forma partito (Sanzeno, 9 luglio) - L'INTERVENTO DI ROBERTO PINTER

Più che la forma partito la priorità sembrerebbe il contenuto delle politiche. Le criticità del PD sono infatti colte nella incertezza delle politiche, nella fragile unità, nel limitato rinnovamento del gruppo dirigente, nella maldestra gestione delle primarie, nella scarsa capacità di cogliere e interpretare gli umori della base, es. referendum, costi della politica.
Roberto Pinter, 4 agosto 2011

Ma queste criticità toccano anche la forma perché riguardano la partecipazione, il modo di formazione delle scelte, il rapporto tra amministratori e partito.
Per questo è condivisibile lo sforzo di riflessione avviato con la conferenza di autunno sul partito.
Bersani ha indicato alcuni nodi che vanno oltre la incomprensibile contrapposizione tra partito solido e partito liquido. Ne cito alcuni:
la necessità di un partito aperto ma robusto, che superi le correnti verticali e rafforzi la dimensione territoriale, che offra strumenti migliori di partecipazione, che definisca il ruolo degli iscritti e il rapporto con gli amministratori, che usi le primarie evitando convenienze e rese dei conti, che preveda alcuni strumenti di controllo  e che redistribuisca le risorse troppo concentrate sulla dimensione istituzionale...

Il Partito democratico del Trentino parteciperà a questa riflessione e dopo le recenti modifiche apportate al regolamento dei circoli e delle comunità di valle, affronterà anche la revisione di uno statuto che risente del processo costitutivo e che risulta oggi inadeguato rispetto alla crescita del partito e alle diverse esigenze non affrontate dallo statuto: dalla modalità di scelta dei candidati e amministratori al loro rapporto con il partito, dal ruolo degli iscritti alla organizzazione delle donne e dei giovani, dalla verifica dell'operato dei gruppi dirigenti a quella del funzionamento dei circoli...

Voglio offrire un contributo al dibattito con alcune riflessioni “provocatorie”:

io ho scelto di “costruire” e aderire al PD perché soggetto democratico e federato che superava storie e pensieri, nei quali non mi potevo riconoscere , offrendo la possibilità di una nuova sintesi non come sommatoria ma come inedito risultato di “una testa un voto”, in realtà se guardo alla realtà vedo alcune contraddizioni:

l'assemblea costituente ha rinunciato al suo ruolo limitandosi a registrare le mediazioni di un ristretto gruppo dirigente;

il gruppo dirigente è stato scelto su base correntizia e non espressione di un partito federalista;

ci ritroviamo con lo stesso gruppo dirigente di sempre che non da l'idea di un partito innovativo;

l'investitura mediatica di nuovi dirigenti non ha portato poi ad effettivi dirigenti lasciando ai tradizionali apparati l'onere della partecipazione;

le primarie sono state usate per i gruppi dirigenti ma non per gli eletti per i quali  prevalgono deroghe e cooptazioni;

il partito non ha ceduto alla deriva leaderistico-plebiscitaria ma tra legittimazione diretta con le primarie e bisogno di organizzazione democratica non si è trovato il giusto equilibrio;

ci siamo concentrati su regole e statuti e lacerati con le primarie ma poi gli eletti sono stati lasciati in libertà senza possibilità di verifica delle loro scelte e delle continue differenziazioni ;

in Trentino il PD ha dimostrato una capacità innovativa maggiore anche per la diversa miscela di componenti storiche e componenti inedite, con un ruolo limitato delle correnti nazionali, prova ne è anche l'aggancio nazionale di due soli su quattro candidati alla segreteria provinciale- per inciso ora Bersani ammette l'errore di aver agganciato la scelta dei segretari regionali a quella del segretario nazionale, imperdonabile per un partito che si dice federato-,
ma anche in Trentino abbiamo dei nodi irrisolti:  la mancanza di una delle componenti che inizialmente si era riconosciuta nel PD (quella che ha dato vita poi all'UPT), la scelta non compiuta sul partito confederato, la ricerca di un radicamento territoriale del partito che vada oltre  le tradizionali forme di raccolta del consenso ma che assuma anche dimensioni popolari.

Le primarie sono uno strumento importante per offrire una base allargata, sono linfa vitale per una politica in sofferenza nella partecipazione, ma se gli iscritti sono troppo pochi per essere adeguatamente rappresentativi anche le primarie non assicurano la scelta e la formazione di gruppi dirigenti rappresentativi e responsabili.

Gli amministratori si sentono più legittimati e più rappresentativi, ma in realtà è difficile misurarlo prescindendo dal valore  e dal contributo del partito. In teoria e per lo più anche in pratica è il partito che sceglie gli amministratori (o che gli adotta) e dunque bisognerebbe trovare il giusto modo di ricondurre ad unità azione politica e attività amministrativa.

Non ci sono formule perfette ma sicuramente un partito che vuole svolgere le funzioni alle quali è chiamato non deve ridursi a strumento elettorale e ha bisogno di una organizzazione democratica che sia capace di assicurare che una testa un voto non sia una chimera, che sia aperta veramente e che ricorra a strumenti innovativi per permettere una partecipazione più allargata (comprese le primarie che dovrebbero però essere usate di più per la scelta dei candidati), che sia trasparente e verificabile e valutabile.

Il problema vero è come assicurare che un partito sia un soggetto collettivo e democratico capace di elaborare autonomamente un proprio pensiero. Il Partito Democratico non ha nulla da spartire con i partiti a misura di leader e di gruppi di interesse che dominano purtroppo la scena italiana e qualche volta anche quella trentina, non deve inseguire modelli che appartengono ad altre tradizioni, deve partire dalla tradizione partecipativa e democratica, che non è , se non in piccola parte, dei soli partiti  e per quanto ci riguarda anche dalla peculiarità trentina, trovando forme e strumenti contemporanei ma senza rinunciare alla fatica della democrazia.

La scommessa è quella di un partito popolare, dove ci sia una elaborazione collettiva, che non è altro dai suoi amministratori ma nemmeno coincide con la dimensione del governo, che non delega agli eletti ciò che non è autonomia degli eletti, che riconosce il ruolo degli iscritti ma dove valgano le regole statutarie senza assicurare privilegi e deroghe e concentrazione di risorse.

Un partito federato i cui gruppi dirigenti siano prevalente espressione territoriale abbandonando appartenenze a gruppi e  correnti, capace di assicurare minoranze e dissenso ma capace anche  di chiedere il rispetto delle scelte democratiche. Un partito che non arretri sulle pari opportunità e che le estenda dagli organismi dirigenti alle dimensioni istituzionali.

Difficile capire come un partito abbia fatto così tanta fatica a capire che sui referendum c'era una volontà forte e condivisa del proprio elettorato che voleva la tutela del bene comune e della sicurezza rispetto alla presunzione del governo del profitto e del progresso scientifico.

Difficile capire come un partito popolare sia stato così poco sensibile al tema dei privilegi e dei costi della politica.

Difficile capire come i distinguo individuali e gli interessi delle correnti possano prevalere sul bisogno di unità  del partito.

Difficile capire come il rispetto del codice etico e della trasparenza non siano così forti da evitare la compromissione della credibilità del partito.

Non sarà solo questione di forma, ma sicuramente la forma è importante per permettere a tutti di potersi riconoscere senza lasciare ad alcuno il diritto di esclusiva. C'è il vizio di volere un partito a propria immagine e quando non coincide allora non va più bene, invece bisognerebbe avere la garanzia che il proprio diritto di partecipazione vale esattamente quello di qualunque altro e la fiducia che il risultato democratico è quello in cui ci si può riconoscersi.