Giungono quotidianamente, destando grandissima preoccupazione, notizie che riguardano gli andamenti della finanza e dell'economia: il destino della piccola Grecia si intreccia con le sorti del gigante americano, la manovra finanziaria italiana si inserisce nel quadro più vasto dell'Unione Europea, la conferma del rating a tripla A alla Provincia di Trento si scontra con il rischio declassamento che corre il nostro Paese.Bruno Dorigatti, "L'Adige", 28 luglio 2011
Mai come in questa fase il governo dei territori è inscindibilmente legato ai flussi e alle dinamiche internazionali: al punto che è facile spaventarsi, di fronte alla difficoltà oggettiva di comprendere fino in fondo quanto avviene nel mondo e come questo condizionerà la nostra esistenza, la nostra vita quotidiana, il nostro futuro.
Paure legittime e comprensibili, ma che non devono mai tramutarsi in arrendevolezza o, peggio, in una chiusura autoconservativa: al contrario, sono proprio questi i momenti in cui è necessario fare un balzo in avanti, in uno sforzo di conoscenza e analisi che- dopo averci fatto capire bene il mondo- ci permetta di affrontarne le sfide senza sudditanza e senso di inferiorità. E' il momento, insomma, per uscire da quel "Trentino piccolo piccolo" di cui parlava Walter Micheli.
La legge provinciale che riforma il sostegno pubblico alle imprese è un buon passo avanti in questa direzione: l'obiettivo di dotare in tempi rapidi il Trentino di una norma moderna, che superasse la logica dei contributi indiscriminati e puntasse ad una maggiore selettività degli incentivi, è stato rispettato, ed è già un risultato gratificante. Certo non è una rivoluzione, e alcuni vecchi meccanismi rimangono inalterati, ma almeno si è definito un quadro normativo che ha posto l'accento sull'innovazione, lo sviluppo tecnologico, la proiezione internazionale dell'impresa, la sostenibilità ambientale, la qualità del lavoro.
In sostanza, quello che si è voluto affermare è che l'impresa deve essere motore di innovazione e che il sostegno pubblico deve premiare i comportamenti virtuosi, l'assunzione di rischi, gli investimenti che puntano alla crescita.
Questo significa che il contributo pubblico all'iniziativa privata sarà teso a generare sviluppo e occupazione di qualità, non a coprire i bilanci delle aziende: se non una rivoluzione, una corretta applicazione di questi principi rappresenterebbe certamente una buona e utile riforma. Ed è chiaro quindi che la partita non si ferma qui: buona parte della sfida si giocherà sul campo dei regolamenti attuativi, quando si tratterà di garantire norme efficaci e stanziamenti di adeguate risorse, in una logica di collaborazione e condivisione delle scelte tra Istituzioni e parti sociali.
La norma approvata contiene anche un breve passaggio sulla partecipazione dei lavoratori alla vita d'impresa. Una piccola ma significativa apertura nei confronti di un tema fino ad oggi sottovalutato, quasi un "tabù" nella discussione sul futuro del nostro modello economico. Eppure la consapevolezza che un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte aziendali possa essere una delle chiavi della ripresa non è solo al centro delle riflessioni teoriche, ma è alla base dell'ormai stabile successo economico della Germania, la quale applica ormai da mezzo secolo i principi della Mitbestimmung (Codecisione). La domanda che ci dobbiamo porre è semplice: la crisi che ha colpito tutte le economie sviluppate è un incidente di percorso o ha radici profonde e strutturali? Per superarla bastano interventi tampone o è necessario un radicale ripensamento delle stesse fondamenta dei modelli economici occidentali?
L'idea che non bastino piccoli accorgimenti è ormai patrimonio comune; anche la Chiesa ha pesantemente criticato il modello di sviluppo economico dominante negli ultimi decenni, evidenziandone gli aspetti più dannosi: la centralità del profitto, l'irresponsabilità sociale dell'impresa, la marginalizzazione degli ideali di giustizia dall'economia. I principi di uguaglianza, che stanno alla base di ogni sistema democratico, devono condizionare positivamente ogni ambito dell'agire umano: anche quello economico, nel quale bisogna affermare valori di responsabilità collettiva e non solo la realizzazione di interessi particolari.
Un'elaborazione di grande valore etico, ma che affronta questioni che entrano nel concreto dei sistemi economici oggi in crisi. Crisi che impone di trovare risposte nuove ai sempre più complessi interrogativi posti dalla concorrenza internazionale, dall'instabilità dei mercati, dalle esigenze della produzione. Forme di organizzazione del lavoro innovative e altrettanto nuove modalità di gestione dell'impresa sono soluzioni indispensabili per costruire un tessuto economico stabile, capace di produrre ricchezza e posti di lavoro di qualità.
Come affermava Bruno Trentin, la "democrazia industriale" è un modello capace di stimolare "una politica fondata sull'innovazione, la ricerca, la formazione, la salvaguardia degli interessi ecologici dei territori". Priorità, queste, che dobbiamo mettere al centro del progetto di sviluppo del Trentino e che possono essere garantite solo immaginando un continuo processo di democratizzazione della società, di tutti i suoi luoghi, "dalla scuola alla fabbrica".
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