Ascoltare Napolitano

Una proposta concreta a tutti i parlamentari per combattere l'uso politico della giustizia.
Giorgio Tonini, "Il Foglio", 23 luglio 2011

Lo dico sottovoce, consapevole della complessità tecnica e politica del te­ma, ma sono sempre più convinto che un rimedio efficace alle "contrapposizioni tra politica e giustizia", che il presidente Napolitano è tornato a denunciare l'altro ieri nello straordinario discorso ai giova­ni magistrati, possa essere ricercato solo mettendo in discussione, nel cauto senso letterale dell'espressione, l'attuale regi­me di "giustizia domestica", sia per i par­lamentari che per i magistrati.
Partiamo dai primi. A me pare che il voto alla Camera sul caso Papa, insieme con quello in Senato sul caso Tedesco, abbia dimostrato in modo definitivo la strutturale inadeguatezza, dell'attuale re­gime di applicazione delle garanzie costi­tuzionali a tutela dell'attività parlamentare, ad assicurare il giusto equilibrio tra principio di legalità e salvaguardia della rappresentanza politica. L'articolo 68 del­la Costituzione, come modificato in sen­so restrittivo nel 1993, quando è stata abo­lita l'autorizzazione a procedere per tut­ti i reati contenuta nella Carta del 1948, prevede infatti che nessun parlamentare possa essere perseguito per i reati d'opi­nione (comma 1), e che non possa venire privato della libertà, o sottoposto a per­quisizione o intercettazione "senza auto­rizzazione della Camera alla quale appartiene" (comma 2), La garanzia di im­munità è quindi affidata a un atto discre­zionale di un organo politico, per di più (e non potrebbe essere diversamente) espresso a maggioranza. Detto con altre parole, la valutazione circa una garanzia costituzionale è affidata dalla Costituzio­ne stessa a un atto squisitamente politi­co di una maggioranza parlamentare. La conseguenza di questa norma è una a me pare tragica eterogenesi dei fini: un isti­tuto immaginato per impedire l'uso poli­tico della giustizia si è rovesciato nel suo contrario, la sistematica politicizzazione della giurisdizione sui parlamentari.
E' infatti del tutto evidente che il deputato Papa deve il suo arresto alla circostanza, tutta e solo politica, che la richiesta che lo riguardava è giunta alla Camera quan­do "la pazienza della Lega era ormai fi­nita". Fosse arrivata un attimo prima, quando la pazienza padana c'era ancora, oggi Papa, per ragioni ugualmente tutte e solo politiche, non sarebbe tra i som­mersi a Poggioreale, ma a Montecitorio, insieme con i tanti suoi colleghi salvati, come Tedesco, "a maggioranza". Difficile costruire, su basi tanto fragili e incerte, un rapporto tra giustizia e politica equili­brato e credibile, capace di sostenere lo sguardo, comprensibilmente sempre più severo, dei cittadini.
Non dissimile il discorso da fare riguar­do all'altro versante del problema, quel­lo della magistratura. Nel citato discorso ai tirocinanti, il presidente Napolitano ha denunciato un offuscamento dell'immagi­ne di indipendenza dell'ordine giudizia­rio, a causa del diffondersi tra i magistra­ti di fuorvianti esposizioni mediatiche e di improprie presunzioni di investitura di esorbitanti funzioni politiche: un offusca­mento che mina alla radice la fiducia dei cittadini nei confronti della magistratura. La domanda che sorge spontanea è per­ché simili comportamenti non vengano sanzionati dal Consiglio superiore della magistratura, al quale l'articolo 105 della Costituzione attribuisce la competenza dei provvedimenti disciplinari nei con­fronti dei magistrati. La risposta è proba­bilmente la stessa: per i limiti insuperabi­li della giustizia corporativa, tanto più se essa viene amministrata da rappresentan­ze elettive, per le quali il vincolo di soli­darietà finisce inevitabilmente col preva­lere sul principio di legalità e sulla sua applicazione in modo imparziale.
Queste due parallele considerazioni, basate su fatti difficilmente contestabili, mi pare convergano nel suggerire di pren­dere in esame l'ipotesi di un superamen­to di entrambi gli istituti di giustizia cor­porativa, per affidare sia l'autorizzazione prevista dall'articolo 68, sia i procedimen­ti disciplinari contemplati dall'articolo 105, a un organo terzo, collocato presso la Corte costituzionale, composto ad esem­pio dagli ultimi tre presidenti della Cor­te stessa, provenienti rispettivamente dai giudici nominati dal Presidente della Re­pubblica, da quelli eletti dal Parlamento e da quelli scelti dalle magistrature.
Un organo siffatto (o di analoga composizione e natura) avrebbe il pregio di spoliticiz­zare l'amministrazione delle garanzie co­stituzionali a tutela dei parlamentari e di rendere più penetrante la vigilanza disci­plinare sulla magistratura. Farebbe venir meno, tra l'altro, l'attuale paradossale contraddizione, per la quale all'inflazione di autoassoluzioni della classe politica, mediante l'invocazione, a proposito e più spesso a sproposito, del "fumus persecutionis", non corrisponde poi alcuna conse­guenza disciplinare nei riguardi dei magi­strati solennemente proclamati "persecu­tori" dal Parlamento.
Con evidente scon­certo dei cittadini e disdoro delle istitu­zioni. Unificando la sede del giudizio, non si potrà più dar torto a una parte senza dar ragione all'altra e viceversa. Resta aperta, naturalmente, la domanda circa il realismo di una riforma costituzionale in una temperie politica come l'attuale. Spes contra spem.