Patti ghebardini, nascita dell'autonomia

Nelle giornate fra il 13 ed il 14 luglio dell'anno 1111, il Vescovo di Trento Gebardo sottoscrive, con la Comunità di Fiemme, un documento contenente due patti specifici. Uno in materia di tassazioni e di amministrazione della giustizia e l'altro riguardante un'investitura feudale a quattro rappresentanti dei «vicini» che abitano nella Pieve di Fiemme.
Bruno Dorigatti, "L'Adige", 14 luglio 2011

Si sancisce così la possibilità di negoziazione fra potere centrale ed istanze periferiche, su questioni varie, sia in materia economica come sul terreno delle servitù e dei tributi feudali ed in forza di tali norme, la Comunità di Fiemme diventa un organismo rurale montano, dotato di un qualche grado di autonomia e riconosciuto nel contesto politico - amministrativo del Principato vescovile di Trento. Non è questione di poco conto. Quell'accordo, che passa alla storia con il nome di «Patti Ghebardini», costituisce una prima essenziale testimonianza della vocazione all'autogoverno di queste terre, una vocazione che connota poi quasi tutto il percorso storico del Trentino.
Ricordare quindi quell'avvenimento, significa restituire radici solide all'idea stessa di autonomia, che non è e non può essere solo eredità di un passato composito, ma deve diventare invece costante spinta all' innovare ed al crescere tutti insieme, appunto secondo un principio vero di «Comunità», per evitare le marginalizzazioni incombenti delle piccole realtà, dentro l'epoca di un globale che, in nome di una distorta concezione del mercato, annulla e cancella la ricchezza delle differenze. Oggi, evidentemente, l'autonomia è ben altra cosa da quelle elementari concessioni di allora.
Ma proprio per tale ragione, essa va conquistata ogni giorno, senza dar nulla per scontato; senza perdere la sua dinamicità; senza adagiarsi nel precostituito, perché mai come adesso, la nostra specialità è sottoposta alla minuziosa disamina di nuovi centralismi, che paiono mal sopportare la particolarità di una storia e di un'esperienza di sviluppo e di convivenza, ovunque indicata come esemplare.
L'autonomia non è quindi mai un fatto esaurito in sé. Non è mai elemento statico della storia. Anzi. Essa abbisogna di idee sempre nuove; di assunzioni di responsabilità condivisa; di sacrifici più che di sperperi; di solidarietà e di condivisione, nella convinzione che il senso dell'autonomia stia proprio dentro l'idea stessa di una collettività unità e desiderosa di migliorare il destino con le proprie mani, anziché contare sull'aiuto di fattori mossi da mutevoli interessi esterni. Di contro, l'autonomia è destinata all' evaporazione quando si culla in sé stessa; quando si ferma; quando perde forza propulsiva; quando si crogiola nell'autocompiacimento; quando si riduce ad essere puro mero meccanismo finanziario e quando non esprime più pensiero alto, ma solo basso volo sul quotidiano.
E non è da pensare che tutto possa essere risolto dalla politica o dall' arte di amministrare. Infatti, senza una società consapevole e responsabile, anche la politica, già carica di oggettivi limiti, può ben poco. Ecco perché il novecentesimo anniversario dei «Patti Ghebardini» costituisce uno stimolo alla riflessione circa le prospettive di un'autonomia, ormai posta davanti al bivio della storia, un bivio che chiama alla scelta fra progresso e decadenza.