L'importanza della comprensione del presente e dell'agire in esso è un richiamo "provocatorio" di Roberto Colletti che va colto e apprezzato, quantomeno perché rompe per un momento la retorica- spesso strumentale- sul futuro.
Bruno Dorigatti, 8 luglio 2011
Retorica nella quale, va ammesso, tutti tendiamo a scivolare: ci diciamo ciò che sarebbe utile fare, dispensiamo consigli sulle necessità del domani, ma non sempre siamo così attenti a concretizzare queste nostre considerazioni nella prassi di tutti i giorni. Così, le nostre ambizioni rimangono profezie, o teoria politica da destinare ai posteri, con scarsa capacità di intervento sulle condizioni materiali e quotidiane della vita democratica. Approfitto quindi di questo spazio per provare a cogliere la centralità di uno dei problemi sollevati nell'editoriale pubblicato sabato scorso dal Trentino: il bilanciamento dei poteri all'interno del nuovo modello dell'Autonomia ed in particolare il ruolo del Consiglio provinciale.
Non da oggi si afferma che una democrazia funziona quando riesce a trovare un equilibrio stabile tra potere esecutivo e legislativo, con il primo in grado di governare efficacemente e il secondo capace di esprimere le sue funzioni di indirizzo e controllo politico, nonché la sua naturale prerogativa di produzione legislativa.
Ciò detto, va riconosciuto che- a seguito della riforma elettorale del 2003- il sistema politico- istituzionale trentino è stato profondamente modificato: cambiando natura e ruolo del Presidente e della Giunta provinciale, sono naturalmente mutate anche le funzioni e le peculiarità del Consiglio. A partire, come ricorda puntualmente Camillo Lutteri nel volume "Quarant'anni di Autonomia", dalla condivisione della funzione di rappresentanza della comunità provinciale, non più esclusiva del solo Organo legislativo.
Non è una questione di poco conto. L'elezione diretta del Presidente della Provincia ha rotto il "monopolio" rappresentativo del Consiglio, dando al Governatore uno status nuovo e decisamente più significativo di quanto non avesse in passato. Va da sé che non basta il progetto a realizzare l'opera, ma serve anche chi lo realizzi in concreto: al presente, non c'è dubbio che il Presidente della Provincia abbia rafforzato, con la sua leadership e l'impronta data alla sua azione di governo, questa tendenza all'irrobustimento delle funzioni dell'Esecutivo.
Il Consiglio cosa ha fatto fino ad oggi, si chiede Colletti, e cosa sta facendo per garantire un nuovo bilanciamento dei poteri, riassestando una forma di equilibrio che sembra essere talora venuta meno? La risposta pare abbastanza negativa: la debolezza del Consiglio non ha di fatto posto nessun freno all'agire dell'Esecutivo e all'affermarsi della tecnostruttura provinciale.
Condivido solo in parte questa visione, perché ritengo che il Consiglio, seppur tra molte tensioni, sia riuscito a definire un suo profilo dentro il nuovo sistema, a partire da un rinnovato protagonismo dei suoi membri e dalla riforma delle regole sull'organizzazione e sui lavori consiliari. Processo di riforma non ancora risolto, evidentemente, e che subisce continue scosse di assestamento, come testimonia il frequente ricorso al vecchio regolamento per fini ostruzionistici. Prassi che non solo è sintomo di una non completa metabolizzazione del passaggio di revisione delle regole d'Aula, ma segna la necessità di un'ulteriore riflessione sulla natura stessa del Consiglio e dei suoi poteri.
Uno dei rischi più forti di un modello "semiparlamentare", così come è stato definito quello attuale, è che si finisca per riconoscere esclusivamente la dialettica tra Esecutivo e Opposizione: analisi che finisce per proporre una visione riduttiva e un po' statica dell'Organo legislativo, visto solo come luogo in cui le proposte politiche della Giunta si scontrano con le posizioni della minoranza consiliare.
Proverei quindi a sperimentare una visione più dinamica: per evitare che diventi il campo di battaglia che è diventato in occasione della riforma del sistema della protezione civile, il Consiglio provinciale va vissuto come uno spazio di costruzione di scelte condivise, sfruttando tutti gli strumenti a disposizione, a partire dalle Commissioni, ed inventandone altri, ma soprattutto condividendo un senso di responsabilità che ci faccia emergere dallo stato di assedio in cui si sentono precipitati entrambi gli schieramenti.
I grandi assenti, purtroppo, sono a mio avviso i Partiti politici. La loro crisi è un problema che viene sottovalutato, nelle analisi sul funzionamento dei sistemi democratici e delle loro Istituzioni.
Al contrario, il cortocircuito che spesso si crea all'interno degli organi della democrazia rappresentativa scatta anche a causa della loro ormai palese debolezza: essi non sono più in grado di svolgere il loro ruolo di mediatore tra società e Istituzioni da un lato, e tra diversi livelli istituzionali dall'altro. Sono convinto che i Partiti siano invece elementi importanti del nostro sistema: si tratta quindi di immaginare una loro profonda riforma, non il loro definitivo annichilimento, perché anche dal ruolo che giocheranno si determinerà la qualità dell'azione del Consiglio nella stagione del "Terzo Statuto" e si scongiurerà lo scivolamento in quella "dimensione dispotica" che sopprime la partecipazione e- di fatto- la stessa democrazia.