La discussione in Consiglio provinciale sul disegno di legge 169 sulla Protezione civile


Nardelli: é una legge che valorizza il Trentino nella sua diversità: mettere a sistema il complesso di attività riconducibili alla Protezione Civile significa riconoscere uno dei tratti di qualità di questa terra. Rudari: nessuna contrapposizione tra vigili del fuoco comunali e vigili del fuoco permanenti.
Trento, 10 giugno 2011



I TESTI DEGLI INTERVENTI


- MICHELE NARDELLI

Mi sono chiesto più volte perché vi fosse tanto accanimento di una parte delle minoranze in Consiglio provinciale contro la proposta di riforma della Protezione Civile. Credo che la risposta debba essere ricercata nella diversità del Trentino, nella sua difformità sul piano politico, nella sua diversa struttura economica, nella sua coesione sociale. Diversità che contiene in sé una serie di anticorpi rispetto alle dinamiche di spaesamento che abbiamo conosciuto in altre regioni italiane, laddove alla perdita di identità sociale non corrispondevano altre forme di appartenenza comunitaria.

Qualche anno fa, i responsabili della ricerca sul “Quars”, indice che analizza la qualità del vivere nelle regioni italiane sulla base di indicatori diversi da quelli tradizionali, mi chiamarono per chiedermi ragione del fatto che uno di questi indicatori, quello della partecipazione, risultasse in Trentino con coefficienti doppi rispetto alla Lombardia, che pure era la Regione meglio piazzata a livello nazionale. Risposi che questa difformità derivava dalle reti partecipative che il Trentino ha messo tradizionalmente in campo: mi riferivo all’associazionismo, alla cooperazione, ai cori, alle bande municipali, alla Sat e anche ai Vigili del Fuoco volontari. Questo tessuto, fatto di Comuni e volontariato,  di autonomia e responsabilità, la tradizione di autogoverno e l’attitudine nel farsi carico, ha contribuito ad attenuare gli effetti dello spaesamento che pure toccano anche questa terra, sul piano dell’atomizzazione sociale, della solitudine e della paura.

E’ questa diversità l’oggetto dell’accanimento di una parte delle minoranze. Come ho avuto modo di dire durante i lavori della Terza Commissione Legislativa, quello di cui si sta parlando in questi giorni in Consiglio provinciale non è la legge sui Vigili del Fuoco e– per quanto sia importante il tema della sicurezza – nemmeno solo la Legge sulla Protezione Civile. Quella di cui si discute è la legge che valorizza il Trentino nella sua diversità: mettere a sistema il complesso di attività riconducibili alla Protezione Civile significa riconoscere uno dei tratti di qualità di questa terra.

C’ anche un’altra ragione per spiegare questo accanimento. Corrisponde ad un retro pensiero che di tanto in tanto emerge nelle conversazioni private: pensare che la Protezione Civile sia la “guardia personale” del presidente.  Ridurre questo straordinario sistema partecipativo a strumento personale del presidente Dellai è avvilente, testimonia una visione miope e manichea della realtà trentina.

Parliamo di un sistema che già oggi viene studiato come punto di eccellenza, in Italia come in Europa. A questo proposito ho un preciso ricordo di quando, una decina di anni fa, andai a visitare il Parco nazionale dell’Aspromonte, su invito dell’allora presidente dell’Ente Parco, prof. Tonino Perna. Come è noto, il tema dell’attività anti-incendio in quel Parco è questione cruciale. All’inizio del suo mandato il prof. Perna venne in Trentino a studiare proprio la realtà dei Vigili del Fuoco volontari, a partire dalla necessità di promuovere il controllo del territorio da parte delle comunità locali. Era questa la chiave decisiva per la tutela del patrimonio forestale e così vennero coinvolti i dodici Comuni del Parco e le associazioni locali in un “Contratto di responsabilità dei territori”. L’esito concreto fu che dai 1.000 ettari devastati di foreste ogni anno dagli incendi (quasi sempre dolosi) si arrivò ai 100 – 150 ettari, con una riduzione dell’85/90%.

Potremo definire questa legge come un contratto di responsabilità, che coinvolge – negli interventi come nell’attività di prevenzione – non meno di 11 mila persone, il cui apporto è professionale e volontario: parlo della Protezione civile, dei VVFF volontari e permanenti, dei Nuvola, della Croce Rossa, del Soccorso alpino, dei Psicologi per i popoli… Se a questi aggiungiamo le realtà associazionistiche come la SAT, in realtà questo numero cresce sensibilmente. Insomma, nel nostro sistema di Protezione civile coinvolte sono le comunità.

Eppure questa realtà, che ci viene invidiata da molte regioni, richiede oggi un salto di qualità. In primo luogo per mettere a sistema le diverse componenti della protezione civile e poi per qualificare ulteriormente gli interventi in relazione al mutare dei contesti. Perché già oggi abbiamo a che fare con una complessità che richiede un approccio interdisciplinare. Tanto per fare un esempio abbiamo sempre più a che fare con le conseguenze dei cambiamenti climatici, il che richiede una diffusa capacità di affrontare situazioni nuove, spesso inedite, nella gestione del territorio. E dunque aggiornamento e apprendimento permanente. Richiede insomma un’aggiornata cultura del territorio e della montagna. Andava in questa direzione il Disegno di legge “Integrazione della LP sulla Protezione Civile: prevenzione degli interventi da valanga” poi recepita nel testo della riforma.

E’ questo il tema, per certi versi cruciale, della formazione. Che un sistema tanto diffuso debba avere strutture formative sul territorio non ci piove. Che questa possa essere immaginata in rete con una dimensione nazionale, livelli che solo strumentalmente vengono contrapposti, per metterne in gioco l’autonomia, ci sta. Così come – visti gli interventi che la nostra Protezione Civile è chiamata a realizzare – deve essere adeguatamente attrezzata anche per gli interventi in altri paesi. E proprio in questa direzione va la proposta di emendamento che ho presentato affinché l’attività formativa si possa arricchirsi anche di un diverso sguardo internazionale.

Un altro nodo emerso nel confronto è quello del rapporto fra corpo permanente e volontari nella realtà di Rovereto. L’obiettivo era quello di mettere in moto un percorso virtuoso, che facesse emergere tutta la potenzialità del volontariato nella città della quercia. E la mediazione che si è proposta va esattamente in questa direzione

Infine una considerazione sull’iter legislativo di questo Disegno di Legge che oggi volge a conclusione. Della riforma della Protezione Civile se ne sta parlando dalla passata legislatura e che vi sia stata attenzione al tema lo dimostrano i sette disegni di legge presentati sull’argomento. Il lavoro in Terza Commissione è stato minuzioso, soprattutto nella fase di ascolto: ne è emersa la consapevolezza, l’orgoglio, la professionalità di soggetti che – nell’ambito del variegato mondo della Protezione civile e del volontariato sul piano del soccorso e della prevenzione e difesa ambientale, sono al servizio della nostra comunità. Sarebbe strano che non si evidenziassero anche contraddizioni , non mancano anche dinamiche corporative, ma nessuno può sottrarsi alle sfide del futuro, facendosene carico.  Vi è stata in Commissione anche una significativa apertura verso le proposte dell’opposizione purché non venisse messa in discussione l’impianto della legge e la filosofia della riforma.

Governare dall’opposizione è un concetto a me caro, ma presuppone una dialettica vera, non la descrizione apocalittica del Trentino. Stiamo discutendo di una riforma su uno dei tratti di diversità di questa terra, la cui impronta non l’ha data né la maggioranza, né il PD del Trentino. L’hanno data gli elettori. 

 
- ANDREA RUDARI

Di una legge di riforma del sistema della protezione civile se ne cominciò a parlare quasi dieci anni or sono. E’ dunque un po’ di tempo che amministratori,  persone impegnate direttamente nella protezione civile, professionisti, volontari discutono, si confronto, buttano giù idee e proposte. Ricordo che già una prima stesura della legge di riforma era stata presentata dalla giunta precedente all’attuale e che la stessa si era poi arenata, causa la fine della legislatura. Non si può pertanto dire che l’argomento non sia stato ben ponderato e meditato e che sullo stesso non ci siano stati più momenti di confronto.

Ed oggi, come allora, se volessimo riassumente in una frase ciò che la riforma si doveva prefissare potremmo dire che è quello di “fare sistema, fare rete” fra tutti i soggetti che a vario titolo (sia nell’ambito amministrativo che in quello interventistico) hanno competenze e potestà in questa materia.

In realtà, però, in questi ultimi mesi, tutta l’attenzione del dibattito politico si è concentrata sulla presunta contrapposizione tra il vigile del fuoco comunale ed il vigile del corpo permanente, cioè tra chi svolge un compito di soccorso e protezione in modo volontario e chi lo fa professionalmente, valorizzando – si dice - il primo a scapito del secondo. Questa lettura è, a mio avviso, sbagliata soprattutto per due motivi. In primis, per un aspetto legato alla storia della nostra terra; in secondo luogo, per la volontà di dare una diversa impostazione di fondo alle due componenti.

IL VOLONTARIATO POMPIERISTICO. Le radici del volontariato pompieristico affondano in tempi lontani, così come da tempi lontani deriva lo stretto nesso tra l’attività volontaristica di protezione civile e le comunità municipali. In Trentino, per antica documentata tradizione, l’attività di protezione antincendi e di soccorso in occasione di pubbliche e private calamità, è sempre stata assicurata da una pluralità di formazioni a base volontaria, costituite e presenti in tutte le città ed i paesi, ossia dai Corpi del Vigili del Fuoco volontari comunali.

Queste benemerite formazioni locali, che già furono oggetto di specifiche leggi al tempo in cui il Trentino era parte dell’Impero d’Austria, hanno resistito allo scorrere del tempo ed al mutare dello Stato e della sua forma istituzionale tanto che l’attività da esse svolta è stata espressamente contemplata nella Legge Costituzionale approvava lo statuto speciale per il Trentino Alto Adige, disponendo l’attribuzione alla Regione della potestà di emanare norme legislative nella materia del servizio antincendi.

In attuazione di questa specifica potestà legislativa la Regione, memore delle tradizioni locali, pervenne all’approvazione della Legge Regionale 24/1954, che disciplinava il “Servizio antincendi”, per “la tutela dell’incolumità delle persone e la salvezza delle cose mediante la prevenzione e l’estinzione degli incendi e l’apporto del soccorsi tecnici in genere per pubbliche calamità”, recuperando a nuova vocazione il tradizionale servizio pompieristico comunale; vi era la consapevolezza che, pur essendo il servizio antincendi una materia di competenza regionale, per la pronta salvaguardia delle comunità locali, tenuto conto delle caratteristiche del territorio regionale, della pluralità delle Municipalità e

della necessità di dotarle di semplici ma efficaci strumenti operativi, adeguati al contesto, occorreva che lo stesso venisse assicurato, oltre che mediante i corpi del vigili del fuoco permanenti di Trento e Bolzano e mediante le squadre antincendi aziendali, soprattutto mediante i Corpi del vigili del fuoco volontari che si voleva fossero capillarmente presenti anche nei più piccoli e remoti comuni della regione.

II carattere peculiare e fortemente caratterizzante la legge regionale era perciò dato dalla previsione della obbligatoria costituzione, presso ciascun comune, di un corpo di vigili del fuoco, posto alle dirette dipendenze del sindaco e costituito da personale volontario al quale – conformemente alle storiche tradizioni del servizio locale ma con scelta assolutamente eccezionale rispetto alle usuali modalità e regole di organizzazione, gestione ed erogazione di un pubblico servizio - venivano attribuite straordinarie facoltà di auto organizzazione, su base democratica, relativamente a tutte le questioni organizzative ed operative attinenti al servizio.

Con le specificità ricordate, la Legge Regionale istituiva dunque un servizio di estensione territoriale regionale, ma assicurato ed erogato mediante il concorso di una pluralità di soggetti pubblici e privati, ciascuno autonomo ed istituito presso i Comuni ed organizzato ed erogato dagli stessi, nell’ambito del proprio territorio, quale servizio comunale istituzionale obbligatorio per l’Ente locale.

Le successive modificazioni e gli aggiornamenti dello Statuto Speciale per il Trentino Alto Adige non hanno mutato la competenza regionale in materia, né la disciplina regionale del servizio è venuta meno od è mutata dopo la delega della materia dell’antincendio alle due province autonome di Trento e di Bolzano. La locale organizzazione del servizio antincendi risultava coerente con il disegno costituzionale che vedeva uno Stato, unico e centrale, ripartito in regioni, province e comuni.

Negli ultimi anni sono intervenute sostanziali modifiche nell’assetto dello Stato, nel cui ordinamento si e’ recepito il principio comunitario della “sussidiarietà” che favorisce l’iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale. La complessiva evoluzione della società e del suo quadro  normativo e quindi la complessiva modificazione dei rapporti, anche a livello locale, ha reso necessarie attente riflessioni anche sulla materia del servizio antincendi, alla luce dei principi costituzionali, statutari e normativi di promozione delle autonomie locali, di solidarietà e sussidiarietà, di omogeneità ed adeguatezza ed economicità.

Se i principi portanti delle norme precedenti si potevano considerare ancora coerenti, sicché la disciplina del servizio antincendi locale rimaneva, nella sostanza e nell’impalcato di fondo, valida ed attuale, tuttavia occorrevano invece ammodernamenti per assicurare l’adeguamento del servizio a standard presenti e - per quanto prevedibile - futuri.

Per tali motivi la riforma del servizio antincendi non potrà limitarsi a piccole correzioni ed aggiustamenti, quasi fosse una “manutenzione” o un “rifacimento estetico”, ma dovrà recare sostanziali durevoli innovazioni che valorizzino il Comune e le sue strutture operative quali sede naturale ed elementi fondamentali della complessiva struttura dell’attività antincendi e di soccorso tecnico, per l’immediato soccorso dei cittadini.

Per questa fondamentale ragione il servizio antincendio e di soccorso tecnico comunale, tradizionalmente ed attualmente svolto dal vigili del fuoco volontari, costituisce un unicum proprio dell’ente locale comunale e (non è assimilabile ad altre attività, che pure realizzano forme di intervento solidale e sussidiario, orizzontale e o verticale, istituzionali e spontanee, né può essere a queste omologato e men che meno gerarchicamente sottoordinato, tutt’al più, solo) deve essere funzionalmente coordinato nel più ampio sistema della protezione civile. 

Quindi è la storia della nostra terra e delle nostre comunità ha consegnato a noi oggi questo impianto. E’ il nostro vissuto che ci porta oggi un patrimonio pompieristico volontario comunale che conta numeri importanti. Su 217 comuni trentini operano 239 Corpi dei vigili del fuoco Volontari (di cui 13 sul territorio del Comune di Trento) , composti da 5.219 vigili in servizio attivo; si aggiungono inoltre 1.230 giovani allievi, che speriamo possano essere un florido vivaio per il rafforzamento futuro dei corpi.

L’aspetto della proposta di legge giuntale che a me pare essere assolutamente condivisibile è la volontà di preservare questo patrimonio, che dice della disponibilità di così tante persone di occuparsi gratuitamente della cosa comune; è condivisibile la volontà di preservare questo sistema che il presidente nazionale Gino Gronchi definisce efficacemente “una regola in Europa, che diventa eccezione in Italia”, posto che nelle altre province [Bolzano esclusa] i corpi volontari o non esistono proprio o se ci sono, fanno quel che possono andandosi a comperare le divise od usando mezzi di seconda mano ricevuti in donazione da altri corpi. Un’Italia dove il tempo di intervento medio per interventi di soccorso urgente si avvicina alla mezz’ora contro i 9 minuti sul nostro territorio.

Da un lato c’è dunque la necessità di mettere a sistema e valorizzare, rendere più moralmente forte e consapevole un volontariato diffuso sul territorio; ma al tempo stesso la proposta di legge è l’occasione per chiarire ancor meglio che il corpo permanente è e deve essere un corpo “assolutamente e sicuramente” professionale, un corpo che abbia come proprio fine quello di operare su interventi di tipo straordinario e di elevata tecnicità, in ausilio e sostegno laddove le normali capacità dei volontari e delle comunità locali non bastassero. Io credo dunque che questo, diversamente da chi pensa il contrario, non vuol dire mortificare i vigili permanenti a favore dei volontari; anzi, vuol dire esaltarne le capacità e le specifiche tecniche per le quali sono addestrati, formati e preparati e per le quali sono dotati di mezzi moderni ed esclusivi, così come ci è stato fatto vedere in occasione della visita della Commissione permanente presso la caserma di piazza Centa ed all’eliporto. Non voler cogliere questo significa non voler condividere un sistema di responsabilità e  competenze diffuse sul territorio.

Si dice che la città di Trento non sarebbe sufficientemente tutelata senza i permanenti. Su questo voglio ricordare che nel comune di Trento esistono 13 copri volontari; è pur vero che essi insistono per lo più nei territori dei vecchi comuni quali Cognola, Povo, Mattarello, ma per la città di Trento c’è anche una norma specifica che prevede che

LA PIANIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI DI PREVENZIONE E PROTEZIONE. Non se ne è mai parlato, in questo dibattito, ma vorrei sottolineare come la nuova legge non parla solamente di soccorso e di emergenze. E’ ben vero che il titolo fa riferimento esplicito alla “protezione”, ma la proposta di legge interviene in modo preciso ed efficace anche sull’attività di “prevenzione” che ciascuna comunità deve mettere in atto. Vorrei dunque sottolineare l’importanza della previsione di una pianificazione della protezione civile a livello provinciale e locale, nonché dei piani di emergenza quali strumenti di definizione delle procedure standard di intervento in emergenza, di monitoraggio del territorio e di assistenza alla popolazione. Da assessore alla protezione civile del comune di Trento, ricordo come nel 2000, dopo due mesi autunnali di pioggia ininterrotta, una sera ci trovammo con il sindaco Pacher ed il dirigente della protezione civile Bortolotti nella sala operativa dei vigili del fuoco di fronte alla quasi inevitabile decisione di evacuare gli abitanti di Trento nord, poiché la zona rischiava di andare sotto acqua se l’Adige, raggiunti i limiti, avesse esondato. Per fortuna di tutti noi la pioggia si fermò sul Piemonte (e lì i danni le acque dei fiumi usciti dagli argini li fecero veramente), mentre da noi, smesso di piovere che fu, si evitò il peggio lavorando sulla portata dell’Adige, regolando costantemente l’afflusso delle acque di Noce ed Avisio. Debbo dire che allora non eravamo assolutamente pronti al dover evacuare qualche migliaio di persone; da allora ci si dotò del piano comunale di emergenza per esondazione dell’Adige. 

Necessario quindi che ogni comunità locale, ciascuno per la propria competenza sappia pianificare la prevenzione territoriale.

Ed è giusto che in questa attività di prevenzione – come si prevede - siamo coinvolti direttamente anche i volontari locali. Spesso una frana od uno smottamento o l’esondazione di un rio sono stati evitati per l’esperienza diretta dei luoghi da parte dei vigili locali, che conoscono il proprio territorio proprio perché lo vivono e lo frequentano; così come proprio da verifiche sul posto da parte dei volontari, che conoscevano le problematiche di zone sensibili, si sono potuti evitare disastri intervenendo per tempo con attività di prevenzione.

CENTRALE UNICA DI EMERGENZA. Solo due parole sul quella che è un’altra novità della legge in discussione, cioè la previsione di una “Centrale unica di emergenza”. Credo che la scelta di costituire detta Centrale unica sia motivata non solamente dalla necessità di adeguarsi ad un dettato comunitario, ma dalla necessità di avere un punto di riferimento solo, preparato e formato al proposito in modo moderno, dove il cittadino possa recare le sue richieste. Abbiamo tante forza a disposizione, tante persone pronte ad intervenire e tanti mezzi utili alla bisogna; si tratta dunque di operare a livello di coordinamento complessivo. 

FORMAZIONE. Infine, due parole sulla formazione: il servizio reso dai volontari non deve essere fatto in modo professionistico, ma professionale. Ne va della loro stessa incolumità, ne va della vita delle persone a soccorso delle quali si sono messi. Non abbiamo bisogno di superoi, ma di persone che sappiano fare bene il proprio mestiere, anche alla luce dei molti scenari – intesi non solo in senso ambientale ma anche geografico – in cui i vigili del fuoco si vedono impegnati. Quindi, ben venga una struttura formativa forte, articolata su una scuola specifica che sappia coniugare opportunamente la teoria con le pratiche di soccorso e di intervento. In provincia di Bolzano la scuola antincendi di Vilpiano è ormai diventata un punto di riferimento per tutta la protezione civile italiana, e spesso anche i nostri volontari si recano là a frequentare corsi particolari. Credo che anche il Trentino – e pure di questo è anni che se ne parla – possa aspirare ad avere una struttura altrettanto valida ed efficiente, così come si prevede.