Welfare se ci sei batti un colpo. E certamente questa volta il colpo l'ha battuto forte e chiaro: i principali rappresentanti del terzo settore e del privato sociale hanno a più riprese in questi giorni proposto sulle pagine dell'Adige un importante dibattito circa lo stato di salute e il futuro del welfare trentino.
Mattia Civico, "L'Adige", 17 maggio 2011
A queste sollecitazioni hanno per ora risposto l'assessore Rossi e il presidente Dellai argomentando e rasserenando sia sul livello di partecipazione nel processo decisionale sia sulla tenuta del sociale nella nostra provincia. Alla luce di queste contrapposte visioni quindi un problema certamente c'è, se non altro di percezione della realtà, del rapporto fra politica e comunità, fra istituzioni e corpi intermedi: se buona parte del terzo settore segnala alla politica una difficoltà e la politica risponde che il welfare è «più saldo che mai», forse davvero qualcosa non sta funzionando e varrebbe la pena fermarsi a confrontarsi principalmente sul metodo oltre che nel merito. Su un aspetto siamo tutti concordi: la sfida che abbiamo di fronte è di quelle impegnative.
Le competenze affidate alle comunità di valle, il nuovo equilibrio e rapporto fra sanità e sociale, il quadro finanziario, impongono scelte di razionalizzazione della spesa e richiedono a tutti uno sforzo di ricomprensione e ricollocazione, mettendo al centro i bisogni del cittadino e provando a ristrutturare parte delle prassi e delle modalità organizzative del nostro welfare. E mi pare evidente, da quanto scritto e da quanto verificato anche in questi due anni di legislatura, che il terzo settore sia pienamente consapevole di questo e anzi rivendichi la volontà di fare pienamente la propria parte. Disponibilità che la politica non può che accogliere come una risorsa, se è vero che il welfare trentino è il nostro fiore all'occhiello: se riconosciamo a questo mondo qualità e competenza è del tutto evidente che sentire e coinvolgere queste competenze è un passaggio obbligato.
E allora la domanda è: la politica sta chiedendo al terzo settore, alle parti sociali, alle comunità, di fare la propria parte, in termini non soltanto di erogazione ma anche di ri-progettazione dei servizi socio assistenziali? Dal mio punto di osservazione, in qualità di presidente della quarta commissione legislativa, posso dire che l'iter normativo che ha ridisegnato il sistema delle politiche socio-sanitarie è stato certamente caratterizzato da un notevole sforzo nella direzione dell'ascolto: abbiamo audito 127 persone rappresentative delle diverse realtà competenti in materia sanitaria e sociale e ricordo tra l'altro varie occasioni di confronto fra l'organo consiliare e il terzo settore: questo ha certamente portato a una condivisione del quadro legislativo pur nella consapevolezza della delicatezza del momento. Ora però la sfida è quella di condividere con altrettanto impegno anche la fase successiva, ovvero quella di elaborazione delle norme di attuazione: la declinazione pratica della legge, i suoi regolamenti attuativi, la scelta di allocare più o meno risorse sui vari capitoli incide in maniera determinante sulla qualità della norma a monte.
L'assessore al welfare Ugo Rossi dice che anche in questa seconda fase vi sono stati tutti i passaggi di consultazione e di partecipazione, ricordando che le norme attuative sono state approvate oltre che dal Consiglio delle Autonomie Locali anche da quel comitato di coordinamento in cui terzo settore e parti sociali hanno i propri rappresentanti: quello che bisognerebbe dire è che le «linee guida per le Comunità di Valle» sono state approvate nonostante il voto contrario proprio di terzo settore e sindacati. Un segnale chiaro di critica e preoccupazione ci fu già qualche mese fa. Anche il Consiglio delle Autonomie ha discusso animatamente, esprimendo qualche vivace preoccupazione in merito alla definizione di livelli essenziali che vedono servizi sociali e domiciliari con soglie minime minori di quelle erogate fino all'anno scorso.
Certo: con la possibilità delle Comunità di integrare con livelli aggiuntivi, ma anche esponendo evidentemente il sistema al rischio di qualche ridimensionamento dei servizi. Questo - per esempio - è il caso dei soggiorni estivi per persone non autosufficienti (disabili e anziani) che pare difficile riconfermare nella qualità dei precedenti anni. Il presidente Dellai ricorda con giusto orgoglio come il dato sulla povertà monetaria in Trentino sia molto al di sotto dei livelli nazionali («solamente» l'1% della popolazione provinciale permane in una condizione di povertà negli ultimi sei anni), ma andrebbe anche ricordato che nello stesso periodo più del 15% ha vissuto almeno un episodio di povertà e che nel 2009 le persone in una situazione di povertà monetaria sono state circa l'8% (dati raccolti dalla quarta commissione in occasione della ricerca sulla povertà e l'emarginazione sociale). Dunque i numeri e i dati oggettivi possono offrire uno sguardo sul welfare fino ad un certo punto e certamente non possiamo ignorare il segnale di allarme lanciato da chi quotidianamente abita la dimensione della emarginazione sociale e dell'assistenza alle persone più fragili.
Cosa possiamo fare? Entro la fine dell'anno usciremo dalla fase transitoria e verranno definiti dalla giunta provinciale i livelli essenziali delle prestazioni socio assistenziali che le Comunità dovranno garantire. Penso che sia questa l'occasione per ridefinire un «patto di comunità», scegliendo di coinvolgere più convintamente e continuativamente le competenze e le risorse che il nostro territorio esprime, ribadendo così nella pratica che la nostra autonomia si basa sulla capacità di condividere le responsabilità e ricollocando al centro della politica e della comunità la capacità di rispondere collettivamente ai bisogni dei singoli.
Senza timore, chiusura o fastidio di fronte a voci critiche e a stimoli che vanno certamente e responsabilmente nella direzione di fare, come abbiamo detto e scelto, «meglio anche con meno». Insieme.