Di Nuovo Ospedale del Trentino si parla da almeno tre legislature: la scelta di coinvolgere il privato nella costruzione del NOT non è una novità, ma più semplicemente una conferma di quanto già deciso in passato.
Mattia Civico, "Trentino", 10 maggio 2011
Nel contempo è utile e sano che il dibattito politico e pubblico accompagni costantemente l’iter di realizzazione, affinché ci si muova nella condivisione e consapevolezza di tutti.
Guardo dunque con interesse alla proposta della Giunta di prevedere il Project Financing per la costruzione del Nuovo Ospedale del Trentino.
Bisogna però essere molto chiari su un punto: la sanità deve rimanere pubblica e a regia pubblica. I privati che entreranno nella partita di costruzione dell’Ospedale non dovranno in alcun modo avere in cambio posizioni di condizionamento della sanità o di partecipazione diretta nell’erogazione di prestazioni sanitarie.
Altra cosa è prevedere il coinvolgimento del privato nella gestione di alcuni servizi, sulla cui qualità comunque dovrà esserci garanzia pubblica, come -ad esempio- le pulizie, la ristorazione, il portierato. E sarebbe interessante rispondesse non solo l’impresa privata del nostro territorio, ma anche il sistema della cooperazione.
E che fare dunque nell’area attualmente occupata dall’ospedale Santa Chiara di Trento?
Posto che l’ultima parola spetta al Comune di Trento, che è competente in materia urbanistica e a cui spetterà la responsabilità di rivedere il piano regolatore, credo che la Provincia farebbe bene a mettere sul tavolo alcune ipotesi, chiarendo che l’area dovrà essere destinata ad interesse pubblico.
Il rione su cui sorge il Santa Chiara, la Bolghera, è stato in questi decenni fortemente caratterizzato e condizionato dalla presenza dell’ospedale. Liberare quell’area significa anche poter ridisegnare dal punto di vista urbanistico un territorio, allegerendolo dal traffico e dalle dinamiche che un grande ospedale evidentemente comporta.
È dunque una buona occasione per dare respiro a un rione, alla città. Dobbiamo però saper legare in maniera forte il tema della ri-progettazione di quel territorio a quello dello sviluppo sociale e culturale della nostra comunità.
Aver acquisito la delega sull’Università ci impone di consegnare al nostro territorio le strutture e gli spazi per far crescere ulteriormente la qualità del nostro ateneo: e fra gli indicatori di qualità di una università indubbiamente ci sono la capacità di attrarre competenze e sete di sapere, professori e studenti, da altri territori.
L’Università sempre più ci potrà offrire possibilità di incontro, scambio, arricchimento, apertura verso il mondo. Un buon antidoto al rischio di chiuderci nella nostra dimensione relativamente piccola, aprendoci invece varchi sempre più ampi al sapere dell’altro e quindi al mondo.
Questa mi pare una prospettiva su cui varrebbe la pena confrontarsi: un Campus Universitario vero e proprio, con alloggi e servizi per gli studenti e per i professori, rispondendo al fabbisogno alloggiativo per i prossimi decenni e consolidando, parallelamente agli alloggi del polo di San Bartolomeo, una zona culturalmente dinamica, a ridosso del parco Santa Chiara.
Un importante investimento, con alcune positive ricadute: fornire ulteriore risposta agli studenti residenti in provincia e che vengono a Trento a studiare, aprire ulteriormente l’Università alla recettività extraprovinciale ed internazionale, riqualificare il rione, dotandolo di parcheggi ed infine, aspetto per nulla trascurabile, incidendo in maniera positiva sul mercato degli alloggi e quindi sul costo degli affitti a beneficio di tutti.
La cultura, la ricerca, la sete di conoscenza e di eccellenza sono fra i principali motori dello sviluppo del nostro territorio: sapremo dare “spazio” a questa prospettiva?