C’è una bella espressione di Goethe che dice: “Due cose i figli devono ricevere dai genitori: radici e ali”. Mi pare che in questa espressione si possa condensare uno dei compiti fondamentali delle politiche culturali in una terra come la nostra.
di Michele Nicoletti, 6 maggio 2011
Da un lato occorre coltivare il senso delle radici, cioè l’appartenenza ad una tradizione, o meglio al plurale: a “delle tradizioni”, perché il Trentino è sempre stato il frutto di più storie, di più genti e dei loro incontri. Dall’altro lato occorre coltivare la capacità di alzarsi in volo, di oltrepassare bassure e confini, capacità che anche ha caratterizzato la storia di questo territorio e delle sue genti.
“Le radici e le ali” rappresentano anche un’indicazione concreta per il Partito Democratico del Trentino: essere radicato profondamente nel territorio e nella sua storia e, dall’altra, essere teso ad abbracciare con lo sguardo quanto si muove nel mondo.
Occorre dare atto ai nostri rappresentanti nelle istituzioni di avere saputo muoversi su questo doppio registro. A questo duplice impegno delle istituzioni politiche hanno risposto positivamente le istituzioni culturali del territorio e la stessa università di Trento, che, pur avendo una vocazione universalistica, si è spesso appassionata allo studio della realtà locale.
Ora occorre proseguire lungo questa strada, avendo presente due direttrici.
Il primo compito – direi, “costituzionale” – di ogni politica culturale è quello di valorizzare al massimo l'autonomia e la libertà della cultura senza le quali la cultura si spegne e muore. Veniamo da un secolo, quello ventesimo, in cui c'è stata una terribile invasione di campo da parte della politica che ha visto nella cultura uno strumento formidabile per la costruzione del consenso.
Anche la politica ha invece bisogno di una cultura libera. Anche ad esse è utile una sana dialettica, cioè un sano rapporto fatto di reciproco rispetto, di spirito critico e di responsabilità. Autonomia e responsabilità sono le parole chiave in particolare in questo momento in cui le risorse pubbliche diminuiscono e gravi responsabilità verso gli strati più deboli della società si impongono.
Occorre poi, ed è questo il secondo compito, uscire dalla spirale del consumismo culturale: negli ultimi anni la cultura un tempo riservata a pochi ha coinvolto migliaia e migliaia di persone che hanno potuto godere di eventi artistici, di convegni, di studi, eccetera, come forse mai prima era accaduto. E’ questo un evento straordinario. E tuttavia in questo contesto il rischio è quello di creare momenti di fruizione culturale che si esauriscono nell’attimo in cui l’evento viene consumato, ma creano poco “accumulo” di conoscenza, cioè poca crescita culturale. Di qui il rischio di molto consumo, ma di poco sviluppo, di poca innovazione. Lo sviluppo ha bisogno di libertà e creatività da un lato e dall’altro del serio lavoro di approfondimento e maturazione senza il quale difficilmente si produce cultura. È per questo che i nostri investimenti debbano andare a favorire i momenti e i luoghi di accumulazione della conoscenza quali le biblioteche, gli archivi e tutti gli altri strumenti che da sempre hanno sorretto il lavoro di “coltivazione” dello spirito umano. Così contribuiremo a formare degli spiriti solidi, capaci di pensare con la propria testa e di guardare al futuro.