Prodi: «Com'è diverso il Trentino»

A. Faustini, "Trentino", 3 marzo 2011
MADONNA DI CAMPIGLIO. Per strada lo fermano in continuazione. Gli chiedono di tornare. Ma il professore non cambia idea: nell’Italia dei «rieccoli» che s’incollano alla poltrona o che rientrano sempre dalla finestra, la sua scelta di abbandonare la politica attiva è definitiva.

Ciò malgrado, ogni volta che la gente lo incontra in qualche angolo d’Italia, il coretto si ripete: «Torna, torna». E’ successo anche ieri, quando in «gran segreto» è arrivato sulle piste di Madonna di Campiglio, con lo storico gruppo di amici trentini (Gino Lunelli in testa) e con un ospite inatteso: Lorenzo Dellai. Che con il professore ha a lungo sciato e altrettanto a lungo parlato.

Presidente Prodi, anche ieri il solito ritornello?
«Sì, anche sulle nevi di Campiglio - commenta il professore fra lo stupito e il divertito -, la gente mi ha chiesto di tornare. Ma non c’è nessuna possibilità che questo avvenga. E’ la gente che si sbaglia - dice ancora ridendo - non io».

Dica la verità, è più difficile stare sugli sci o stare lontano dalla politica?
«Stare lontano dalla politica non costa nulla, mi creda»
ha sciato tutto il giorno sulle nevi di Madonna di Campiglio («una giornata magnifica, da ogni punto di vista»). Ma non si tira indietro, il presidente Prodi: al nostro giornale parla in esclusiva del Trentino «ritrovato», del mondo che cambia, di un imprevedibile Dellai («L'ho visto tosto anche sugli sci, mi ha sorpreso») e di molto altro.

Presidente, ma davvero non le pesa stare «fuori» dalla scena in giornate come queste?
«Sono impegnatissimo in cose molto belle: tengo conferenze e insegno in particolare in America e in Cina. Starò fuori dall'Italia quasi tre mesi, quest'anno. Poi leggo, studio e faccio tantissime cose. Lavoro tanto, in realtà, ma con grande serenità. Tant'è vero che ho deciso di passare un paio di giorni dai miei amici trentini di sempre, per fare una sciata e per partecipare ad una conferenza (alle 18 di venerdì a «Ferrari incontri», sempre ospite di Gino Lunelli, in versione presidente dell'Ucid)».



Lei ha incontrato Gheddafi l'ultima volta nel 2004, quand'era alla guida della Commissione europea. E' forse l'Europa che può risolvere alcuni degli enormi problemi esplosi in questi giorni, «allargandosi» alla costa meridionale del Mediterraneo?
«Non si può parlare di allargamento dell'Europa. Con i vicini si possono invece creare rapporti stretti riguardo a tutti i principali problemi della vita politica ed economica. E vanno naturalmente avviate delle iniziative comuni: penso ad Università miste e a cose di questo genere. Nessuno - riprende il professore - può pensare che i paesi africani siano parte dell'Unione europea, ma il risultato finale è davanti agli occhi di tutti: nei grandi cambiamenti di questi giorni, l'Europa, che è meno rapida, è tagliata fuori, mentre l'America riesce a prendere decisioni e a metterle in atto in un paio d'ore».

Situazione imprevedibile o chi, come lei, s'è occupato da vicino di questi Paesi anche per l'Onu, ha colto cosa stava accadendo?

«Io mi aspettavo problemi legati alla complicata successione, in Egitto, di Mubarak, perché sapevo che stava per lasciare. Ma nessuno si aspettava di assistere a ciò che abbiamo visto negli ultimi, drammatici giorni».

E quanto sta accadendo in Libia?
«Vale lo stesso ragionamento. Negli ultimi tempi ho parlato con tutti gli esperti in materia, ma nessuno avrebbe potuto prevedere una cosa del genere».

Come se ne esce, presidente?
«La situazione è davvero difficilissima. Se non aiutiamo la normalizzazione dopo questi eventi e se non aiutiamo la ripresa della vita economica, non posso che essere pessimista: perché in questo momento non c'è turismo, le banche funzionano male e le esportazioni sono paralizzate. E quando queste cose durano a lungo è molto difficile che ci possa essere un'evoluzione tranquilla. E sono a dir poco preoccupato per la paralisi europea».

Ne parla con i capi dei vari Stati dell'Unione?
«Ho scritto anche ieri un articolo sul più importante quotidiano economico tedesco. Non le mando certamente a dire. Ma avverto che le sponde del Mediterraneo per ll'Europa sono molte lontane».

E l'Italia?
«L'Italia il Mediterraneo l'ha dimenticato da un pezzo. In quella zona politicamente il nostro Paese non esiste più. Ha rapporti regolari solo con la Libia».

Già, la Libia. La situazione sta precipitando.
«Sospendiamo il giudizio. Il cerchio si stringe per Gheddafi e nessuno può dire come andrà a finire. Ma preoccupiamoci ancor più dell'Egitto, che è la chiave di tutto il Medio Oriente».

Torna ancora una volta la questione della democrazia da esportare in questi Paesi.
«Ma la democrazia - riflette il professor Romano Prodi - si può esportare solo se coloro che la importano sono d'accordo. Occorrono legami, comprensioni, aperture: poi si può pensare di esportare qualcosa. Ma certo non lo si può fare con la guerra. In Giappone, quand'è stata imposta, la democrazia è stata accompagnata da rapporti di amicizia e di cooperazione economica».

Visto che preferisce parlare del mondo piuttosto che dell'Italia, le chiedo cosa pensa delle dimissioni del ministro della Difesa tedesco, l'astro nascente della politica in Germania, il barone Karl-Theodor zu Guttenberg, che copiò nel 2007 la tesi per ottenere il dottorato in legge.
«Ne parlavamo anche oggi con gli amici, sulle piste di Campiglio. Indubbiamente - dice il professore sorridendo - si nota la differenza fra la nostra Italia e la Germania. Quando uno copia la tesi, dimostra di non avere lealtà e non è assolutamente una bella cosa, ma - ripende divertito il presidente Prodi - di fronte a quello che si vede in Italia mi sembra un peccato davvero veniale...»

Per dirla con il titolo della conferenza che terrà a Trento domani sera, «come sta il mondo?»
«La gente non si accorge di come sta cambiando. Passiamo da un mondo monopolare, americano, ad un mondo multipolare, con il ruolo molto particolare della Cina». «Bisogna riflettere, perché anche questi ultimi avvenimenti africani possono segnare l'inizio di una nuova politica americana. Ma io non penso che l'America riconquisterà lo spazio che nel frattempo hanno conquistato paesi emergenti come la Cina».