Parlare di giovani è molto difficile, non foss'altro per l'impossibilità di trovare parametri oggettivi e univoci per definire una volta per tuttete una categoria, quella dei giovani appunto, che oggi rappresenta un argomento abituale delle analisi e delle ricerche sociologiche. Piergiorgio Cattani, "Trentino", 2 febbraio 2011
Per restare soltanto al Trentino, come mettere insieme gli studenti che partono per Auschwitz con il treno della memoria e quelli (la maggioranza) ignari delle proprie radici più vicine nel tempo e nello spazio? Come accomunare chi ritiene gli anni universitari un periodo adatto al divertimento più che allo studio e chi la domenica pomeriggio fa la fila per cercare una biblioteca aperta? E ancora: si può fare un parallelismo tra uno straniero che fatica a guadagnarsi da vivere con un trentino con alle spalle genitori che non fanno mancare nulla, tra chi viaggia e conosce le lingue (sempre di più) e chi è costretto a restare fermo, tra chi lavora e ha già figli e chi gestisce da solo il proprio tempo? In effetti ogni storia è diversa ed è sempre molto pericoloso generalizzare. Eppure si può cercare di afferrare un denominatore comune che dia il senso complessivo della realtà giovanile che è ormai diventata la somma di più generazioni diverse. Al pari di termini quali famiglia e anziano, la parola “giovane” indica un universo i cui confini, quasi in perenne espansione, non sono individuabili neppure dall’età anagrafica. Quella di giovane è ora una situazione esistenziale basata su alcune (sempre mutevoli) caratteristiche: avere un’età inferiore ai 35 anni; aver raggiunto una condizione economica non ancora stabile oppure essere ancora in fase di formazione scolastica, intellettuale o professionale; condurre una vita in cui le relazioni amicali e sentimentali non sono ben definite e in cui il peso del passato non condiziona in maniera troppo pesante la percezione del futuro. Si potrebbe andare avanti ancora in questo tentativo di descrizione ma credo che la cifra della situazione e esistenziale dei giovani vada ricercata in una duplice traiettoria. Da un lato si tende a vivere ogni evento con grandissima intensità, con lo spasmodico desiderio di assaporare fino in fondo qualsiasi cosa (che piace e da cui si è attratti), con la confusa ma irrinunciabile libertà di potere e di volere sperimentare tutto. Passione, desiderio, libertà: questi elementi positivi tipici della giovinezza non mancano certamente nel nostro tempo. Dall’altro lato però il concentrarsi sul presente, questo bruciare il tempo, questo insistere sull’“ora” finisce per comprimere la durata di ogni emozione, per far cambiare nel volgere di una stagione priorità e aspirazioni: tutto è precario, variabile, effimero. Il lavoro, l’amore, il futuro sono piegati sull’attimo. La data di scadenza di ogni progetto è sempre più ravvicinata. Due esempi desunti da aspetti molto diversi della vita potrebbero chiarire questo discorso. Parliamo di lavoro. Sulla diffusa situazione di precarietà esistenziale influisce pesantemente la crisi economica con la conseguente difficoltà a trovare lavoro. In Trentino il 14% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è disoccupato e non studia (un dato significativo ma confortante se pensiamo che in Europa sono il 18%, in Italia il 30%) e aumentano i contratti atipici di breve durata. Allarmante è il fatto che chi possiede una laurea è più svantaggiato di chi ha un diploma professionale, come del resto è preoccupante la scarsa mobilità sociale che investe un paese dove gli adulti (sarebbe meglio dire gli anziani) restano saldamente al comando. Eppure le energie e la creatività non mancano: per questo i piani d’intervento pubblici devono puntare al dinamismo complessivo della società e lasciare spazio a una innovazione che non vuol dire soltanto nuove tecnologie ma anche possibilità di osare e di cambiare. I giovani che non sognano neppure la pensione sono i primi a inventarsi un lavoro, i primi ad essere “connessi” con il mondo di Internet e dei social network, i primi a lanciare segnali di speranza. Anche le visioni apocalittiche in merito al pandemico disagio interiore, alla fragilità delle relazioni umane, al matrimonio “in via di estinzione”, sempre focalizzate sui giovani, finiscono per disegnare un quadro manicheo dove la luce e l’etica appartenevano al passato mentre il presente è sotto il segno delle tenebre del relativismo. Sicuramente molto è cambiato. A differenza di quello che avveniva ancora 10 anni fa i giovani sono per esempio più disinibiti nei riguardi della sessualità, come testimonia l’abitudine ormai diffusa della convivenza, intesa non più come periodo di prova o di preparazione a una scelta matrimoniale ma neppure come una forma di unione più moderna, libera e meno definitiva del vincolo nuziale, ma vista come una forma naturale di evoluzione nel rapporto di coppia. Chi raggiunge l’indipendenza economica, ma a volte persino chi dipende ancora dai genitori, va tranquillamente a convivere: non ci sono più remore morali, anzi stare insieme more uxorio è ormai approvato anche da chi era abituato alla tradizione che la donna doveva arrivare vergine all’altare. Ma ora che le tecniche contraccettive hanno separato in maniera quasi definitiva la sfera sessuale da quella procreativa, perché non manifestare l’amore per il proprio partner completamente e in maniera evidente anche alla società andando a vivere insieme, come una volta si faceva solamente da sposati? In effetti, come avviene anche in altri ambiti, l’amore dei giovani è cresciuto in intensità, i rapporti sono stretti e brucianti (basta contare gli Sms e le telefonate quotidiane che intercorrono tra due “morosi”) ma effimeri e soggetti a burrascosi cambiamenti: un amore completo e passionale ma anche fragilissimo. I giudizi etici sono inutili, occorre invece trovare il modo per incanalare questa energia favorendo i legami duraturi senza ergersi ad arbitri dei comportamenti: gli adulti non devono giudicare, né insegnare qualcosa ma, come cantava Gaber, devono “coltivare se stessi”, dando “fiducia all’amore”. Dando fiducia ai giovani.
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