Autonomia, a rischio 160 milioni

La bozza del Documento di programmazione economica e finanziaria (Def) avrà un costo per la Provincia autonoma di Trento quantificabile in 140-160 milioni di euro. È questa la stima effettuata da Piazza Dante che stima poi la versione definitiva della flat tax — che sarà forse applicata tra qualche anno — ad un costo di circa 500 milioni di euro.
S. Casalini, "Corriere del Trentino", 29 settembre 2018

 

Il governatore Rossi tuona: «Ora Lega e M5s si diano da fare per sterilizzare questo ammanco. Non possiamo compartecipare al risanamento dello Stato e poi pagare il prezzo del Def». Anche Confindustria e sindacati non nascondono la loro preoccupazione.

 L’esultanza dei ministri 5 stelle, dal balcone di Palazzo Chigi, ha segnato esteticamente e simbolicamente il passaggio sulla manovra finanziaria nazionale che si gioverà delle risorse recuperate dall’incremento del deficit, elevato al 2,4%. Altro affaccio, altro umore. Quello della Provincia autonoma di Trento che osserva l’andirivieni di piazza Dante. Qui i mandarini di palazzo, certosini cesellatori del bilancio provinciale e delle sue armonie, sono già all’opera per valutare le ricadute perché, com’è noto, i forzieri dell’Autonomia dipendono in buona parte dal gettito fiscale.

L’esultanza per le addizioni finanziarie lascia il passo alle cupe previsioni di sottrazioni danarose. La flat tax — nella versione slim, cioè applicata alle partite Iva e ai piccoli imprenditori (platea di 1,5 milioni di cittadini, costo di 1,5 miliardi) — dovrebbe comportare una decurtazione annua di 40-50 milioni di euro per il bilancio provinciale. Con la sua estensione universalistica, il minor gettito è stimato in 500 milioni di euro. I tagli Irap e Ires ipotizzati peserebbero per circa 30 milioni di euro. Un’altra incognita riguarda poi il «bonus Renzi» (gli 80 euro mensili). Fino ad oggi si è configurato come un credito Irpef, cioé un contributo economico che viene erogato direttamente in busta paga ad una platea sociale a reddito medio-basso. Dal 2019 l’intenzione del governo è di trasformarlo in una detrazione fiscale. L’impatto sulla finanza pubblica provinciale oscillerebbe tra i 70 e gli 80 milioni di euro. Complessivamente, quindi, il Def nazionale potrebbe esigere una cifra tra i 140 e i 160 milioni di euro. Parziali compensazioni ballano alle voci «pax fiscale» — ma l’infedeltà del contribuente trentino è su scala ridotta — e reddito di cittadinanza. Quest’ultimo si sovrapporrebbe con il reddito di garanzia già sperimentato con successo in provincia. Se Piazza Dante dovesse rinunciare alla propria misura, congettura al momento remota, otterebbe un risparmio di 28-30 milioni.

Ugo Rossi, inquilino uscente di Piazza Dante, avanza già una richiesta di compensazione. «Con il Patto di garanzia contribuiamo al risanamento del debito pubblico nazionale — riflette il governatore — La manovra del governo genera nuovo debito di cui noi non possiamo assumerci la responsabilità perché la Provincia ha un bilancio in equilibrio. Chiederemo, dunque, che il mancato gettito sia sottratto a quanto dobbiamo per il risanamento dei conti pubblici del Paese». Il meccanismo riecheggia quello della «clausola di neutralità» inserito in una norma di attuazione che la Commissione dei Dodici non ha mai approvato. Binario morto. «Questa clausola è determinante — osserva Rossi — perché se c’è un governo che abbassa le tasse nel rispetto dei vincoli europei e di deficit è un conto e noi non possiamo proferire parola. Ma se lo fa al di fuori per le autonomie speciali è doppiamente pericoloso perché rischiamo di pagare due volte. A Lega e Movimento 5 stelle chiedo che si adoperino, dunque, per neutralizzare queste misure per il Trentino». Il presidente in carica coinvolge nel suo ragionamento anche le altre autonomie («Ho incontrato il governatore friulano Massimiliano Fedriga ed era molto preoccupato») e non nasconde un profondo scetticismo sull’applicazione del reddito di cittadinanza. «Per certi versi appare simile al nostro strumento — sottolinea — ma in Trentino il principio di condizionalità è osservato grazie alla rete dei Centri per l’impiego che nel resto del Paese manca. Credo, inoltre, che si rischierà di favorire chi non ne ha bisogno con l’applicazione dell’Icef su scala nazionale, difficilmente controllabile. Altroché abolizione della povertà». Sull’eventuale eliminazione del reddito di garanzia frena: «Noi lo finanziamo a bilancio ed è una misura di lungo periodo. Quello dell’attuale governo è fuori bilancio, erogato attraverso l’estensione del debito pubblico. Vediamo quanto durerà. Di certo ci sarà una sovrapposizione e occorrerà valutare».