MIORANDI - «La città, il Pd, la famiglia e la Lambretta»

ROVERETO - Miorandi oggi compie 40 anni e inizia l'ultimo anno di mandato. Un primo bilancio. Come politico, padre e roveretano.
M. Pfaender, "L'Adige", 31 maggio 2014


«Il 31 maggio di quattro anni fa compivo 36 anni ed ero proclamato sindaco».  

Sindaco Miorandi, lei da oggi è un 40enne. Crisi di mezza età?  «Per ora nessun impulso a farmi un tatuaggio, iscrivermi in palestra o a comprare una moto. Mi tengo la mia Lambretta e sto bene così». 

In tanti la indicano come colui che spezzerà la «maledizione», ricoprendo per la prima volta due mandati consecutivi.  «Quello dei due mandati è un vero problema roveretano. Lo dico come cittadino. Un orizzonte amministrativo di cinque anni è troppo breve». 
C'è chi dice che sia la stessa «lobby» della macchina comunale a spingere, al momento del voto, per il ricambio. Perché un sindaco al potere per dieci anni potrebbe portare cambiamenti, anche dolorosi . «Non credo. Ormai conosco bene la struttura. E prima, da imprenditore, ho collaborato con centinaia di amministrazioni. Palazzo Pretorio è una buona macchina. Con enormi potenzialità inespresse». 
Quanto guadagna?  «Dodici mensilità a 4.800 euro lordi. Non ho contributi. Guadagnavo molto più prima». 

E come hanno preso il cambiamento in famiglia?  «Bene. Soprattutto mio padre, era così orgoglioso. Purtroppo, il mio primo anno da sindaco è coinciso con il suo ultimo con noi. Mi spiace molto non aver potuto stargli più vicino. Ero così preso. È entrato nel mio ufficio solo una volta». 

In questi quattro anni è diventato padre.  «Ho due bimbe, di tre anni e di sette mesi. Grazie a loro vedo le cose in maniera diversa. Sono splendide, io parlo loro in italiano, la madre in tedesco. Stanno crescendo bilingue». 

Rovereto è a misura di bambini?  «Direi di sì. Anche a misura di famiglia. Ma deve diventarlo di più. Con la crisi, ormai anche una gita al lago per alcuni è un lusso. Parchi, giardini, centro storico: sono sempre più frequentati, dobbiamo renderli più accoglienti». 

Però una delle critiche più ricorrenti che le viene mossa è di aver reso Rovereto una città sporca.  «I roveretani hanno tutto il diritto di pretendere una città pulita, vista anche la risposta eccezionale nella raccolta differenziata. Siamo vicini al livello limite, oltre l'80%. Ciò detto, stiamo lavorando: nei parchi siamo passati da due servizi pulizia la settimana a sette. Ancora non basta, lo sappiamo. Ma Rovereto è alla ricerca di una nuova identità in chiave turistica e culturale. Siamo in pieno percorso di cambiamento». 

E la vocazione industriale?  «Intendiamoci, quella resta l'ossatura, il principio cardine dell'apporto che la città può dare a tutto il Trentino. Le due scommesse sono meccatronica e manifattura. Scommesse in cui credo».  

Ha ricevuto minacce. Vive sotto scorta?  «No, per fortuna. Già solo il servizio di vigilanza, cui ogni tanto sono oggetto, come la maggior parte dei sindaci, mi basta per capire che vita dura deve essere quella di chi vive costantemente sotto scorta». 

«Rovereto a Trento non conta nulla». Un tormentone, o c'è del vero?  «Una certa trentocentricità di tutto il sistema provinciale è innegabile. Infatti la stessa lamentela la si può sentire in tutti i Comuni. Certo con Rovereto è accentuata, per la storia, per le dimensioni». 

Per la litigiosità innata dei roveretani?  «Non credo a questa leggenda dei roveretani litigiosi. Da sindaco ho imparato a conoscere la mia città in maniera più profonda. I roveretani sono vivaci, non litigiosi. È un bene, soprattutto oggi. Abbiamo bisogno di cambiamenti radicali, di rimettere in gioco tutto. Superare i paradigmi. Con il venir meno delle risorse sono scomparsi i punti fissi. Le opere pubbliche in sinergia con i privati, il welfare in collaborazione con le associazioni. Le innovazioni: sono queste, oggi, le unità di misura del buon lavoro di un sindaco». 

La accusano di essere assente. Un sindaco che non si fa vedere, che non dialoga.  «C'è da vedere chi lo dice. Io la città la vivo tutti i giorni. Come cittadino che fa la spesa, come padre coi figli al parco. Occasioni in cui parlo sempre con i roveretani. Magari non mi faccio vedere ad ogni manifestazione. Ma sono un sindaco di un'altra generazione rispetto ad alcuni miei predecessori. E i problemi amministrativi mi assorbono tutta la giornata. Con i soldi che sono sempre meno, ogni scelta che sono chiamato a prendere in decine di riunioni e vertici è una scelta politica. Perché deve far fronte a situazioni straordinarie. Ogni tanto do la mia agenda ad uno dei miei collaboratori e gli chiedo di trovarmi un appuntamento da cancellare. Perché non è fisicamente possibile seguirli tutti». 

Il Pd ha dominato le Europee. A Rovereto un vero boom, quasi il 45% dei consensi.  «È un potenziale importante, ma al bando facili entusiasmi, come credere che per le prossime Comunali i giochi siano fatti».  

È la lezione delle ultime primarie di coalizione, quando il Pd ha perso la presidenza della Provincia?  «Esatto. Il partito credeva di avere già vinto, e quindi ha perso. Sia chiaro, ha perso il partito, non Olivi».  

Vi siete poi riconciliati lei ed Alessandro Olivi?  «Sì, da tempo».  

Il suo rapporto con l'assessore Giulia Robol è cambiato da quando è diventata segretario del Pd?  «In meglio. C'è stato un arricchimento. Stiamo condividendo un percorso comune». 

Lei è un «renziano». Che vuol dire?  «Sono stato il primo sindaco trentino a schiararsi con Renzi alle primarie per la segreteria nazionale, poi vinte da Bersani. Lo sentivo vicino come collega sindaco, come coetaneo. Condividevo, e condivido, l'idea di un partito riformista maggioritario post ideologico. L'ultima volta l'ho visto ad ottobre scorso. Un pranzo a Firenze. C'erano in ballo alcune collaborazioni. Ma soprattutto abbiamo alcuni amici, anche stretti, in comune». 

Cosa fa quando non lavora? «Mi godo la mia famiglia. Vado a correre, mi faccio un giro in bici. Svolgo un po' di volontariato, e partecipo all'organizzazione di Castelfolk, la kermesse a Castellano. Lo faccio da 14 anni. Si può considerare una sorta di "fucina politica". Da lì siamo usciti io, Alessio Manica, il mio omonimo Andrea Miorandi (consigliere comunale, il più votato alle recenti Comunali di Villa Lagarina,  ndr ), Roberto Pallanch, Romina Baroni. Mi diverto in cucina, spadello come un matto. Sono sommelier professionista. Direi che è tutto».