Il Pd e il centrosinistra trentino

Il dibattito in corso in relazione al futuro del Centrosinistra autonomista, affrontato anche dal Cons. Lorenzo Baratter sulle pagine di questo quotidiano, merita di non essere derubricato da parte di tutti coloro che hanno a cuore un governo dell’Autonomia forte, solido e capace di garantire coesione sociale e sviluppo.
Lorenzo Passerini, 16 maggio  2014 

L’analisi storico-politica proposta da Baratter contiene alcuni contenuti comunemente condivisibili e che arricchiscono il confronto, ma al tempo stesso è portatrice di una lettura parziale e per questo un po’ semplificatoria. E’ infatti rischiosa la rappresentazione bipolare della coalizione di Centrosinistra autonomista per cui vi è il polo “territoriale” che “parte da Trento per portare a Roma” e il polo legato esclusivamente alla dimensione nazionale “che parte da Roma per portare a Trento”.

E’ questo ciò di cui ha bisogno il Trentino? Di una coalizione come mero accordo elettorale in cui ci si divide gli “spazi di azione” oppure sarebbe più utile consolidare ulteriormente la dimensione politica del Centrosinistra autonomista attraverso un patto per il governo dell’autonomia costruito intorno ad un’idea del Trentino futuro? Questo è un dibattito che riguarda tutti e che il PD del Trentino ha il dovere di affrontare con più coraggio per non rinunciare all’idea di poter rappresentare il baricentro politico del progetto del Centrosinistra autonomista.

Nella sua storia e nel presente la sinistra trentina è riuscita a declinarsi come forza regionale più di quanto si possa credere. Il prodotto dell’Autonomia non è un risultato monocolore ma con un forte contributo dei riformisti e della sinistra democratica. Si pensi alla figura di Cesare Battisti, socialista e irredentista democratico, punto di riferimento per la borghesia cittadina, ma anche per i ceti popolari, in grado di collocare un’efficace azione locale in una dimensione europea. Si pensi al programma del Movimento socialista trentino del febbraio 1944 in cui Manci, Ferrandi e Bettini sostengono che la nuova Europa deve essere fatta da stati federali dove le autonomie possono essere un contrappeso alle tendenze autoritarie. Si pensi ancora all'ASAR nel secondo dopoguerra movimento di popolo trasversale dove c’è una forte  presenza di sinistra. Si pensi anche al ruolo rilevante dei socialisti trentini nei primi anni ’60 nella risoluzione della crisi della Regione che portò al secondo Statuto di autonomia, esperienza virtuosa di convivenza.

Oggi la questione territoriale, fondamentale per il futuro nostro e di quello italiano ed europeo, non può essere interpretata in un’accezione localista, e va pertanto recuperata la capacità delle forze che hanno costruito il PD del Trentino di avere un pensiero di territorio, scardinando l’interpretazione regressiva e conservatrice data in vent’anni di leghismo. Non quindi il PD come soggetto “che parte da Roma”, ma come progetto politico che prende spunto dalla storia di questo territorio, terra di confine, di autogoverno locale, di civismo, di originalità e innovazione politica. Un progetto che vuole contaminare i riferimenti culturali e politici della sinistra trentina con quelli propri del mondo cooperativo, con le istanze riformatrici del popolarismo cattolico, con l’azione e il protagonismo dei movimenti che negli anni sessanta e settanta hanno saputo incidere sulla politica e sulla società trentina, contribuendo a rinnovarle profondamente.

Il PD del Trentino deve quindi essere un grande ed ambizioso laboratorio politico, tanto a livello provinciale quanto nazionale, puntando ad ampliare il perimetro del suo consenso nei territori e tra ceti sociali affinché possa davvero essere la forza guida del Centrosinistra autonomista, garantendo alla coalizione una visione riformista e contribuendo a dare al modello di autogoverno del Trentino una dimensione regionale, nazionale ed europea.

Per fare questo crediamo sia necessario riprendere quel percorso, intrapreso nel 2007, che vede nel Partito Democratico del Trentino il soggetto capace di interpretare le migliori tradizioni riformiste e popolari di questa terra e di dar loro nuove gambe per rispondere alle sfide attuali.
Solo riprendendo quel percorso inclusivo e capace di esprimere le plurali vocazioni e sensibilità della nostra Provincia potremo evitare, come sta accadendo in queste elezioni europee, che i trentini non possano al tempo stesso, per citare l’intervento di Beppe Ferrandi su queste pagine, “trovare posto in una grande famiglia europea” e “puntare su di una rappresentanza direttamente riconducibile alla nostra area regionale”. Questo per valorizzare le esigenze dell’area alpina - che necessità di modelli di sviluppo specifici per favorirne la tenuta economica, sociale, ambientale - in un quadro politico più ampio che punta sull’innovazione, il lavoro, i diritti (com’è nella proposta del PD-PSE).