«L’uscita dall’Europa e dall’euro, per l’Italia, sarebbe un suicidio». Giorgio Tonini è quasi incredulo: «Non capisco — spiega l’esponente del Pd, ex presidente della commissione Bilancio del Senato — come si possa pensare il contrario».M. Giovannini, "Corriere del Trentino", 29 maggio 2018
Eppure, è proprio questo il nodo attorno al quale, negli ultimi giorni, si è animato il dibattito politico nazionale. Ancora di più dopo il «no» del presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla nomina a ministro dell’Economia di Paolo Savona, «sostenitore — secondo il Capo dello Stato — dell’uscita dell’Italia dall’euro».
«Le elezioni, ora, si giocheranno sull’opzione “dentro o fuori dall’Europa”» osserva Tonini. Che chiarisce: «Non fa molta differenza il fatto che si voti a settembre o a inizio 2019. Il dramma è che la legislatura sia nata morta». Però, ammette, «si andrà alle elezioni in un clima pesante, negativo». Con un dubbio: «La drammatizzazione attorno al nome di Savona e l’incomprensibile impuntatura di Salvini dà l’idea che il piano, fin dall’inizio, fosse quello di portare l’Italia fuori dall’euro». Come l’Inghilterra. «Solo che — appunta l’ex senatore— gli elettori in campagna elettorale non avevano la percezione di votare per l’Italexit». Uno scenario che, avverte Tonini, avrebbe conseguenze drammatiche per il Paese: «Proprio per l’entità del nostro debito, abbiamo bisogno di stare in Europa con entrambi i piedi. Dovessimo uscire, il debito diventerebbe una valanga che ci precipita addosso. Una cosa da pazzi. Non voglio nemmeno pensarci». Di più: «In questo momento dire ai tedeschi che vogliamo uscire dall’euro non è fare un dispetto alla Germania, ma a noi stessi. Vorrebbe dire uscire dall’euro, tenendoci il nostro debito, da ripagare con la lira. Impossibile». Meglio, secondo Tonini, «negoziare una diversa governance dell’Eurozona», sfruttando la sintonia con la Francia di Macron: «Italia e Francia sono in grado di bilanciare Berlino». Ora l’impegno è sulla campagna elettorale: «Dovremo spiegare agli italiani com’è davvero la situazione».
Intanto, a sparare a zero contro il presidente della Repubblica è Riccardo Fraccaro. «Mattarella se ne pentirà, non finisce qui» scrive l’esponente 5 Stelle sulla sua pagina Facebook. «Mattarella — prosegue — si assumerà le sue responsabilità. Noi difenderemo gli interessi del Paese sacrificati con il veto sul governo. Ora basta diktat: la sovranità appartiene al popolo, chiederemo ai cittadini un mandato ancor più forte in Italia e In Europa». Poi rincara la dose, invitando tutti in piazza il 2 giugno: «Volevamo un governo con un programma legittimato dal popolo. Eravamo a un passo dalla possibilità di ridurre le tasse, sostenere le famiglie, dare un aiuto ai disabili e costruire opportunità per i giovani abbandonando l’austerity. Ci è stato impedito di farlo solo perché il cambiamento non era benvoluto da qualche cancelleria Ue. Confermiamo la richiesta di impeachment per Mattarella: non spetta al Colle dettare la linea politica».
E se a livello locale, in casa Pd, Luigi Olivieri ha già sollecitato la convocazione di una assemblea straordinaria del partito per affrontare l’argomento, Vittorio Fravezzi (Upt) guarda l’agenda: «L’Italia non può correre il rischio di andare all’esercizio provvisorio. Spero che le forze politiche capiscano che la ricreazione è finita». Un messaggio rivolto a Di Maio e Salvini.
Proprio il leader della Lega, domenica, dalle colonne del Corriere del Trentino , aveva «chiamato» le forze civiche in vista delle Provinciali. Incontrando però il gelo di Geremia Gios e Roberto Oss Emer. «Le civiche devono unirsi. Se devono andare da qualche parte, lo decideranno insieme» chiarisce il professore. «Con la Lega? Nessuno mi ha cercato» dice secco il sindaco di Pergine. Che chiude: «Per quanto mi riguarda questa ipotesi non esiste».
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