Il testo integrale dell'intervento di Pier Luigi Bersani alla direzione PD

Cari amici e compagni, noi abbiamo il compito di allestire una iniziativa forte di fronte alla situazione economica e sociale del Paese, di fronte alla situazione che si è delineata con le recenti elezioni e che ha già avuto alcune evoluzioni politiche, delle quali naturalmente parlerò.

Io, anche per non essere troppo lungo, non intendo riprendere analiticamente la fase che ci ha portato fino alle elezioni europee - l'allestimento dei programmi, delle candidature, la conduzione della campagna elettorale -. Naturalmente, però, anche questo fa parte della discussione. Se ci saranno annotazioni, valutazioni o critiche, ci sarà modo di farle e anche di poterle valutare in sede di replica.

Mi limito, sostanzialmente, ad un ringraziamento a tutte le candidate e candidati, a tutti i compagni e amici che hanno lavorato duramente, con intensità in questa campagna elettorale.

E vengo al voto. Noi abbiamo avuto motivi di delusione dal voto, tre motivi fondamentalmente, secondo me. Delusione perché, con la perdita di diverse Regioni e di alcuni Comuni, si sono materializzati cinque anni di indebolimento del Centrosinistra. E' stata sostanzialmente la resa dei conti di un ciclo e ci ha consegnato un arretramento. Secondo perché nelle ultime due settimane si erano determinate aspettative diverse da quelle che tutti avevano nei mesi precedenti. Aspettative, peraltro, che sono state contraddette in un paio di rilevanti casi per una manciata di voti.

Delusione, infine, perché abbiamo visto che il nostro partito non è rimasto estraneo a generali processi di disaffezione e di radicalizzazione. Questo e' il punto clou della vicenda. Quindi, il partito non va oltre un lieve avanzamento, se si vuole una sostanziale tenuta rispetto alle Europee.

Ora, tutto questo - che è vero - autorizza a parlare di una vittoria della Destra?, di una vittoria di Berlusconi senza se e senza ma o, come qualcuno ha detto e scritto in quei giorni: Berlusconi ha vinto e il resto sono chiacchiere?

Questa, fondamentalmente, è la lettura che e' passata, incoraggiata da ogni lato della politica e da ogni latitudine dell'informazione. Io dico che questa lettura non ci dice nulla della profondità e della rilevanza enorme di quello che è emerso da quel voto, che è qualcosa di più complesso e di cui dobbiamo avere piena nozione, perché riguarda anche questo un sintomo.

Per la prima volta dal 2007 il Popolo della Libertà perde significativamente consensi, con un arretramento, contando anche le liste del presidente riconducibili a loro, di quasi quattro punti. La Lega non compensa questo calo, ma acquisisce un discreto vantaggio percentuale elettorale ed un rilevantissimo vantaggio politico, che cambia in qualche modo strutturalmente la geografia dei rapporti di forza nel Centrodestra.

Tutto questo avviene in un contesto di drastica caduta della partecipazione e di corrispondente radicalizzazione negli schieramenti. Un fenomeno di proporzioni molto consistenti, che comporta sul piano dei numeri reali un arretramento di tutti, naturalmente tranne dei nuovi entrati, dei "grillini".
Un arretramento di diversa misura, ma di tutti in termini di voti reali.

Anche i flussi, per quel che abbiamo potuto vedere fin qui, ci dicono qualcosa: il Pdl perde largamente verso la Lega, il Centrosinistra - che accorcia le distanze in modo anche significativo dal Centrodestra - è lievemente meno colpito dall'astensione.

Noi abbiamo un "saldo attivo" verso gli alleati, ad eccezione dell'Idv, che prende qualcosa da noi e cede molto a Grillo; anche noi cediamo a Grillo. Per la prima volta abbiamo un limitato, ma comunque significativo, flusso in entrata dal Centrodestra, dal Popolo della libertà. Ed e' bene anche ricordare, visto che si parla di centro, di nord, di sud quali sono i termini reali della questione facendo mente alle Europee.

Se contiamo il nostro voto, insieme a quello dei candidati presidenti del Pd, noi avanziamo di quasi due punti al nord, di due punti e mezzo nelle cosiddette regioni rosse e arretriamo di un punto e mezzo nel sud, rispetto alle Europee. E quindi, se vogliamo dire una cosa, e' il sud - che sul piano politico e nel ciclo elettorale - ci propone un tema rilevantissimo, in quale caso, secondo me, anche drammatico.
In sostanza, riassumendo sul piano politico, io dico che si può affermare che la Destra, con tutta evidenza, paga elementi di scollamento rispetto ai grandi temi economici e sociali e la risposta inadeguata che le viene dall'azione di governo.
E noi non ci espandiamo, perché non riusciamo credibilmente a raffigurare un'alternativa affidabile a questo stato di cose. Questa è la mia valutazione e io credo - dicevo - che dobbiamo leggere il segnale profondo che viene da questa elezione, un segnale che ci riguarda, che riguarda un'intera fase.

Una fase nella quale il nostro Paese sta scivolando in termini di ricchezza prodotta, in termini di reddito, in termini di coesione, in termini di efficienza delle decisioni pubbliche, della macchina pubblica. Non c'è indicatore che non segnali questo scivolamento.

Non e' un tema che nasce oggi, ovviamente, ma io sono convinto che oggi comunque ci segnala effetti politici e che annunciano un orizzonte problematico di uno scollamento profondo, che è aperto a soluzioni diverse. Perché è evidente che in questo distacco tra Società e Politica, che ci viene segnalato, sta il rischio che si aprano anche improvvisamente spazi a soluzioni regressive, ma c'e' anche pienamente la contendibilità delle prospettive politiche. Se vogliamo andare ancora più a fondo a questa questione, nella sostanza noi abbiamo un sistema politico che non è stato e non è in grado di guidare la modernizzazione del Paese e i necessari processi di riforma dopo l'introduzione dell'euro.

Questo è un tema non solo italiano, ne abbiamo parlato altre volte, lo si vede nella dimensione europea, dopo l'euro e davanti ai processi di globalizzazione. Lo si vede nel ripiegamento nazionale, che è avvenuto in alternativa ad un'ipotesi di espansione della dimensione dell'Unione, un ripiegamento difensivo di cui la Sinistra e il Centrosinistra europeo hanno pagato il prezzo con una perdita di ruolo e in cui in qualche modo, in modo alterno nelle diverse situazioni nazionale ed europea, la Sinistra cerca la strada per recuperare.

Ma questo fenomeno ha una specificità italiana e una sua grave peculiarità: noi abbiamo vissuto e stiamo vivendo in questi anni in un bipolarismo che tende a radicalizzarsi e ad essere interpretato da un presidenzialismo implicito, impostato su modelli di consenso a forte curvatura populista.

E qui c'è il punto. Io non saprei dire meglio di quel che ha detto Mario Tronti pochi giorni fa, al compleanno di Ingrao: "La democrazia populista è una democrazia che non decide". Questo e' il punto. E il Paese e' stato lasciato ormai da anni senza decisioni, senza decisioni di cambiamento e di riforma.

Quel poco o tanto di cambiamento che si è visto negli ultimi quindici anni e' avvenuto nel Centrosinistra e, bisogna dirlo, negli anni Novanta. Ma bisogna riconoscere anche che quando abbiamo avuto una nuova occasione negli anni Duemila non l'abbiamo colta, abbiamo fallito. E questo pesa ancora, è un handicap forte nella prospettiva di alternativa.

Resta il fatto, tuttavia, che la Destra governa il Paese in sette anni degli ultimi nove, anche se tende a farlo dimenticare con i suoi giochi di specchi che non dobbiamo permettergli e ancora, questa Destra che ha governato sette anni su nove, dice che non la si lascia governare, che ha bisogno di più poteri. E come li cerca questi maggiori poteri? In chiave di un rafforzamento ordinato della funzione di governo? Fosse così si potrebbe discutere. No, la cerca in chiave di plebiscito. Ma in quella chiave più potere significa meno decisioni, perché quella chiave - l'abbiamo detto tante volte - usa il governo per il consenso e non il consenso per governare.

Io voglio dire che sta maturando uno scarto tra berlusconismo e realtà economica e sociale che Berlusconi non può affrontare per il verso giusto. L'abbiamo visto nelle cronache anche, subito dopo le elezioni. E’ un dilemma anche per lui.
Ce lo dicono le cronache: lui vede bene che dovrebbe decidere qualcosa di significativo sul fisco, sul lavoro, sull'impresa. Lo sa anche lui, come lo sappiamo noi, che questi sono i punti numero uno nella percezione degli italiani. Ma nelle compatibilità stringenti che ci sono, lui non può mettere su queste scelte il segno più, deve dirimere, dovrebbe decidere. E questo rompe il giocattolo, rompe il meccanismo.

Ed eccolo, quindi, sospinto a ribaltare il tavolo, a raffigurarsi eternamente come oggetto lui della contesa, ad usare perfino le leggi ad personam non solo nell'interesse suo, ma anche come elemento di distrazione di massa da temi che non riesce ad afferrare. E, quindi, ad evocare sempre un decisore immaginario in una chiave populista.

E quindi dico che resta vero che Berlusconi non può indicare un futuro positivo credibile per il Paese e resta vero che questo contiene un rischio che dobbiamo attrezzarci a contrastare, perché è un rischio reale e presente. Un paese senza decisioni arretra, fino al rischio di oscurare il senso di fondo dell'unità della Nazione. Ci sono tutti gli indicatori, che lo dicono e lo dicono in modo preoccupante: i divari sociali, territoriali degli standard civili stanno crescendo. Come e' ovvio, nella crisi prendono piede dei meccanismi corporativi, ma come e' meno ovvio abbiamo un Governo che li incoraggia, li produce, ne fa una politica, un modello.
Ed e' sempre più difficile ad ogni livello, ad ogni dimensione, configurare dei meccanismi collettivi, coesivi di risposta al problema. Non faccio l'elenco degli esempi di quello che sto dicendo, che potrebbe essere chilometrico. Vi invito solo a pensare ad un paio di cose: primo, all'enorme gravità di una crisi radicale dell'unità sindacale nel pieno della più grave recessione del dopoguerra. Fatto gravissimo.

E dall'altro lato la forbice nord-sud, economica, civile, culturale, che si sta allargando. E' un divario che sollecita degli scenari politici nuovi, nel momento in cui la Lega si affaccia con una sua proposta nazionale, che e' una proposta vagamente di tipo confederale, fatta apposta per rispecchiarsi in un riciclaggio di classi dirigenti meridionali, che possono invocare una retorica autonomista, in un meccanismo che si limiterebbe ad interpretare il divario e non più a cercare di chiuderlo.

Dicevo, senza decisioni arretriamo. Noi in pochi anni perdiamo cinque posizioni nell'area euro per pil pro-capite. Come vogliamo chiamarlo? Io non sono per aprire una discussione sul fatto se si debba chiamare declino o no. Io lo chiamo scivolamento, perchè non voglio evocare termini un pò metafisici. Ma il dato c'è, impressionante. Questo significa che c'è una riduzione dei redditi che investe anche i ceti medi.

Se vogliamo una raffigurazione reale, plastica, senza scomodare tanti indicatori, della serietà di questa prospettiva, noi la possiamo trovare nella perdita di orizzonte della nuova generazione. Questo è un salto veramente drammatico. Noi abbiamo un balzo al 28%, dal 20% che era soltanto un anno fa, della disoccupazione giovanile. Sono percentuali sconosciute in Europa, le puoi trovare nel Maghreb. In più c'è la qualità del rapporto tra giovani e lavoro e la possibilità o meno di darsi uno scenario di vita, che sta sfumando.
Mi fermo qui, perché in questa condizione giovanile c'è il riassunto di tutti gli indicatori che potrei elencare.

Teniamo anche conto che questo quadro corrisponde inevitabilmente ad una perdita di ruolo del Paese in una dimensione europea ed internazionale. Non è solo la questione delle barzellette di Berlusconi o del folclore negativo, che ci fa danno. C'è un processo reale, di riduzione di peso, di ruolo che e' il riflesso delle nostre debolezze e di questo scivolamento.

Questo scivolamento ha radici lontane certamente. Ma noi possiamo immaginarci - sto parlando dei prossimi mesi, un anno, due anni - uno scenario in cui per via spontanea le cose in qualche modo possano migliorare? Non pare.
Noi, fin qui, abbiamo fatto un'analisi corretta della crisi. Noi dall'inizio abbiamo detto - ricordate che abbiamo avuto delle discussioni anche fra noi - che la crisi sarà lunga. Non è vero che stiamo meglio degli altri, perché la crisi su di noi incombe poggiando su problemi strutturali precedenti. E quindi una fase di sostanziale stagnazione, con colpi ulteriori alla occupazione e con una criticità della finanza pubblica, non è solo un rischio, e' allo stato dei fatti una ragionevole previsione.

Se questo è il quadro - e questo è il quadro - noi possiamo certamente capire meglio il montare di elementi di disaffezione e il fatto che sul lato del Centrodestra si cominci a percepire uno stato di inadeguatezza e dal lato nostro ci rimproveri di non essere ancora un’alternativa credibile.

E si può capire anche come emergano elementi di spaesamento nelle
forze sociali e perfino in quelle che possiamo chiamare classi dirigenti. Non so se qualcuno di voi ha assistito al convegno di Confindustria: io ne ho visti tanti, ormai sarà il decimo che vedo, ed è abbastanza impressionante l'elemento di spaesamento. C'é una perdita di orizzonte che ti fa applaudire chi dice che c'è declino e applaudire anche chi dice che non c'è. Si può capirlo.

In questo quadro - non l'ho fatto fin qui, ma voglio farlo - bisogna fare cenno agli elementi di vitalità che ci sono nel Paese, e di cui abbiamo pur tuttavia segno. Perché se noi guardiamo realisticamente, in modo anche analitico, vediamo che dopo l'euro abbiamo avuto una quota rilevante del sistema produttivo impresa-lavoro che, in attesa che lo facesse il sistema, ha accettato la sfida, caricandosela direttamente, con processi di innovazione, con processi di adeguamento, di ristrutturazione.

Sono mobilitabili da noi risorse enormi di spirito civico, anche qui ne abbiamo avute tante prove. Le dimensioni locali non sempre interpretano meccanismi difensivi. Abbiamo visto che c'è un localismo che è all’altezza delle sfide del mondo. Abbiamo risorse di risparmio, seppure indebolite. Abbiamo fattori di innovazione che continuano ad agire.

Voglio ricordare questo perché, avendo descritto le difficoltà, come partito noi dobbiamo collegarci a quelli che ci provano, e non esprimere estraneità al Paese che si muove. In fondo la famosa vocazione maggioritaria che cos'è se non l’ istintiva simpatia verso questo Paese.

Lo dico perché in questi nostri passaggi dobbiamo guardarci dai rischi di illuminismo, dei giudizi da fuori. Sentirci molto intrinseci a questo Paese. Non essere giacobini, sentenziosi. Fare uno sforzo e metterci mani e piedi in questa realtà, anche nelle sue contraddizioni. Certamente, i meccanismi di crisi tendono, e' ovvio, a sollecitare esigenze di rassicurazione; la domanda di innovazione resta debole; e quindi dobbiamo immaginare una politica, un'azione di governo che si carichi anche di un'intenzionalità, ma non in modo scollegato da un rapporto intimo e diretto con il Paese.

Se è così il futuro è una sfida, non possiamo immaginare una nostra funzione, una nostra possibilità di crescita se non mettendoci all'altezza di questa sfida per tutto il lavoro che ci vorrà e il tempo che ci vorrà .
Un progetto per l'Italia e un Partito Democratico che abbia la credibilità per promuoverlo e per sostenerlo. Con meno di questo, secondo me, non andiamo da nessuna parte.

E quindi, esaurita la fase elettorale, che ci ha impegnati praticamente dalla settimana successiva al Congresso, propongo di metterci in quell'orizzonte di lavoro.
E che cos'è? E' intanto un'agenda che ci porti, con l'elaborazione e l'iniziativa, ad un appuntamento rilevante che, nell'occasione del 150/mo Anniversario dell'Unita' d'Italia, faccia emergere la nostra visione del Paese, la missione dell'Italia nell'Europa e nel mondo. La nostra visione sulla nuova unità della Nazione, sugli obiettivi civili, sociali, economici che vogliamo dare al nostro Paese, recuperando finalmente, in questo percorso, un rapporto efficace con la migliore intellettualità di questo Paese.

Nell'immediato, d'intesa con la Presidenza dell'Assemblea, propongo di convocare nel mese prossimo, la nostra Assemblea Nazionale in una discussione sull'impostazione politico-programmatica e portando immediatamente all'avvio una elaborazione e degli interventi su alcuni cruciali punti programmatici. Non dobbiamo metterci a fare dei libri programmatici, adesso. Abbiamo imparato in questi mesi quali siano i punti sensibili e dirimenti nell'evoluzione dell'opinione di questo Paese. Naturalmente non sono punti esclusivi, si deve lavorare su tutto, ma bisogna che andiamo a cogliere due o tre nodi da dirimere e sui quali presentarci con una proposta netta. Dico alcuni di questi nodi.

Il lavoro. Il lavoro, intanto, inteso come problema della nuova generazione nel mercato del lavoro.
Si è cominciato a discutere nelle nostre sedi su processi di unificazione dei diritti del lavoro e del costo del lavoro. Cioè meccanismi che riescano a mettere su basi più certe e più civili le prospettive di lavoro per le nuove generazioni, che riescano a determinare - contro la corporativizzazione, contro la separazione - dei processi unificanti.
E' un lavoro di elaborazione che è già cominciato e che deve essere perfezionato e concluso in tempi brevi.
Non c’è solo il mercato del lavoro. C’è un lavoro da creare, ma abbiamo gli elementi per sviluppare una proposta di politica industriale centrata sull'economia verde, sull'economia della qualità e dell'innovazione. Ci impegneremo in questo.

Il fisco. Il fisco è il luogo del tradimento della Destra nei confronti di ceti molto ampi di questo Paese. Credo che su questo dobbiamo dire una parola netta e chiara. Il tema fiscale non può essere rimandato a dopo il federalismo fiscale; naturalmente le proposte che dobbiamo fare debbono essere neutre dal punto di vista della discussione sul federalismo fiscale che è importante e alla quale vogliamo partecipare. Non dobbiamo promettere riduzioni di entrate, dobbiamo promettere riduzioni di carico fiscale per le famiglie a reddito medio-basso, per le imprese e per il lavoro. Dobbiamo, quindi, avere proposte che ribilancino i pesi ed il primo peso da ribilanciare è tra chi paga e chi non paga.
Dobbiamo delineare, quantificandolo, un obiettivo di fedeltà fiscale paragonabile a quella europea, dobbiamo indicare i meccanismi di tracciabilità che possano realisticamente portarci a questo obiettivo, dobbiamo dire che ogni euro in più ricavato dall'evasione è un euro in meno di tasse sul lavoro, sull'impresa e sulle famiglie e partire da lì.
Il secondo ribilanciamento possibile è quello tra redditi da capitale e redditi da lavoro e da impresa; il terzo e' fra patrimoni immobiliari e mobiliari e redditi da lavoro e impresa; un altro e' tra inquina e chi non inquina. Su questi parametri noi dobbiamo metterci al lavoro e produrre una iniziativa di proposta.

L’Educazione. Un altro tema che fisserei, e ne parlo per breve. Si sta lavorando. Le questioni dell’università bisogna unificarle con quelle della scuola. Abbiamo le condizioni anche qui per segnalare una proposta.

Una parola in piu' sul tema istituzionale. Credo che il nostro compito sia intanto di dire che una proposta ce l'abbiamo. Non sottovalutiamo questo aspetto, perché la Destra, fin qui, ha prodotto pericolose chiacchiere. Teniamo l'asse della nostra proposta, che dobbiamo arricchire e perfezionare, in chiave di ammodernamento e rafforzamento di un sistema parlamentare nel solco fondamentale della nostra Costituzione.
Questo e' l'impianto della nostra proposta, che non riprendo ora. Noi non conosciamo fin qui proposte redatte dalla maggioranza, conosciamo solo la bozza di una bozza, cosiddetta Calderoli, e noi dobbiamo dire subito che la bozza Calderoli non e' potabile, e' da respingere, perché mette in discussione fondamentali equilibri della Repubblica. Non vado nel dettaglio, e' un doppio vestito su misura per le esigenze della Lega Nord e per le esigenze di Berlusconi. E, per quel che ci riguarda, l'abbiamo detto e lo ripetiamo: non siamo una sartoria, vestiti su misura non ne facciamo.

Noi siamo per una proposta saldamente parlamentare, per un rafforzamento dei poteri di governo e parlamento, per il senato federale, per la riduzione del numero dei parlamentari. Naturalmente, lavoreremo per arricchire questa proposta e credo che le linee di arricchimento di questa proposta debbano essere un progetto di legge sui partiti (qui c'è già un testo Castagnetti su cui si può utilmente riprendere) una proposta di legge sui referendum (che sono inservibili da ormai 12 anni) che vanno resi praticabili, una proposta sui costi della politica (anche qui si e' cominciato su alcuni punti a lavorare), una proposta sui temi locali, a partire dal patto di stabilità.

Credo si possa rapidamente mettere in campo questo pacchetto di arricchimento della nostra posizione sotto il profilo istituzionale. Dobbiamo anche perfezionare la nostra discussione, la nostra proposta, sui temi elettorali a partire dai punti fermi acquisiti. La legge attuale e' una vergogna e vorrei fossimo sicuri di questo. Non lo diciamo per dire, nel senso che questa legge e' un'architrave del meccanismo di avvitamento in chiave plebiscitaria.

Lo abbiamo visto: è stata un punto dirimente per consentire due anni di riduzione drastica del ruolo, della funzione del parlamento.
Quindi, noi dobbiamo combattere, vedere in quali modi possiamo oltrepassare questa legge che, fra l'altro, si dice andrebbe conservata così anche in un'ipotesi presidenziale. Non so neanche come sia possibile, ma nel caso arriveremmo ad una satrapia, non saremmo più nell'universo delle cose pensabili!

Quindi, noi dobbiamo cercare con ogni mezzo utile di superare questa legge. L'idea nostra di un forte governo a base parlamentare può consentire diverse soluzioni di meccanismo elettorale. Noi vogliamo una soluzione propria di un sistema bipolare, che consenta all'elettore di scegliere il deputato e di garantirsi una maggioranza univoca e stabile per la legislatura.
Allestiremo un luogo di discussione che porti a stringere questi criteri, che capisco possono consentire soluzioni diverse, sulle quali possono esserci opinioni diverse. Quindi dovremo stringere su questi criteri. Propongo però come tono generale, fissati i paletti, di sdrammatizzare questa discussione, perché le leggi elettorali vanno e vengono. E' Berlusconi che è qui dal 1994!
Cerchiamo di tenere presente questo particolare, naturalmente senza mai rinunciare ai paletti fondamentali che debbono assicurarci un assetto bipolare, ma cercando anche di darci quel tanto di flessibilità nella discussione con gli altri, che possa portarci ad un risultato: primo fra tutti quello di affermare con un sufficiente numero di forze che questa legge che c'è va cambiata. Perché gli altri stanno dicendo che non va cambiata.

Lavoreremo anche sul tema della giustizia, che non è un tabù. La giustizia è un servizio che non funziona per i cittadini e non può essere che noi aggiriamo questo tema. Noi lo vogliamo affrontare dal lato dei cittadini e quindi in polemica vivente con le leggi ad personam. Abbiamo visto le proposte che Orlando ha avanzato, hanno quel significato; c'è da approfondire, dettagliare, bisogna farne una base di discussione.
Però approfittiamo per dire una cosa, che vale per questa e per altre materie: si può essere d'accordo o non d'accordo, ma non esiste che nella nostra squadra, quando c'è una discussione, si parli di intelligenza col nemico. Non esiste. Se siamo convinti di essere democratici, di essere il partito della Costituzione, non ci facciamo intimorire da nessuno. Questo e’ un punto dirimente per la vita del partito.

Dobbiamo lanciare una proposta sui temi dell’informazione, approfondendo – questo non è semplice ma, secondo me, rilevantissimo – la questione di norme antitrust sul tema dell’informazione e della comunicazione, che sono il modo vero per andare a cogliere il conflitto d’interesse e non farne una cosa inafferrabile. Ma, in particolare, anche saltando dentro al tema dell’informazione pubblica, della Rai-Tv.

Voglio dirlo così: non possiamo esser sempre “becchi” e bastonati. Queste ultime elezioni ce l’hanno detto in modo papale: ha tolto i talk show, ha occupato militarmente nell’ultima settimana le reti pubbliche con dei risultati tangibili. Il giorno dopo s’è messo a lamentarsi dicendo che non bisogna pagare il canone. Non è possibile.

Adesso noi presentiamo rapidamente un progetto di legge: fuori i partiti dalla Rai. E, applicazione delle norme del codice civile. E se non va, prendiamo una qualche decisione, perché questi meccanismi - consigli di amministrazione, commissioni di vigilanza - al dunque, sono strutturalmente impotenti a darci un meccanismo pluralista. Basta. Non vedo cosa abbiamo da guadagnarci a stare in una situazione di questo genere.

Su queste cose, e ce ne potranno essere altre, qual è il metodo di lavoro che propongo? Si parta subito, a cura della Segreteria, dei responsabili dei forum, dei gruppi parlamentari, ad individuare le piattaforme, a mettere nei circuiti di partecipazione fisici e di rete. Nei mesi successivi dovremo darci l’appuntamento pubblico che, punto per punto, segnali la proposta.

Di questa parte del lavoro ho chiesto se ne occupi, coordinandolo, Enrico Letta. Nel senso di dare non solo tempi e metodi, ma di vedere anche quando c’è bisogno della validazione politica per varare la proposta. Gianni Cuperlo ed il suo ufficio attiveranno meccanismi di coinvolgimento di forze intellettuali, attorno agli scenari che dobbiamo evocare, indicare, sui punti di fondo della nostra proposta per il Paese, per quell’appuntamento sul progetto per l’Italia che prevediamo nel 2011.
Chiedo anche la possibilità di poter discutere in modo più ravvicinato e pertinente come possa migliorare il contributo delle fondazioni; vedere cioè come possano essere meglio coordinate, essere più direttamente funzionali al rapporto tra elaborazione del partito e intellettualità diffusa.

Quindi, è lavorando sul progetto che noi daremo il principale contributo all’organizzazione del campo del Centrosinistra e ai rapporti politici con tutte le forze di opposizione e non solo con loro. Qual è l’essenziale ispirazione nei rapporti politici? Primo punto: di fronte all’evidente pericolo che si possa dare vita a cambiamenti in chiave plebiscitaria o neo autoritaria, noi facciamo appello ad una convergenza repubblicana di tutte le forze di opposizione e di maggioranza consapevoli ed interessate ad ammodernare le istituzioni nel solco della Costituzione. Credo sia giusto rivolgere questo appello, perché non si può sottovalutare la fase.

Secondo punto: noi vogliamo costruire piattaforme comuni sui temi economico-sociali con tutte le forze di opposizione e, quindi, il percorso che fin qui ho illustrato dovrà sempre prevedere nelle forme giuste lo sforzo di coinvolgere le forze di opposizione in una convergenza programmatica. Vogliamo lavorare nelle regioni e nelle realtà locali per mettere a frutto politico le nuove, comuni responsabilità di governo.

Terzo punto: noi siamo pronti a tenere aperto il cantiere del partito con formazioni vicine politicamente e interessate a discutere con noi di un destino comune. A me pare ovvio, francamente, che la nostra attitudine ad ogni livello debba essere quella di avvicinare le posizioni delle forze di opposizione per quel che ci sarà possibile, per quel che ci sarà consentito. Naturalmente in modo compatibile con il nostro essenziale profilo, con i contenuti essenziali del nostro progetto.

Quindi, fra progetto e alleanze, francamente, non vedo distinzioni, nel senso che noi, dobbiamo darci il baricentro del progetto e contemporaneamente cercare di avere un rapporto che ci consenta di organizzare al meglio il campo.

Non ci sfugge ovviamente quello che sta succedendo nella maggioranza. Continuo a dire che se fossero andate così bene le elezioni per il Pdl non ci sarebbero queste grane in corso. Inutile adesso fare previsioni, forse il problema lo aggiusteranno, certamente non lo risolveranno in pochi giorni, perché è un problema di fondo. Perché la funzione di governo si sta stringendo sempre più al punto di equilibrio tra Berlusconi e la Lega, che usa in modo spregiudicato ed intelligente la sua decisiva utilità marginale. E qui si sente il sapore di cose da Prima Repubblica.

I meccanismi di decisione ruotano lì attorno, zittiscono Parlamento e Maggioranza, perché se soffriamo noi i 30 voti di fiducia, i 50 decreti, li soffrono anche loro nella maggioranza. Una parte della Maggioranza viene umiliata; se ci sono frutti nell’azione di governo li raccolgono sempre alcuni; il disagio nel paese c’è e ci sono i precari, c’è la disoccupazione, c’è la crisi e quindi c’e’ chi li percepisce anche dalla loro parte. E davanti a tutto questo c’è una prospettiva nella quale non è chiaro dove Berlusconi voglia portare la tribù; probabilmente c’è il sospetto in qualcuno che la voglia portare dove qualcuno non vuole andare. Quindi, l’incertezza, e la tensione, non si esauriranno nei prossimi giorni. Noi dobbiamo seguire con grande attenzione gli elementi di fondo che si muovono nella destra.

Intanto, oggi possiamo dire sicuramente che nel Paese non si sa di cosa si stia parlando; c’è l’assenza totale del Paese e dei suoi problemi, non solo nell’agenda di governo, ma anche nella stessa agenda delle liti della maggioranza. E’ evidente inoltre che i partiti non si fanno su un predellino, perché questo poi è l’esito. Noi possiamo contrapporre a questo stato confusionale una posizione limpida. Ce l’abbiamo una posizione limpida: se l’agenda è quella delle leggi ad personam e dintorni non ci cerchino; diciamo che siamo pronti ad una convergenza repubblicana contro il rischio di stravolgimento plebiscitario della Costituzione e siamo pronti su questo a discutere con chiunque. Ho già detto che, se si parla sul serio di lavoro, si va anche ad Arcore, perché questa e’ una questione cruciale. Credo che questo sia l’atteggiamento di una forza responsabile, che ha il suo profilo, le sue proposte, la sua dignità.

Quanto alla Lega, che ha fatto un passo in avanti nella scena politica, se si prende nuove responsabilità, non potrà reggere troppo a lungo doppi-tripli ruoli nel teatro della politica.

Noi siamo alternativi alla Lega su questioni radicali, per come la Lega le ha predicate fin qui. Questioni che attengono perfino la condizione umana, dal punto di vista dell’uguaglianza di fronte a diritti fondamentali, umani e di cittadinanza; di fronte ai diritti della persona, alle migrazioni; di fronte, (non l’avevamo mai pensato), alla domanda se i bambini debbano mangiare o no tutti quanti in una mensa. E, quindi, perfino a prescindere da quel che fa la Lega, c’è un elemento di predicazione negativa, di disvalore, che piccona elementi essenziali di convivenza.
Su questo siamo decisamente alternativi. E siamo sfidanti, in particolare nei luoghi dove la Lega è insediata, sui temi che la Lega dice concretamente di voler sostenere e sui quali consuma un tradimento. Temi che sono nostri, che sentiamo nostri: l’autonomia, il territorio, il destino della piccola imprese dentro questa crisi, la burocrazia che si è appesantita e non alleggerita.

Più la Lega prende potere più è decisiva nel sostenere Berlusconi e più appare chiaro che il partito del predellino Berlusconi non l’ha fatto con Fini, l’ha fatto con la Lega e la Lega deve cominciare a prendersi le sue responsabilità delle cose che non arrivano sul territorio. Questo è il punto sul quale dobbiamo mobilitarci, in particolare nel Nord.

Per me è lavorando per l’Italia che noi ci daremo il profilo di partito che cerchiamo. Faccio una piccola nota personale: esponendo, nel congresso cinque mesi fa, il tema dell’alternativa, credo che nessuno mi abbia mai sentito dire che la strada sarebbe stata breve e senza inciampi. Ho sempre detto che sarebbe stata lunga e con inciampi. C’è un lavoro da fare, bisogna che ce ne incarichiamo tutti, io per primo. E dobbiamo farlo tutti trasmettendo positività e con uno sforzo di stare un po’ sul pezzo; perché dobbiamo resistere alla vocazione di vedere, ogni volta che c’è un problema, l’esigenza di palingenesi, e di palinodie. Io dico che se prendiamo l’abbrivo delle cose che sommariamente ho detto, dovrebbe venir fuori il profilo di un partito che io definirei Partito del lavoro e della nuova generazione, Partito della Costituzione, Partito della nuova unità della Nazione. In modo da stagliare noi stessi lo scenario politico con una nostra personalità individuabile, riconoscibile nelle cose che vogliamo fare.

Penso anche che, di fronte all’ideologia berlusconiana e all’ideologia leghista – ideologie che essendo tali resistono perfino all’evidenza dei fatti – noi dobbiamo contrapporre dei sistemi di pensiero dove ci siano delle parole pronunciate con più nettezza: uguaglianza, diritti, regole, merito, civismo. Cioè farci leggere in alcune chiavi che vengono riconosciute dentro le cose concrete che diciamo, ma che siano il leit motiv del nostro modo di essere.

E dobbiamo darci idee un po’ più chiare sulla conformazione del partito. Però il partito non può essere l’oggetto della nostra discussione col Paese e nel Paese. Noi dobbiamo parlare dell’Italia, dobbiamo parlare degli italiani, assolutamente.

E come vedete anche in questa relazione io non ho voluto riprendere temi di fondo che riguardano il Pd. Abbiamo fatto un congresso. Quello che siamo e che saremo, lo impareremo e lo costruiremo soprattutto lavorando per l’Italia, per la società italiana.

Semmai c’è un problema che definirei di stato di salute della nostra organizzazione, sul quale certamente non possiamo impegnare l’Italia, ma che noi non possiamo assolutamente sottovalutare, di cui dobbiamo assolutamente caricarci. Perché non e’ questione organizzativa! Se il progetto più bello del mondo non è in mano a un soggetto affidabile, è un messaggio in una bottiglia. E noi abbiamo ancora un problema. Non voglio generalizzare. Tutti abbiamo vissuto questi mesi nei territori. Ci sono due o tre questioni da affrontare con decisione.

Il partito si è conformato con diffusi elementi di anarchismo e di personalizzazione e non riesce ancora a prendere piede un concetto di direzione politica ad ogni livello di questo partito. La struttura federale, in alcuni luoghi della periferia, è debolissima, è sfrangiata e non ha contrappesi nella possibilità di decisioni centrali. Il buon nome della ditta può girare nelle mani più vaghe, senza che ci possa essere un richiamo significativo di chi deve difendere il patrimonio di tutti.

I meccanismi di partecipazione, che si sono dimostrati in alcuni luoghi preziosissimi, ma vanno in automatico, quindi a volte sono scagliati contro di noi, contro la possibilità di fare coalizioni vincenti. Perfino qualche volta contro la possibilità di rinnovamento. E faccio una proposta. Su questi punti chiudiamolo il congresso, adesso ci siamo fatti tutti un’opinione, perché abbiamo camminato, abbiamo visto, abbiamo provato.
A mente sgombra, con grande onestà intellettuale e affetto per la "ditta", mettiamoci lì - c’è la commissione Statuto convocata – e affrontiamo questi punti essenziali. Chiedo di creare condizioni politiche per potere, col tempo, mettere mano: a un impianto federale che dia forza ai territori, con dei punti di equilibrio di forti poteri centrali; alla costruzione di luoghi efficienti di direzione politica; a meccanismi che incoraggino il il sangue nuovo che deve arrivare ai livelli di direzione del partito.

Si parla di regole. Bisogna parlarne fra tutti e con tutti. Vediamo assieme, lavorando nella commissione Statuto, se c’è la possibilità di organizzare un appuntamento significativo che rilanci il nostro modo d’essere come partito.

Vi chiedo però la disponibilità politica a intervenire subito con alcune misure urgenti, perché siamo alle soglie del nuovo tesseramento e siamo alle soglie dei congressi provinciali in due terzi del paese. Su quattro punti fondamentali chiedo la disponibilità a lavorare nella commissione Statuto e a portare qualche decisione all’assemblea che ci sarà da qui ad un mese.

Il primo punto riguarda un elemento di unificazione. Abbiamo regioni nelle quali i segretari di federazione si fanno con gli elettori e altre dove si fanno con gli iscritti. Credo sia ragionevole decidere in quei casi, di rivolgerci alla platea degli iscritti.

Secondo punto. Noi andremo alla formazione di organismi dirigenti. Qui c’è il tema del federalismo. Se noi vogliamo rafforzare, come vogliamo rafforzare, la dimensione territoriale, la crescita dell’espressività politica della dimensione territoriale, il tema del federalismo dobbiamo prenderlo dal basso, non possiamo prenderlo dal vertice. Non funziona. Qui abbiamo già fatto qualche passo, cominciando, per esempio, coi finanziamenti a rendere via via effettivo il principio dell’autonomia amministrativa.
I soldi che derivano da finanziamento pubblico a scala regionale, i soldi del tesseramento e di quant’altro avvenga a livello locale, restano lì. Nessun euro dalla periferia al centro, semmai qualche euro, su progetti necessari, dal centro alla periferia.

Secondo. Vi chiedo di inserire una norma - vediamo i particolari naturalmente – che, nell’allestimento degli organi di direzione a livello provinciale, fissi che una quota significativa dei membri degli organismi debba essere composta da segretari di circolo. Questo anche come incoraggiamento, perché la gente si senta invogliata ad assumere anche questi compiti di costruzione del partito. Ma vi dico anche che, dando la possibilità ai segretari di circolo di mettersi in una dimensione politica, sarà possibile anche vederli, e quindi dare una possibilità a chi fra loro può maturare capacità di direzione.

Terzo. Le incompatibilità. Fissiamo qualche punto più chiaro. Vediamo il punto di equilibrio, ma non esiste che uno che ha responsabilità in un esecutivo di un’amministrazione si carichi anche di compiti di gestione del partito.

Quarto. Una norma su temi etici e di costume, che almeno colga due questioni: la tracciabilità dei finanziamenti ad ogni livello di candidatura di ogni genere e specie. Secondo, l’esigibilità delle norme del nostro codice etico, che è tanto bello, ma non si capisce bene come renderlo effettivo. Se ci sono altri punti li valuterà la commissione Statuto. Vi chiederei il via politico per poter presentare all’assemblea di maggio qualche nuovo punto fermo. Questa Direzione e l’Assemblea sono occasioni di discussione molto importanti. Credo che comprendiamo tutti quale sia lo stato d’animo del nostro partito. Credo che la cosa più importante politicamente sia dare un messaggio di fiducia e, quindi, mi auguro che ciascuno di noi, ciascuno nella sua posizione, sappia trasmettere alla nostra organizzazione, ai nostri elettori, questo messaggio.