Reddito di cittadinanza, c’è il via libera. Ora servono dieci anni di residenza

 Il via libera è arrivato nella notte. Non proprio notte fonda, come molti si aspettavano visto il «muro» di emendamenti depositato dalle opposizioni: per approvare la variazione di bilancio firmata dal governatore Maurizio Fugatti (20 i voti favorevoli, 12 i contrari e due astenuti), i consiglieri provinciali sono rimasti in Aula fino all’una meno venti di ieri.
M. Giovannini, "Corriere del Trentino", 8 febbraio 2019

 

Una manovra «urgente» messa in agenda per far fronte ai danni provocati a ottobre dal maltempo, quella che il consiglio ha votato. Ma, di fatto, diventata oggetto di scontro soprattutto per l’emendamento — illustrato dal presidente della Provincia — relativo al reddito di cittadinanza. Che introduce l’obbligo di residenza in Italia da dieci anni, in aggiunta alla residenza in Trentino da almeno tre (eliminando la possibilità di fare affidamento alla «residenza storica» di almeno quindici anni).

Proprio su questa misura si sono concentrati gli interventi — e le critiche — delle opposizioni. Che non si sono placate fino a tarda sera.

«Si tratta — ha detto Giorgio Tonini, capogruppo del Pd — di una forzatura propagandistica, una norma che non ha nessun impatto sul bilancio, una barbarie inaccettabile, fatta per anticipare un decreto sul quale il Parlamento ancora non si è pronunciato». Ancora più duro Ugo Rossi, capogruppo del Patt: «Si è rinunciato a far prevalere il principio di autonomia nel nostro sistema di welfare, che è stato ridotto a un residuo, a un qualcosa in più rispetto a decisioni legittime, ma prese da un’altra parte. Un’occasione mancata, l’autonomia venduta per un piatto di lenticchie. La bandiera trentina viene piegata su se stessa».

Non ha risparmiato critiche nemmeno Alessandro Olivi (Pd): «Per la prima volta la Provincia di Trento si distingue per recepire una norma statale e renderla vigente prima di ogni altra Regione e paradossalmente prima che la disciplina sia stata approvata dal Parlamento. Un’Autonomia non solo che rinuncia a progettare e a innovare, ma che si dimostra supina e appiattita sul governo». Così il collega di gruppo Alessio Manica: «La maggioranza ha approvato la legge più centralista mai approvata in Trentino, al solo scopo di compiacere il proprio padrone romano. In poche ore si sono smantellati decenni di politiche innovative, di Autonomia».

E ha parlato di «tagliola dei dieci anni» Paolo Ghezzi, capogruppo di Futura: «Fugatti ha preferito l’esibizione muscolare alla Salvini a un profilo riformistico, dialogico, autonomistico». Si è detto «deluso» Filippo Degasperi (5 Stelle): «Il confronto avrebbe potuto essere più costruttivo. In questa manovra, inoltre, ci sono pesanti sforbiciate di risorse in ambiti diversi. E nessuno dice nulla».

A difendere il provvedimento è stata l’intera maggioranza. «In questa variazione — ha rilanciato Mara Dalzocchio (Lega) — non ci sono norme che metto in crisi l’autonomia. Ma solo norme che aiutano i trentini». «Autonomia — le ha fatto eco Claudio Cia (Agire — non è assistenzialismo ma responsabilità. Altrimenti si incrina la credibilità della politica trentina».

E se i sindacati, ieri, con una nuova nota congiunta hanno ribadito la loro posizione critica nei confronti del requisito dei dieci anni («Così — è la linea dei segretari di Cgil, Cisl e Uil — si svendono le prerogative dell’Autonomia per uno strumento peggiore di quello trentino»), i vertici della Lega Alessandro Savoi e Mirko Bisesti hanno esultato per l’approvazione della variazione. «Ringraziando» anche il Patt. O meglio: «metà gruppo, che ha votato astensione». Gli «esclusi» dai ringraziamenti sono Ugo Rossi e Michele Dallapiccola, contrari.

Annuncia battaglia infine la Cisl medici, pronta a «ricorrere all’autorità giudiziaria» per una «norma insolita» contenuta nel provvedimento «che disciplina le modalità di incarichi provvisori di continuità assistenziale ai laureati in medicina e chirurgia abilitati ed iscritti ai corsi di formazione in medicina generale».