Comunicato stampa, Alessandro Olivi: «Non abbandoniamo l'esperienza innovativa dell'assegno unico per appaltare allo stato il problema»

Il consigliere del Partito Democratico Alessandro Olivi ha depositato ieri una proposta di mozione che impegna la giunta a non retrocedere rispetto all’esperienza innovativa dell’assegno unico, e a garantire piuttosto tra questa e la misura nazionale del reddito di cittadinanza le necessarie armonizzazioni.
Trento, 18 gennaio 2019

 

Il consigliere del Partito Democratico Alessandro Olivi ha depositato ieri una proposta di mozione che impegna la giunta a non retrocedere rispetto all’esperienza innovativa dell’assegno unico, e a garantire piuttosto tra questa e la misura nazionale del reddito di cittadinanza le necessarie armonizzazioni. “Sembra davvero curioso – ha commentato il vicepresidente del Consiglio provinciale – che mentre un passo alla volta il governo nazionale rimodella la sua misura non dico copiando, ma senz’altro sbirciando alcune soluzioni innovative introdotte da noi, la giunta Fugatti sembri avere la fregola di smontare quello stesso modello per appaltare allo Stato il problema”.

La mozione, sottoscritta dall’intero gruppo consiliare democratico, ribadisce non solo come l’“assistenza” e la “beneficenza pubblica” siano ambiti legislativi nei quali alla nostra Provincia è riconosciuta la potestà primaria di emanare norme, ma ricorda la trattativa portata avanti della Giunta provinciale in carica nella XV Legislatura per armonizzare il reddito di inclusione che veniva introdotto a livello nazionale con l’intervento già previsto su scala provinciale. “Non possiamo essere autonomi e poi sperare che ai nostri problemi risponda lo Stato – nota il Consigliere Olivi – abbiamo lavorato duramente per essere all’avanguardia e disegnare un sistema di welfare attivo e condiviso, che fornisse servizi e non si limitasse a distribuire qua e là un po’ di soldi, producendo assistenzialismo”.

Proprio su questo punto, quello del rischio di passività e inerzia che il reddito di cittadinanza rischia di produrre, la mozione fissa alcuni paletti che hanno fatto dell’esperienza trentina un caso studiato in Italia e dall’estero: “Dobbiamo continuare a parlare di welfare attivo, non solo di assegni e di percettori, e dobbiamo ricordaci che le misure e i servizi che funzionano meglio sono quelli multidimensionali, quelli che considerano le situazioni famigliari”, analizza l’ex assessore allo sviluppo economico e lavoro. “Dobbiamo continuare a pretendere che, garantito il livello essenziale delle prestazioni che il reddito di cittadinanza fisserà, da lì il Trentino parta per aggiungere almeno quanto oggi è già previsto, se non per innovare ancora. Personalmente – chiosa il consigliere Olivi – non ho alcuna intenzione di restare a guardare una lenta erosione che ci non ci porterà alcunché, se non a fare passi in dietro”.

 

IL TESTO INTEGRALE DELL'INTERROGAZIONE

Introduzione di forme di coordinamento tra il reddito di cittadinanza nazionale e l’assegno unico provinciale e utilizzo delle risorse eventualmente disponibili per politiche di welfare attivo

 

 

            Le intenzioni manifestate dalla giunta e dal presidente della Provincia di cancellare la misura dell’assegno unico provinciale come conseguenza dell’introduzione del reddito di cittadinanza nazionale, comportano serie criticità che sono allo stesso tempo di metodo e di merito.

            Gli interventi pubblici di sostegno al reddito dei nuclei familiari in condizioni di povertà, tra i quali rientrano per intero le esperienze provinciali del reddito di garanzia e dell’assegno unico, appartengono ad una funzione, quella dell’“assistenza e beneficenza pubblica” rispetto alla quale alla nostra Provincia è riconosciuta la potestà primaria di emanare norme legislative (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, art. 8, comma 1, n. 25).

            Una precisa previsione normativa in forza della quale – in determinati ambiti tra cui questo – al Consiglio provinciale è riconosciuto il potere esclusivo di approvare leggi, con l’unico vincolo di rispettare limiti di carattere generale, come ad esempio i principi della Costituzione e dell'ordinamento giuridico italiano.

            Appare del tutto evidente, dunque, come la volontà del nuovo governo provinciale di sostituire l’intervento locale (assegno unico) con la misura nazionale (reddito di cittadinanza), significhi nei fatti rinunciare a un doveroso esercizio di autonomia e al correlato diritto di rendere il Trentino un laboratorio virtuoso di buone pratiche.

            Questa, che a un occhio distratto potrebbe apparire solo una questione giuridica o di sottile demarcazione di competenze, è in realtà una vicenda che ha profondamente a che vedere con la storia della nostra autonomia e con il suo futuro. Perché è grazie alla significativa potestà legislativa contenuta nel nostro Statuto che sono state possibili sperimentazioni e innovazioni oggi studiate in Italia e all’estero; e perché l’annuncio, oggi, di rinunciarvi con una sorta di malcelato sollievo (“ci pensano loro, ci pensa lo Stato”) è quanto di più lontano possa esserci dallo spirito di autogoverno che ha sempre connotato la nostra comunità.

            Una tensione ad innovare e sperimentare – sia detto per inciso – che anche recentemente è stato alla base della trattativa della Giunta provinciale in carica nella XV Legislatura per armonizzare il reddito di inclusione introdotto a livello nazionale con l’intervento già previsto su scala provinciale. Un’accordatura tra due misure che abbiamo considerato e difeso come irrinunciabile, e che è infine stata riconosciuta alla nostra Provincia con l’introduzione dell’art. 14, comma 8 del D.lgs. 147/2017: “le province autonome di Trento e Bolzano, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, possono, in favore dei residenti nei propri territori, permettere l’accesso coordinato al REI e alle misure locali di contrasto alla povertà disciplinate con normativa provinciale [...].”

            Ciò chiarito, non sono solo di principio e di metodo le criticità connesse alla direzione che la Giunta e il Presidente della provincia sembrano intenzionati a perseguire.

            L’introduzione del reddito di cittadinanza, seppur ancora sfuocato in quella che sarà la sua veste definitiva, ha suscitato l’allarme di molti – Lega inclusa – per il suo carattere disincentivante e assistenzialista. La preoccupazione, in sintesi, è che il reddito di cittadinanza possa produrre assistenzialismo, induca cioè le persone ad attendere passivamente un sussidio, senza stimolare in modo efficace la ricerca di un impiego e il necessario attivismo sociale, avallando quasi la passività e l’inerzia dei soggetti inattivi. Timori fondati, certamente, che da un lato ci spingono ad interrogarci sul perché l’esecutivo provinciale decida di accomodarsi ad accettare gli esiti di una misura che dichiara di non condividere e di maldigerire, e che dall’altro allarmano ancora di più per il contemporaneo annuncio di voler utilizzare per non meglio precisati “investimenti” le risorse che nel bilancio provinciale avanzerebbero dalla cancellazione dell’assegno unico provinciale.

            Se è infatti grave scegliere di ritirarsi ad accettare docilmente uno strumento che si considera sbagliato, scellerata appare l’intenzione di distogliere dal sociale le risorse che si stima potrebbero avanzare. Solo infatti utilizzando quelle risorse su politiche di welfare attivo è stato possibile, negli anni passati, intervenire con quegli attori e quelle misure (Agenzia del lavoro, rete dei servizi per il reimpiego, strumenti a favore della mobilità sociale) che sul nostro territorio hanno evitato la passività e l’inerzia che ora tanti temono.

            Distogliere quelle risorse dal sociale significa non comprendere quanto queste siano necessarie per una lotta alla povertà che presuppone oggi una multidimensionalità delle misure e dei beneficiari; non capire che le politiche del lavoro non si risolvono mai semplicemente rappezzando in modo estemporaneo un qualche sostegno economo individuale o solo “distribuendo soldi”; significa non vedere che le povertà e le difficoltà vanno affrontate su base famigliare. Significa, infine, farsi prendere dalla tentazione della riforma per la riforma: un’abitudine che potrà anche accendere qualche vertigine in chi vi si cimenta, ma che non ha mai condotto a soluzioni di sistema solide, rispettose e all’avanguardia.

 

 

Tutto ciò premesso, il Consiglio impegna la Giunta provinciale:

 

 

  1. a utilizzare le risorse provinciali che eventualmente si rendessero disponibili dall’introduzione della misura nazionale del reddito di cittadinanza per misure di sostegno al welfare come politiche attive del lavoro, servizi di conciliazione, strumenti per l’emancipazione dalle fragilità economiche, politiche a sostegno delle famiglie;

 

  1. a proporre al governo nazionale forme di coordinamento del reddito di cittadinanza con l’assegno unico provinciale, previa intesa e regolazione dei rapporti finanziari, anche mediante un unico modello di domanda.

 

 

                                                                                  Consigliere Alessandro Olivi