Doppio passaporto, una scelta sciagurata

Se il tema della «politica responsabile» deve rappresentare il motivo di sottofondo del prossimo quinquennio amministrativo, non può passare sotto silenzio il delicato nodo rappresentato dalla scelta austriaca - formulata probabilmente più con finalità di consenso interno - di istituire un possibile «doppio passaporto». Un «doppio passaporto» per i cittadini italiani di lingua tedesca e ladina.
Bruno Dorigatti, 2 agosto 2018


Pur tralasciando qualsiasi considerazione di tipo ideologico e volendo evitare il rischio di far cadere il dibattito dentro i pericolosi gorghi del nazionalismo, vorrei solo formulare qualche modesta domanda, nella mia veste di Presidente del Consiglio della Provincia autonoma di Trento e di già Presidente del «Dreierlandtag», anzitutto circa il futuro destino del sistema euroregionale fin qui faticosamente costruito se, per ipotesi, l'idea della «doppia cittadinanza» trovasse qualche applicazione pratica. In secondo luogo, va da sé che l'esclusione della componente italiana della società sudtirolese da un simile provvedimento scaverebbe un nuovo solco fra le etnie, riaprendo ferite e divisioni che l'autonomia speciale si è incaricata, fin qui, di lenire e ricucire.
E in questo marasma, figlio di improvvide ed avventate scelte politiche di uno dei partner coalizionali oggi al governo a Vienna, il Trentino che, piaccia o non piaccia, è componente non secondaria dell'equilibrio etnico e del progetto euroregionale a quale ulteriore marginalità sarebbe destinato?
Infine, qual è lo scopo vero di un progetto così particolare? Forse quello di preludere al riacutizzarsi di spinte separatiste? Forse quello di compiacere elettoralmente le «pance» viennesi, stiriane e carinziane sulla pelle della popolazione altoatesina? E se tutto questo fosse vero, il nuovo Ministero degli Interni italiano, che non ha mai nascosto affinità elettive con l'attuale compagine di governo austriaca, verso quali scelte politiche dovrebbe orientare le sue azioni: favorire il processo in nome di un populismo sovranista europeo, oppure opporvisi con forza ed in coerenza con le posizioni del Ministero degli Affari Esteri?
Pur coltivando l'auspicio che di «boutade» estiva si tratti, propiziata dal gran caldo che ha colpito anche il centro Europa, non possono essere taciuti però i sentimenti di profondo disagio che in queste geografie stanno fermentando a seguito del progetto di Vienna, sentimenti che, al di là di qualche nostalgia pangermanista, possono indurre nuove e pericolose frustrazioni etniche, rese vieppiù acute dall'assenza reale di materia del contendere, posto che oggi e nell'ambito dell'Unione europea e nel quadro degli accordi di Schengen sulla libera circolazione, parlare di «doppio passaporto» è quanto meno ininfluente, mentre alimentare le contrapposizioni rischia di minare la pacifica convivenza e di spingere nuovamente Stati confinanti ad erigere muri, ostacoli e burocrazie per tutelare quelle idee nazionaliste ormai ripetutamente bocciate dalla storia.
In attesa di risposte ai quesiti che ho tratteggiato qui, ritengo che forse, più che di «doppio passaporto» per alcune fasce di persone, sarebbe più costruttivo pensare ad un «pass» unico, cioè quello dell'Europa unita e del dialogo; l'unico passaporto che ci consentirebbe di superare le barriere doganali del futuro.