Tonini: «Giusto aprire ai 5 Stelle»

«Se la posizione di Renzi è tattica e utile a obbligare i 5 Stelle a un confronto serio, la condivido. Se è una chiusura ideologica, credo che la sua sia una posizione sbagliata». Giorgio Tonini non è un esponente del Pd tacciabile di anti-renzismo, né di contiguità al Movimento.
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 26 aprile 2018

 

La sua apertura condizionata si basa sul rifiuto della logica del «tanto peggio, tanto meglio»: «Non possiamo augurarci un governo Salvini-Di Maio — dice — auspicando che vadano a sbattere perché, con loro, andrebbe a sbattere anche l’Italia. Non voglio andare al bancomat e scoprire che più di 50 euro non posso ritirare come è successo in Grecia». L’ex presidente della commissione Bilancio parla anche della situazione locale. «Rossi? Gli si può chiedere un passo indietro solo se cambia la coalizione con l’ingresso dei civici».

Dal 4 marzo è passato più di un mese e mezzo, ma del governo non si intravede nemmeno l’ombra. La lunga trattativa tra M5s e Lega non ha prodotto risultati. La novità è che i 5 Stelle si sono rivolti al Pd e che i dem hanno finalmente aperto uno spiraglio. Lei come la vede? È possibile stare all’opposizione in assenza di un governo come chiede Renzi?

«Io credo che un tentativo con i 5 Stelle vada fatto, ma essendo ormai un vecchietto, preferirei partire da lontano per spiegare il perché».

Prego.

«Da ex presidente della commissione Bilancio del Senato non posso fare a meno di ricordare che attualmente l’Italia ha un deficit pari al 130% del suo Pil, il debito più grande d’Europa. Un debito che non può essere paragonato al mutuo fatto da una famiglia per comprarsi casa, ma ai debiti fatti per andare in ferie. I due terzi del nostro debito sono di natura previdenziale. Negli anni ‘70 e ‘80, quando abbiamo smesso di indebitarci per costruire infrastrutture e ammodernare il Paese, ci siamo indebitati per mandare in pensione le persone a quarant’anni. I nostri governi si sono comportati come si fa quando al pronto soccorso arriva un paziente grave: lo abbiamo stabilizzato. Abbiamo stabilizzato il debito, ma per curare il malato, per fare in modo che il debito cominci a calare in maniera significativa per arrivare almeno al 100% del Pil ci sarebbe bisogno di un consistente avanzo primario. In altre parole, lo Stato dovrebbe incassare più di quanto spende. Recentemente, l’ex direttore del Corriere, Ferruccio de Bortoli, ha scritto che basterebbe il doppio dell’attuale avanzo».

Con il voto del 4 marzo, però, gli italiani hanno rifiutato non solo l’ipotetico raddoppio dell’avanzo primario, ma anche la vostra stabilizzazione del debito.

«Appunto, un problemino con il quale vanno fatti i conti e che ha dimostrato la drammatica distanza tra i nostri governi e il Paese. Sia chiaro: non rinnego quello che abbiamo fatto. Dico che non è stato e non è sufficiente. Se la gente è stufa, un motivo c’è: l’indicazione del medico non cambia mai, austerità, ma il malato non guarisce mai. Abbiamo un sud d’Italia che per usare un’espressione di Napolitano, cui vanno i miei auguri, è “la più grande area di sottosviluppo europea” e non a caso al sud è stato votato in massa il Movimento 5 Stelle che promette l’uscita dalla tirannia dell’avanzo primario. Abbiamo un nord che non regge più la pressione fiscale necessaria per mantenere in equilibrio i conti e che, non a caso, ha votato in massa chi ha promesso di cambiare il sistema fiscale».

Il quadro che lei traccia è senza uscita.

«Confesso, dopo una lunga riflessione, di essere arrivato proprio a questa conclusione: l’Italia da sola non può guarire».

Ma al contempo è un malato che rischia di contagiare l’Europa.

«Per questo mi mangio le mani a vedere come il confronto europeo sia ormai solo tra Francia e Germania. Dobbiamo sperare che Macron riesca a convincere i tedeschi della necessità di istituire un bilancio europeo che, come succede negli Stati Uniti, garantisca investimenti e occupazione. La Germania è fredda e ha le sue ragioni: con un’occupazione sostanzialmente piena, una maggiore crescita per la Germania significherebbe un grosso deficit di mano d’opera che potrebbe essere compensato solo da una maggiore immigrazione. Noi, invece, se riuscissimo a crescere del 2,5%, di un punto in più di oggi, potremmo ridurre il debito senza costi sociali. In altre parole, siamo quelli che dall’Europa hanno più da guadagnare, la nostra stessa salvezza, e siamo quelli più freddi verso l’Europa. Noi, come Pd, questo non lo abbiamo fatto capire. Abbiamo giocato in difesa e abbiamo sbagliato».

E perché, in questo quadro, un accordo con i 5 Stelle potrebbe essere secondo lei utile al Paese?

«Perché un governo Salvini-Di Maio sarebbe una tragedia per l’Italia. La risposta sovranista al debito può seguire solo due strade: fregarsene del debito e finire come la Grecia, oppure raddoppiare l’avanzo primario aumentando le tasse e tagliando la spesa. Con la logica dei due forni, i 5 Stelle hanno mostrato il cinismo che solo i moralisti riescono ad avere: l’importante è andare al governo, poco importa se con la peggiore destra europea, addirittura filorussa, o con un membro del Gruppo socialista europeo. Bene quindi ha fatto il Pd a pretendere la fine di questa ambiguità. Ora che Di Maio ha dichiarato finite le trattative con la Lega e che, a differenza di Salvini, ha dimostrato un avvicinamento al principio di realtà, credo che il tenue filo che ha preso corpo non vada spezzato. Se partiamo dalla radiografia del malato, credo che il Pd abbia un compito maieutico».

Non teme che questo atteggiamento sia percepito come arrogante?

«Per carità: noi le elezioni le abbiamo perse e male, non abbiamo nulla da rivendicare. Ma se chi dice di averle vinte bussa alla nostra porta, quella porta noi la dobbiamo aprire. Il Pd è una forza costruttiva, se qualcuno vuole governare con noi, non possiamo non andare nemmeno a vedere se ci sono le condizioni per farlo. Con umiltà e serietà».

Non crede che l’arroccamento di Renzi sia dovuto solo al fatto che, in un simile quadro, i suoi spazi personali sarebbero nulli?

«La prudenza di Renzi è giusta. Se la sua tattica serve a obbligare i 5 Stelle a un confronto serio, la condivido. Se è una chiusura ideologica, penso si sbagli. Non credo alla logica del tanto peggio tanto meglio. Non possiamo augurarci un governo Salvini-Di Maio auspicando che vadano a sbattere perché, con loro, andrebbe a sbattere anche l’Italia. Non voglio andare al bancomat e scoprire che più di 50 euro non posso ritirare come è successo in Grecia».

E nuove elezioni?

«A distanza di pochi mesi? Cosa cambierebbe nel risultato? Qualche punto percentuale?».

A livello locale, il centrosinistra si è impantanato sul «Rossi sì, Rossi no», come se ne esce?

«Con l’abc della politica. In assenza di un nuovo quadro politico e di un Degasperi redivivo, non vedo come si possa chiedere a Ugo Rossi di rinunciare al suo secondo mandato. Il quadro sarebbe potuto cambiare grazie a un’alleanza tra Pd e Upt che portasse a compimento quando cominciato nel 2008. L’Upt ha preferito la disastrosa esperienza petalosa di Civica popolare, spinta va detto anche dai nostri dirigenti nazionali. A questo punto, la novità può arrivare solo dai civici, penso ai sindaci di Rovereto e di Pergine: non si può immaginare di coinvolgerli dicendo “i posti sono già tutti assegnati, se volete per voi c’è libero lo sgabuzzino delle scope”. Ma se le condizioni per questo allargamento non ci fossero, allora è meglio rivendicare quanto di buono fatto in questi anni e confermare Rossi».