Il Pd torni a essere popolare

È più facile leggere un risultato elettorale dopo non averlo previsto, che immaginarsi una politica che ne cambi il senso. E che lo faccia subito. Perché se è vero che nel passato i voti non intercettati dal centrosinistra autonomista nelle elezioni politiche sono poi tornati nelle provinciali, oggi la sensazione è che si sia rotto un rapporto di fiducia.
Roberto Pinter, "Corriere del Trentino", 21 marzo 2018

 

Quando i principali esponenti politici della coalizione riescono a mantenere solo una piccolissima parte dei loro consensi è evidente come il giudizio coinvolga anche l’autonomia. Il risultato del Pd, al netto dei voti provenienti dall’Upt, non è sufficiente per immaginare un rovesciamento del risultato da qui a qualche mese. È un dato di maturità che un partito sconfitto(il Pd) non se la cavi individuando un capro espiatorio, ma è pure sbagliato non interrogarsi fino in fondo sul perché è arrivato un tale risultato.

Ascolto e umiltà, unità e riscatto sono belle parole ma senza cambio di politica, e non solo di volti e comunicazione, servono unicamente a consolarsi. Vale sia per il nazionale, sia per il locale. L’assenza di autonomia da parte del Pd del Trentino rispetto all’organismo romano ha compromesso la capacità di resistenza: se non viene recuperata, impedirà il rilancio e limiterà la possibilità per i Democratici di essere interpreti dell’autonomia trentina. Mancano pochi mesi al voto provinciale e non sarà facile ricostruire una proposta credibile ottenendo fiducia e consenso.

Credo allora che nel caso del Pd occorra recuperare il senso di due parole: sinistra e autonomia. Non c’è bisogno di più sinistra, ma semplicemente di un po’ di sinistra. Quel tanto che basta almeno per scendere dai piani alti e quel tanto che serve a recuperare un partito popolare. Il risultato elettorale purtroppo ci consegna un partito che non è popolare. Indispensabile, quindi, tornare nei luoghi del lavoro o dove questo non c’è, ma se lo si fa senza risposte, o peggio con indicazioni non più credibili, tutto diventa inutile. Sinistra e Pd hanno concesso troppo al mercato a danno delle persone; il modello socialdemocratico è diventato un problema, non la risposta, e l’equazione «sviluppo=benessere per tutti» non funziona più, sviluppa solo maggiore disuguaglianza. E a cosa servono innovazione e Europa se cresce la disuguaglianza? C’è poi bisogno di autonomia, quella capace di innervare l’intera comunità. Se non riusciamo a governare la globalizzazione non possiamo nemmeno limitarci a subirla. La possiamo abitare con le opportunità forniteci dalla stessa autonomia per difendere la coesione di un territorio, per affermare i diritti del lavoro, della cittadinanza. Questa è la sfida cui è chiamato oggi un Pd disorientato. Non si tratta di rivendicare la guida del governo provinciale, anche se è necessario chiedere una discontinuità, un cambio che renda palese ai trentini come non siamo soddisfatti. Dobbiamo pretendere un «patto per l’autonomia» e esserne i i garanti.

Il centrosinistra in Trentino ha garantito più o meno tutti. Oggi il modello è superato, sono in crisi i corpi intermedi (e la loro classe dirigente) che sapevano intercettare le domande sociali e mediarle, facendo sì che venissero riconosciute dalle forze politiche di governo. Come lo stesso Dellai ha saputo riconoscere, «l’autonomia è percepita al tempo stesso come potere assoluto e come potere impotente»; e se è in crisi la specialità come valore, è necessario un altro accordo sociale ancor prima che politico. L’obiettivo, quindi, dev’essere un’autonomia vista non solo come cassa ma come patrimonio di una comunità, per dare cittadinanza a tutti, per recuperare il bene comune e il suo uso civico, per redistribuire lavoro e protezione. C’è necessità di recuperare fiducia, di offrire partecipazione a partire dalla scuola pubblica che è stata trascurata, dagli enti locali in affanno rispetto alla distanza che si è accumulata tra loro e i cittadini, dalle politiche sociali che non sanno più offrire quella protezione oggi indispensabile per conservare spirito di appartenenza.

Avere la concessione dell’A22 o l’uso delle centrali idroelettriche è certamente utile, ma non è più con le mille opere pubbliche che si segna la differenza rispetto al resto del Paese. Sono insufficienti le risorse del bilancio per convincere i giovani che l’autonomia è il loro futuro anziché la conservazione di una struttura parsa a troppi — in parte lo è — chiusa, clientelare.

Non basta rivendicare i risultati di un buon governo, anche se è assurdo non farlo. Dobbiamo comunicare qual è l’idea di Trentino del futuro. Ottenere ulteriori competenze autonomistiche vale poco se non sappiamo mostrare in cosa consiste la differenza rispetto a chi rivendica il governo provinciale in virtù dei consensi ottenuti il 4 marzo scorso. La dissonanza è palese, però non può consistere nella presunzione e non può essere accompagnata dall’arroganza mostrata nel commento dei risultati elettorali. Ci vuole un po’ più di umiltà e sono necessarie anche persone capaci di riconquistare una migliore sintonia con ciò che agita i sonni di coloro che vivono in Trentino. Come? Partendo da un nuovo approccio al «prendersi cura della propria comunità, del proprio territorio». Vanno sperimentati metodi alternativi rispetto al passato dove avevamo un politico interprete del proprio territorio e del proprio elettorato, modello troppo simile al voto di scambio che ha segnato, e continua a segnare, il Paese. Il salto di qualità ci impone allora di perseguire una condivisione sociale e un progetto che ha a cuore il bene comune.