«Coesione e lavoro siano sfide comuni»

Qualità del lavoro, disintermediazione, società e politica rancorose. Compromesso. Sono stati tanti i temi messi sul tavolo dal segretario della Cgil, Franco Ianeselli, nell’intervista rilasciata al Corriere del Trentino il 2 gennaio. Temi che hanno spinto alla riflessione chi, come Alessandro Olivi, da tempo si occupa di lavoro e sistema produttivo.
S. Pagliuca - T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 4 gennaio 2018

«Ianeselli ha centrato il punto — riconosce l’assessore e vicepresidente della Provincia Autonoma di Trento — il lavoro di qualità e il diritto alla formazione per tutti i lavoratori sono le stelle polari verso cui tutti dovremmo tendere. Questioni che per il centro sinistra, in particolare, dovrebbe essere portanti». Già, perché mai come in questi giorni, tutto è politica. E allora, ecco l’analisi (amara) di chi è chiamato, in prima persona, a valutare il da farsi per il prossimo futuro: «Il centrosinistra, anziché costruire un campo esteso per contrastare gli egoismi delle destre che cavalcano paure e malesseri, crea accampamenti in cui ognuno si sente autorizzato a costruire tende singole per dimostrare di essere più puro degli altri». Per questo, Olivi, rinnega l’«eccesso di compromesso» lamentato da Ianeselli. «Non credo che la critica sia rivolta direttamente a me — conferma — ho sempre cercato di costruire soluzioni condivise, non di inseguire il consenso. Sono convinto, infatti, che la politica debba avere più coraggio e che debba assumersi le responsabilità delle proprie decisioni, pur ascoltando e valutando le istanze dei singoli». Coraggio da dimostrarsi anche in situazioni delicate come quelle della recente vicenda Sait «rispetto alla quale — ricorda Olivi — sono stato molto duro perché sono convinto che non debbano esistere zone franche che la politica tratta con approccio referenziale. La Cooperazione è chiamata, come molte altre realtà, a rispondere alle difficoltà di contesto, ma nell’unire efficienza e solidarietà ha certamente una marcia in più».

Di «intervista interessante e carica di contenuti» parla invece Lorenzo Dellai. «In un momento politico tanto difficile — osserva — c’è bisogno che dalle parti sociali arrivino stimoli e disegni di prospettiva». Due, in particolare, i passaggi che l’ex presidente rilancia. «Bene fa il segretario della Cgil a mettere in guardia da una politica disintermediata, fondata sul rapporto diretto tra il leader e i singoli che scaricano su di lui aspettative individuali e non collettive. La rappresentanza diventa tifoseria e le leadership qualcosa di effimero. Non a caso, al grande problema della scarsa qualità dell’offerta politica corrisponde l’altrettanto grande problema della domanda politica: come organizzare punti di vista comuni ed evitare derive individualiste. Per questo i sindacati, al pari di altri tipi di associazionismo, sono fondamentali in una democrazia rappresentativa matura».

Il secondo tema rilanciato da Dellai è quello «dell’anomalia politica trentina». «Su coesione sociale e centralità della conoscenza il Trentino, dagli anni ‘60, ha scritto pagine importanti, non bisogna arretrare. Condivido anche l’appello del segretario della Cgil a non riprodurre passivamente in Trentino le lacerazioni politiche nazionali. Questa legge che anche noi obtorto collo abbiamo votato non consente desistenze. Inevitabile il confronto, ma se si sviluppasse in uno spirito diverso dalla lotta senza quartiere, per le regionali si potrebbe costruire qualcosa di diverso». A Italo Gilmozzi, deluso dalla nascita di Civica Popolare, risponde così: «Il Pd deve mettersi d’accordo con se stesso. Ha voluto una legge coalizionale e noi ci siamo organizzati». Quanto alla Cooperazione, accusata da Ianeselli di avere smarrito il suo compito, Dellai è più morbido. «Vive in simbiosi con il territorio e ne condivide le difficoltà. È giusto valutarla con rigore, ma starle vicino è giusta solidarietà».

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L’appello del segretario della Cgil a non riprodurre in Trentino le lacerazioni politiche nazionali non cade nel vuoto. Il primo a manifestare interesse è Fabiano Lorandi, rappresentante di Liberi e Uguali, che in vista delle provinciali ipotizza una «ricomposizione originale del quadro politico». Un’ipotesi che il segretario del Pd, Italo Gilmozzi, non scarta, pur evidenziando che «se Leu dovesse farci perdere dei collegi, parlarsi sarà più complesso». Con Franco Ianeselli anche Alessio Manica, da sempre alfiere di un Pd del Trentino più «anomalo» rispetto al nazionale: «Cerchiamo di non diventare anche noi vittime dei rancori personali e di fare in modo che la cultura politica della sinistra possa dare il suo contributo al progetto di governo del Trentino».

Ianeselli (Corriere del Trentino di ieri) ha lanciato una provocazione: serve in Trentino Liberi e Uguali, o si può avere una forza che non riproduca la contrapposizione Pd-Leu? Lorandi, invece che risentirsene. «L’analisi del segretario della Cgil è precisa e condivisibile. Ha posto i temi ineludibili. In primis, quello dei corpi intermedi che lui rappresenta e che Renzi ha liquidato con gli ormai famosi “se ne faranno una ragione”. Eppure la crisi della democrazia non si risolve con meno democrazia, ma anche riconoscendo il ruolo fondamentale di tutto l’associazionismo. Ha poi posto — continua Lorandi — il tema dei temi: dare voce agli esclusi. Di certo non siamo noi di Leu a non dare voce ai “perdenti della globalizzazione” e, infatti, lui evita di ridurre la nostra nascita a mere questioni di rancore personale». I ponti non paiono bruciati: «Il Pd del Trentino, rispetto al Pd nazionale, si è distinto anche in giunta per l’attenzione alle politiche del lavoro, i punti di contatto non mancano». A giudizio di Lorandi, però, qualcosa si è rotto. «L’accordo che ha riunito le correnti sul nome di Gilmozzi, invece che nascere rivendicando autonomia da Roma, è nato andando a Roma a ricevere la “benedizione”. Il percorso di confederazione che portò lo stesso Tonini a dire che si poteva perfino cambiare nome, mi pare interrotto. A queste politiche, ognuno avrà la necessità di marcare la propria alterità, ma se in prospettiva vogliamo davvero trasformare la Provincia autonoma in Comunità autonoma come propose Dellai — conclude Lorandi — sono molti i punti programmatici, dal rapporto tra ambiente e sviluppo al welfare generativo, su cui impostare una ricomposizione originale del quadro politico». «A livello locale — replica Gilmozzi — il Pd non ha fatto mancare i suoi appelli affinché si evitassero lacerazioni. Anche in futuro, quindi, faremo quanto possibile per ricondurre a unità le divisioni. Certo è che se il centrosinistra dovesse perdere dei collegi per qualche voto portato via da Leu, il dialogo sarà più complesso». Il segretario del Pd guarda poi con rammarico alla scelta di Lorenzo Dellai di fondare Civica Popolare e non candidarsi nel Pd. «Abbiamo puntato molto su un rapporto privilegiato con l’Upt, che resta un valore e ha già prodotto frutti positivi, ma l’obiettivo era anche avere una lista unica. L’Upt ha fatto scelte diverse, ci dispiace».

Ha «molto apprezzato l’intervista» il capogruppo del Pd, Alessio Manica. «Dice bene Ianeselli quando osserva che il tentativo di scavalcare i sindacati fatto da Renzi non ha prodotto quel di più di coesione sociale, ma il suo contrario. Quanto all’esigenza di dare vita in Trentino a una forza politica sicuramente collegata al Pd nazionale, ma anche frutto dell’anomalia che come autonomia speciale naturalmente esprimiamo, si sa come la penso. Il Pd deve fare tutto il possibile per tornare a rappresentare i delusi e, tra questi, ci sono anche gli elettori di Leu. È il nostro ruolo all’interno della coalizione lasciare aperto il dialogo a sinistra. Alle politiche saremo contendenti, dopo evitiamo inutili rancori personali». Manica interviene anche sulla Cooperazione. «Resta un pilastro del tessuto economico e sociale trentino, ma lo resta nella misura in cui è in grado di recuperare la sua missione originaria. È evidente che il segretario della Cgil si riferisce criticamente al caso Sait e ha ragione. Quanto alla politica, Olivi e Rossi hanno detto parole chiare. Se, in passato, qualcuno ha usato la cooperazione come ufficio di collocamento, ora non può eludere il tema».

 

«Voce anche a chi non ce la fa. Liberi e Uguali utile da noi?», T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 2 gennaio 2018

 Cita Bruno Trentin, Franco Ianeselli, quando parla di «utopia realistica», quando con lo scomparso segretario generale della Cgil ricorda che «non ci si può rassegnare all’idea che la vita di un uomo cominci quando smette di lavorare». Eppure, il «non-luogo» dell’utopia è proprio la dimensione che viene in mente quando si evoca la «qualità del lavoro» nell’attuale contesto del mercato del lavoro, quando si invoca la «coesione sociale» consapevoli che «il rancore nei confronti degli stranieri serpeggia perfino nell’organizzazione (la Cgil, ndr)».

Segretario, le imminenti elezioni politiche prospettano un quadro ondeggiante tra l’instabilità e l’immobilismo.

«E, aggiungo, una fase in cui una parte consistente della politica ritiene di poter fare a meno dell’intermediazione dei corpi intermedi in generale, del sindacato in particolare. Un convinzione esplicita, ad esempio, nel M5S, ma che abbiamo visto fare capolino anche in chi pensa di potere da solo rappresentare la nazione».

A Renzi non pare essere riuscito questo tentativo di rapportarsi direttamente con il popolo.

«Pare proprio di no. Pensare che il rapporto diretto leader-paese potesse produrre più coesione sociale e minore rancore è stato un errore. Il nostro è un paese che deve in parte tornare a credere nella democrazia. Il sindacato, al pari della galassia di associazioni che articolano la nostra società, è un luogo in cui si impara a venire a sintesi delle aspirazioni e del disagio dell’altro. Questa è una straordinaria palestra di democrazia in un mondo in cui gli “odiatori”, gli hater, sono riusciti addirittura a eleggere un presidente degli Stati Uniti che si esprime come loro a colpi di tweet».

Il rancore è la categoria cui viene da molti ricondotta la nascita di Liberi e Uguali. Non è un po’ riduttivo?

«Dipende da cosa intendiamo per rancore. Quello personale sorto tra esponenti di Pd e di Leu esula dalle mie competenze. C’è poi il rancore che cova un’ampia categoria di persone, i “perdenti della globalizzazione”. Sono operai tradizionali che perdono il lavoro, sono persone con un grado di istruzione elevato che non trovano sbocchi occupazionali congrui. Dare loro rappresentanza è un compito ineludibile, mentre mi pare che si tenda a dare risposta all’uno, chi ce la fa, o all’altro, chi non ce la fa, senza offrire una prospettiva comune. Per questo, consapevole di sconfinare in un campo non mio, mi permetto di chiedere alla politica locale se sia davvero necessario riprodurre anche in Trentino, con Leu, una divisione frutto di etichette nazionali più che di una reale frattura della società trentina. Intendiamoci: il Trentino è pienamente parte delle dinamiche nazionali, europee e mondiali, ma questo non significa non provare a elaborare a modo nostro le dinamiche di cui siamo parte».

Restando al tema del rancore, tra i destinatari preferiti vi sono indubbiamente gli stranieri. Il sindacato può avere un ruolo in questo?

«In questi anni di segreteria ho vissuto momenti belli e altri meno belli, ma l’unica volta in cui sono stato oggetto di insulti è stato quando abbiamo organizzato la manifestazione contro gli attentati ai centri di accoglienza. Vorrei non fosse così, ma tra gli autori vi erano anche persone vicine all’organizzazione, seppure non dirigenti. Dobbiamo essere consapevoli e agire di conseguenza: non con i moniti nei direttivi, che poco producono, ma andando a parlare direttamente con queste persone, una ad una».

Lei lamenta una politica insofferente verso il ruolo del sindacato. Eppure, anche se in pochi lo ricordano, le critiche all’immobilismo della Cgil arrivarono da Massimo D’Alema molti anni prima di quelle di Matteo Renzi. Non è magari anche un po’ colpa vostra se faticate ad essere un interlocutore?

«I problemi del sindacato italiano sono gli stessi di quelli del sindacato europeo, entrambi alle prese con una nuova economia globalizzata. Come ci insegna Bruno Trentin nei suoi Diari , il problema che abbiamo di fronte supera anche il tema della precarizzazione selvaggia. Il venire meno dell’operaio massa ci impone una riflessione sul rapporto tra lavoro e conoscenza, tra lavoro e libertà. Non ci si può rassegnare all’idea che la vita di un uomo cominci quando smette di lavorare. Eppure, anche chi non è schiacciato dalla precarizzazione del lavoro oggi spesso è chiamato a svolgere funzioni in cui di suo c’è poco e nulla. È di qualità del lavoro che dobbiamo parlare noi, la politica, gli imprenditori».

A livello provinciale, voi avete lamentato un eccesso di compromesso. Non siete mai contenti?

«Va evidenziata la forte differenza col livello nazionale: anche se i contatti sono spesso poco sistematici, sarebbe scorretto dire che la Provincia non ci ascolta. Ma se l’intermediazione e la concertazione sono importanti, il compromesso non risolve i compiti di un’amministrazione, che deve esercitarlo all’interno di indirizzi forti che decide di darsi. Facciamo un esempio: non si può dire che l’attuale amministrazione abbia abbandonato l’università e la ricerca, ma nemmeno si può dire che abbia mostrato di crederci veramente nel fatto, per noi fondamentale, che il Trentino è competitivo solo se sviluppa un’economia fondata sulla conoscenza».

Il centrosinistra, dopo qualche fibrillazione, sembra intenzionato a confermare il proprio assetto di coalizione. Teme una lotta di tipo personale sulla leadership?

«A costo di apparire banale, dico che occorre davvero concentrarsi sui programmi, su quegli indirizzi forti di cui parlavo prima».

E il dibattito sui candidati alle politiche che effetto le fa?

«Sempre cercando di non sconfinare dal mio ruolo, mi permetto di suggerire che il distacco dalla politica cui assistiamo pure in Trentino si cura anche rinnovando la rappresentanza politica».

La politica trentina sembra poco interessata alla crisi di uno dei pilastri della propria comunità: la Cooperazione. Anche l’area popolare che, fino a poco tempo fa, si mostrava vicina a via Segantini al limite della contiguità.

«Il tema è cruciale. Fino a poco tempo fa il mantra era “la Cooperazione trentina ha raggiunto l’equilibrio perfetto tra competitività economica e attenzione alle persone”. Evidentemente non era così se una brutta mattina ci siamo svegliati con una Cooperazione che prova a licenziare con modalità peggiori di una multinazionale. Io ammetto che una cooperativa possa avere esuberi di personale. Non ammetto che il sistema cooperativo nel suo complesso possa disinteressarsene senza un di più di responsabilità sociale. Non capisco, tornando a Trentin e alla qualità del lavoro, come la Cooperazione possa disinteressarsi di come si lavora. Perché, se è così, la domanda conseguente è: a cosa serve la Cooperazione?».