Stop all’export di armi italiane in Arabia Saudita

Qui di seguito il testo della proposta di voto che ho depositato ieri in Consiglio Provinciale. E’ un atto del Consiglio che si rivolge al Governo e al Parlamento italiano.
Mattia Civico, 27 luglio 2017

 

Lo Yemen vive in uno stato di guerra civile dal 2011: le proteste anti-governative durante la cosiddetta “primavera araba” hanno spaccato un Paese già instabile. Il conflitto sta vedendo contrapporsi diverse fazioni con continui ribaltamenti di fronte: gli Houthi, gruppo di sciiti zaiditi, insieme al gruppo Islah avevano determinato nel 2012 la caduta di Saleh che governava il Paese dal 1978. Quello stesso gruppo, pare con l’appoggio dell’Iran, è ora alleato con lo stesso Saleh contro le forze governative di Hadi. A destabilizzare tutta l’area anche la presenza di gruppi vicini ad Al Qaeda.

L’Arabia Saudita è uno dei Paesi più preoccupati per la situazione: l’intervento militare a guida saudita nello Yemen, richiesto dal presidente Hadi, come ha rilevato lo stesso Parlamento Europeo, ha visto l’utilizzo di bombe a grappolo bandite a livello internazionale e ha portato a una situazione umanitaria disastrosa che interessa la popolazione in tutto il paese: membri della popolazione civile yemenita, già esposta a condizioni di vita terribili, sono le principali vittime dell’attuale escalation militare.

Gli analisti vedono la situazione con grande pessimismo. Lo Yemen è in procinto di diventare un altro Afghanistan, o peggio un’altra Somalia, terra di nessuno dominata, da fazioni tribali ed estremisti religiosi in cui le potenze straniere si confrontano a distanza. L’ideale terreno di coltura per il terrorismo internazionale.

Stime prudenti delle Nazioni Unite parlano di seimila persone uccise, metà delle quali civili, e di quattro quinti degli yemeniti che necessitano di aiuti dall’esterno. Più della metà di loro hanno scarso accesso al cibo e almeno 320mila bambini di meno di cinque anni sono gravemente malnutriti. Gli sfollati sono oltre 2,4 milioni.

Circa 170mila persone hanno abbandonato lo Yemen finora, dirette soprattutto verso Gibuti, Etiopia, Somalia e Sudan. Le Nazioni Unite prevedono che altre 167mila persone lasceranno il paese entro l’anno. Ma i rifugi di un tempo, come la Giordania, oggi impongono visti e condizioni molto restrittive per entrare.

La guerra ha provocato danni devastanti per 26 milioni di yemeniti, che faticano a sopravvivere in un Paese già di per sé povero e afflitto da una grave carenza d’acqua, dalla corruzione e da una cattiva gestione politica.

UNICEF denuncia che il conflitto nello Yemen ha avuto pesanti ricadute anche sull’accesso dei bambini all’istruzione, che ha smesso di funzionare per quasi 2 milioni di minori, con la chiusura di 3 584 scuole, ossia una su quattro: 860 di tali scuole sono danneggiate oppure sono utilizzate come rifugio per gli sfollati.

Il 26 luglio scorso i vertici di Unicef, Organizzazione Mondiale della Sanità e World Food Program hanno lanciato un drammatico appello sulla situazione nello Yemen: in quel Paese è in corso “la peggiore epidemia di colera del mondo in mezzo alla peggiore crisi umanitaria”

“Solo negli ultimi tre mesi sono stati registrati 400 mila casi sospetti e 1.900 morti. Infrastrutture essenziali per la salute, l’acqua e lo smaltimento dei rifiuti sono paralizzate da due anni di ostilità’ creando le condizioni ideali per il diffondersi della malattia”.

“Il 60 per cento della popolazione non sa da dove verrà il loro prossimo pasto. Oltre due milioni di bambini sono gravemente malnutriti. La malnutrizione li rende più vulnerabili al colera. Un circolo vizioso”.

Stando a quanto riporta l’organizzazione Save the Children, in larga parte del Paese manca la più basilare assistenza sanitaria: gli ospedali sono stati chiusi in 18 su 22 governatorati; in particolare, sono stati chiusi 153 centri sanitari che in precedenza fornivano nutrimento a oltre 450 000 bambini a rischio, insieme a 158 ambulatori che erogavano servizi di assistenza sanitaria di base a quasi mezzo milione di bambini al di sotto dei cinque anni.

Il 25 febbraio 2016 il Parlamento Europeo, a larga maggioranza ha approvato una risoluzione, la numero 2016/2515(RSP), in cui affronta con preoccupazione la crisi umanitaria nello Yemen. Tra le molte considerazioni contenute nella risoluzione ve n’é una che riguarda anche il nostro Paese e che dunque vale la pena di riportare integralmente:

“considerando che alcuni Stati membri dell’UE hanno continuato ad autorizzare il trasferimento di armi e articoli correlati verso l’Arabia Saudita dopo l’inizio della guerra e considerato che tali trasferimenti violano la posizione comune 2008/944/PESC sul controllo delle esportazioni di armi, che esclude esplicitamente il rilascio di licenze relative ad armi da parte degli Stati membri laddove vi sia il rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e per compromettere la pace, la sicurezza e la stabilità regionali”.

Tale considerazione induce il Parlamento europeo a “sollecitare un’iniziativa finalizzata all’imposizione di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all’Arabia Saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’8 dicembre 2008”.

L’invito, come detto, è rivolto anche al nostro Paese che in effetti è produttore ed esportatore di armamenti proprio anche verso l’Arabia Saudita.

L’Italia è fra i primi dieci paesi al mondo per export di armi. Le autorizzazioni rilasciate dal governo nel 2016 valgono 14,6 miliardi di euro, segnando un incremento dell’85% rispetto ai 7,9 miliardi del 2015 e addirittura del 452% rispetto al 2014.

I paesi dell’Africa Settentrionale e del Medio Oriente, con quasi 9 miliardi euro di euro, ricoprono da soli quasi il 60% delle autorizzazioni: Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Pakistan, Angola, Emirati Arabi Uniti.

Anche se il valore delle esportazioni effettive rimane in linea con quello degli anni precedenti (circa 2,85 miliardi), è evidente che negli anni futuri avremo vedremo gli effetti di queste autorizzazioni.

Nella Relazione annuale che il Governo consegna al parlamento, ai sensi della legge 185 del 1990, si rende evidente che il nostro Paese esporta armi in 82 Paesi: tra questi il nostro cliente migliore è il Kuwait con commesse pari a 7,7 miliardi. Per l’Arabia Saudita sono state emesse autorizzazioni del valore pari a 427,5 milioni.

L’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa interpreta i dati contenuti nella relazione come la «conferma di una tendenza allarmante delle politiche di esportazione di sistemi militari in atto negli ultimi anni: Africa Settentrionale e Medio Oriente sono, infatti, le aeree di maggior tensione del mondo e sono zone governate in gran parte da regimi autoritari e da monarchie assolute irrispettose dei più basilari diritti umani. Fornire armi e sistemi militari a questi regimi, oltre a contribuire ad alimentare le tensioni, rappresenta un tacito consenso alle loro politiche repressive. I risultati di queste politiche sono le migliaia di migranti che con ogni mezzo cercano rifugio sulle nostre coste.»

La situazione dello Yemen svela ciò che la storia ha reso evidente per tutti i conflitti nel mondo: le guerre non risolvono i conflitti, ma producono morte, malattia, povertà e migrazioni. Alimentare con l’esportazione di armi un metodo di “risoluzione delle controversie” basato sulla violenza è oltre che per noi incostituzionale anche miope.

Si potrebbe dire che è sempre andata così; ma oggi più che mai, proprio perché è sempre andata così, non è più sostenibile né onorevole uno sviluppo economico basato sulle disgrazie altrui. E forse questo dovrebbe davvero essere il tempo per una scelta di campo orientata al futuro che profondamente ogni essere umano desidera: un futuro di pace per tutti. Noi compresi.

 

Tanto premesso

 

il Consiglio provinciale chiede al Governo ed al Parlamento

 

  1. di fermare al più presto i rapporti commerciali e nello specifico l’export di armamenti con tutti quei Paesi, soprattutto dell’area Mediorientale e dell’Africa Settentrionale, coinvolti in conflitti come nel caso specifico dell’Arabia Saudita riportato nella premessa del presente atto;
  2. di avviare con urgenza un serio processo di riconversione dell’industria bellica in senso civile, al fine di garantire al nostro Paese uno sviluppo economico svincolato dai conflitti e dalle guerre;
  3. di potenziare e sviluppare ogni iniziativa di cooperazione allo sviluppo che possa prevenire situazioni di conflitto o favorirne la ricomposizione;
  4. di sostenere e diffondere le esperienze nazionali ed internazionali di diplomazia popolare nonviolenta, di risoluzione nonviolenta dei conflitti, di presenza civile nonviolenta in contesti di conflitto, anche mediante la redazione di un report annuale.

 

 

cons. Mattia Civico

cons. Violetta Plotegher

cons.ra Donata Borgonovo Re

Cons.ra Lucia Maestri

cons. Alessio Manica,

 

i seguenti capigruppo:

cons. Gianpiero Passamani, cons. Giuseppe Detomas, cons. Lorenzo Ossana, cons. Marino Simoni, cons. Massimo Fasanelli, cons. Nerio Giovanazzi, cons. Rodolfo Borga, cons. Giacomo Bezzi, cons.ra Manuela Bottamedi