«Voglio un Pd leader della coalizione. Politiche di qualità contro l’astensione»

 «Non ho alcuna ambizione di andare a Roma. E poi devo dire che c’è tanta gente che mi chiede possibilmente di stare qui e dare ancora una mano al Trentino, e di questo sono molto contento». Alessandro Olivi risponde con cortesia alla domanda sul suo futuro politico anche se, come sottolinea in premessa, è «davvero poco interessato a partecipare al toto candidature» perché da un lato «è prematuro» e dall’altro «è fuorviante farlo in un momento delicato in cui il tema è riconnettersi a un sentimento di fiducia».
A. Rossi Tonon, "Corriere del Trentino", 2 luglio 2017

 

Non lasciare il Trentino in vista del 2018 significa però anche assumersi il compito di contribuire al rilancio del Partito democratico attraverso un percorso che il vicepresidente della Provincia definisce nel dettaglio partendo dalla lotta all’astensionismo, «il vero tema della politica in questo momento», per arrivare a un partito che punti alla «leadership». Di nuovo, non si tratta del «dualismo Rossi-Olivi, che non c’entra niente» ma della guida politica del centrosinistra. Anche se quella gente che chiede al vicepresidente di continuare a lavorare per il Trentino forse ha anche già iniziato a chiedergli di guidarlo a partire dal 2018.

Vicepresidente, ci siamo da poco lasciati alle spalle le elezioni amministrative che hanno sancito una sconfitta per il centrosinistra. Quali sono i messaggi che il Partito democratico può cogliere?

«Mi concentrerei su un passaggio che è stato molto poco analizzato dagli osservatori e dalla politica, vale a dire l’astensionismo. Questo è il vero tema della politica del nostro tempo. C’è una fetta crescente di cittadini che non credo sia diventata improvvisamente apolitica. Io non sono disposto a pensare che chi non va a votare non sia interessato ai problemi della comunità in cui vive o ritenga che la politica non sia il mezzo per migliorare la qualità della vita comune».

Qual è dunque il problema?

«È che la credibilità dei partiti, di chi rappresenta la politica nelle istituzioni, è entrata fortemente in crisi. Bisogna dunque avere l’umiltà di capire che va riconquistata la fiducia, la connessione tra politica e società, capendo che i partiti tradizionali vengono ormai percepiti come comitati elettorali attraverso cui non vengono prodotte idee ma si organizzare un ceto politico già fatto e finito. E credo che a pagare la sfiducia sia soprattutto il centrosinistra, il quale non indaga le ragioni profonde della disaffezione mentre dovrebbe farlo, perché ha bisogno, e in particolare ne ha il Pd, di un popolo motivato».

Lei crede dunque che la maggioranza dei cittadini abbia voglia di sforzarsi di capire, di entrare nei temi?

«Io ho fiducia. È indubbio che esista una crescente tendenza alla polverizzazione della comunità in tanti “io”, ma voglio partire dal presupposto che la gente non abbia perso interesse sul destino comune semplicemente perché non va a votare. E poi se fai politica non puoi limitarti a giudicare la domanda ma devi invece migliorare l’offerta. C’è infatti la difficoltà di fidarsi e affidarsi a un progetto che si faccia carico dei problemi di una società più segmentata in cui irrompono temi come la precarietà, le disuguaglianze, la sicurezza, la mobilità sociale».

L’antidoto all’astensionismo è dunque una proposta politica migliore?

«Sì. Servono nuove forme per dare rappresentanza a queste inquietudini e speranze che i partiti tradizionali, anche a causa della loro struttura spesso chiusa e autoreferenziale, non riescono ad accogliere perché troppo interessati a innovare se stessi».

E il Pd è pronto ad assumere tale nuova forma?

«Se c’è un partito che lo può fare questo è il Pd. È l’unico che ha mantenuto un’infrastruttura capace di lanciare un progetto di coinvolgimento ampio. Per realizzarlo deve andare incontro alle nuove forme di protagonismo e di impegno nelle comunità, nei mondi che non fanno parte della politica tradizionale. È il tema del civismo, che in Trentino viene ultimamente confuso con il partito dei sindaci, che è completamente diverso. Il civismo non è infatti una categoria pre o post politica, non è un terzo polo, bensì quella parte di comunità che vuole partecipare chiedendo di non essere ingabbiata in una dimensione burocratica e che spesso non chiede niente in cambio. Dobbiamo dialogare con questa parte di comunità e non possiamo commettere l’errore che siano altri a farlo. O questo progetto lo guida il Pd o il centrosinistra si snatura e assomiglierà sempre di più a una grande, indistinta coalizione amministrativa».

Quelle da coinvolgere sono forze molto presenti in Trentino. Il compito del Pd trentino è dunque quello di farsi laboratorio per la trasformazione?

«Assolutamente sì. Essere connessi a un grande partito nazionale resta importante, ma noi possiamo evitare al Paese un lento ma inesorabile scivolamento verso la rinascita di una destra più ruvida o la crescita di chi può prendere grandi decisioni con pochissimi numeri mediante tweet. Il Trentino è già stato un laboratorio di riformismo responsabile, mi riferisco per esempio al sistema di protezione sociale. Inoltre essere protagonisti di un centrosinistra più largo e plurale consente di non essere esposti alle oscillazioni del consenso legate a ciò che fa o non fa Renzi. Serve dunque più autonomia, che però non si risolve con una norma statutaria ma si dimostra sul campo».

Potrebbe dunque essere quello il Pd capace di guadagnare la leadership della coalizione, finora mancata?

«È vero che non ha recitato il ruolo di baricentro culturale ma senza il Pd la giunta non avrebbe fatto alcune scelte. Va però detto che in Trentino c’è una parte consistente della sinistra che ha sempre pensato ci fosse bisogno di qualcun altro per sdoganare se stessa. Una cultura minoritaria che ha sempre avuto bisogno di qualche principe che la legittimasse, riflesso anche di una certa pigrizia. La coalizione era quindi un approdo sicuro per lasciare che altri facessero il “lavoro sporco” e stare comodamente seduti in seconda fila a guardare. E poi nel Pd c’è anche chi è disposto a fare accordi perché qualcuno dei suoi non vinca, cose viste quattro anni fa. Ancora oggi non sento una spinta e da mesi vedo i vertici del partito chiamati a rispondere di ciò che fanno Rossi, Dellai o civici. Ma un partito deve semmai costringere gli altri a rincorrerlo. Quando quattro anni fa parlai di contendibilità della leadership mi venne risposto che era troppo presto, confondendo ciò con un dualismo Rossi-Olivi che non c’entra niente. Se prima era troppo presto adesso spero però che non sia troppo tardi. Questa nuova voglia di partecipare non la voglio appaltare a nessuno».

Il 2018 si avvicina, tempo di provinciali. Cosa pensa del nome di Tonini?

«È una risorsa del Pd, ma ce ne sono anche tante altre».

Sarà anche anno di politiche. Partirebbe per Roma?

«Sono molto sincero: non ho alcuna ambizione in questo senso. E poi devo dire che c’è tanta gente che mi chiede possibilmente di stare qui e dare ancora una mano al Trentino, e di questo sono molto contento».

Nel 2020 si voterà il nuovo sindaco di Trento. Deve essere donna?

«Dire se debba essere o no una donna mi pare categoriale, però è chiaro che serve un cambiamento ai vertici delle istituzioni. La politica non deve più difendere posizioni ma liberare nuove energie. Se poi debba essere una donna o meno lo lascio decidere agli elettori».