«Lo schema Pd-Patt-Upt non basta più»

«Così com’è, il centrosinistra autonomista non basta più. Nel 2018 lo schema Pd-Upt-Patt non è più replicabile per inerzia. C’è un’area popolare e progressista che non si riconosce nei partiti, a questa fetta di elettori noi dobbiamo riuscire a parlare». Il vicepresidente della Provincia Alessandro Olivi (Pd) prova a rilanciare, nel giorno in cui però deve incassare il no del segretario Upt Tiziano Mellarini a un progetto di «federazione» tra Pd e Upt.
C. Bert, "Trentino", 11 gennaio 2016

 

Vicepresidente Olivi, Mellarini ha detto «no, grazie, non ci interessa» alla sua proposta. Cosa risponde? Quella di Mellarini mi pare una risposta troppo frettolosa. Io non ho mai parlato di costruire un’infrastruttura rigida, di un patto tra dirigenti dei nostri partiti. L’obiettivo su cui ho invitato a ragionare è rendere più inclusivo il campo di influenza della coalizione. Oggi non basta più chiamare a raccolta i nostri elettorati di riferimento. Occorre riportare alla politica pezzi di società che non si riconoscono nei partiti e che rischiano altrimenti di essere spinti verso l’antipolitica e il populismo. È un compito che non lascerei a qualche amministratore locale, o a qualche federatore della territorialità che non è affatto nuovo alla politica (l’assessore Carlo Daldoss, ndr).

Mellarini del resto rivendica la propria impostazione congressuale, è Dellai che ha lanciato il progetto del Cantiere civico democratico. Vero. Io sono convinto che Mellarini dica quello che pensa e ritiene funzionale a un progetto, ne prendo atto. Ma girando il Trentino a me pare che la ricomposizione di un’area di centrosinistra sia un’esigenza sentita. Nessuno, neppure il segretario dell’Upt, può permettersi di essere così tranchant nel rifiutare un confronto che può essere utile a tutti e alla coalizione: il centrosinistra va ricostruito innanzitutto come sentimento di appartenenza. Per tradizione politica e affinità culturale, in primis guardo all’Upt. Non dimentichiamoci che il Pd Trentino nasce orfano di un pezzo di cultura politica che ha scelto un percorso diverso.

Ma lei guarda anche ai sindaci civici? Cosa non va nel ragionamento del segretario del suo partito, Gilmozzi, di aprire un dialogo con loro mettendo dei paletti? Abbiamo detto cose molto simili. Il mio rilievo è stato semmai di approccio, è sembrato che lui dicesse: i civici chiamano, noi rispondiamo. Il Pd non deve rincorrere i civici, deve essere il protagonista di un processo di allargamento.

Come? Partirei da alcune esperienze sul territorio che negli anni sono state fagocitate dall’egoismo dei partiti: penso a Mori, Arco, Ala, Cles, la stessa Rovereto con Miorandi per certi aspetti, dove si era riusciti a parlare a un pezzo di città che non aveva nel Pd il proprio riferimento. Occorre riprendere quel filo, recuperare pezzi di protagonismo civile, e per farlo serve una forza baricentrica, con un collegamento nazionale ma che guarda anche a Nord.

Come legge il protagonismo dei sindaci civici? Sotto la bandiera del civismo potranno annullarsi le differenze politiche? Non penso affatto che la somma aritmetica di liste civiche sia un fatto automatico a livello sovracomunale. Ci sono in quel movimento esperienze troppo diverse che faticherebbero a dare risposte a problemi non amministrativi. Certo bisogna riconoscere che i civici un vantaggio competitivo lo hanno: possono muoversi più liberamente rispetto ai partiti.

Su quali temi il centrosinistra dovrebbe marcare la propria identità? Qualsiasi intesa politica o muove dai temi, o non c’è. Io ho indicato una possibile agenda di contenuti: il lavoro e i giovani, la conoscenza, la buona impresa, un nuovo patto pubblico-privato che sposti le risorse dalla rendita alla produzione. Oggi dobbiamo dare risposte alla grande disaffezione alla politica e a un’area crescente di disagio. La risposta per me è “più diritti e più welfare”.

Nel futuro progetto di centrosinistra che lei tratteggia, il simbolo del Pd dovrebbe rimanere? Sì, non dobbiamo smobilitare dal valore di essere dentro un grande progetto politico che non parla solo al Trentino ma all’Italia e all’Europa. Ci sono comunità politiche dove è bene stare con tutto il proprio bagaglio di valori. Ma la forza del centrosinistra in Trentino è sempre stata quella di precorrere i tempi, non di inseguire. E l’esito del referendum io credo che abbia in qualche modo superato il tema del partito a vocazione maggioritaria. Una forza progressista di sinistra ci sarà sempre, il problema - in una società complessa come la nostra, dove il referendum ci ha dimostrato che fare riforme stando al governo è una sfida difficilissima - è adattarla al contesto. Ma il Pd oggi non può limitarsi a presidiare il proprio elettorato, deve coraggiosamente aprirsi. E avere il coraggio di declinare il suo essere Pd in Trentino, che significa confrontarsi con temi come quello della montagna.

Lunedì sera l’assemblea del Pd si è spaccata e ha scelto di non mettere in votazione il documento della minoranza. Perché? Io ho votato il documento di lavoro proposto dal coordinamento e sono intervenuto per dire che non trovavo ragioni per non votare il documento proposto dalla minoranza.

Il nodo problematico è la richiesta di garanzie su come si selezioneranno le candidature per le prossime politiche e poi per le provinciali? Non so se sia questo a spaventare. Io non rinnego di aver cercato, al congresso, di sostenere l’unità del partito. Oggi però dico alla nostra assemblea che avremmo dovuto leggere quel contributo sganciati dagli schieramenti congressuali. L’ho l’impressione che si sia voluto lasciar fuori dalla porta quel documento guardando più a chi lo ha promosso che non ai suoi contenuti.