Analizziamo le critiche alla riforma

La Riforma Costituzionale è argomento che interroga tutti noi e nell’ambito dello scambio di riflessioni ospitate su questo quotidiano, mi preme esprimere alcune osservazioni in risposta ad alcune critiche mosse. Se comprendo bene, uno degli argomenti di maggiore critica è rappresentato dal timore di una riforma centralista che abolisce competenze concorrenti che ritornano allo Stato.
Elisa Filippi, 30 agosto 2016

 

Rispetto a questo punto, credo valgano almeno tre osservazioni: la prima è che la revisione del Titolo V non sarà applicata alle Autonomie Speciali come la nostra. 
Ma solamente alle Regioni a statuto ordinario. La seconda è che come noto negli ultimi anni le competenze concorrenti, proprio per la loro ambiguità di interpretazione, sono state oggetto di numerosi conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni che hanno richiesto il ricorso alla Corte Costituzionale, la quale nella maggior parte dei casi ha risolto in favore dello Stato. La riforma in sostanza riconosce dunque una situazione che di fatto esiste già. Nel merito: che la maggior parte delle competenze concorrenti “torni” allo Stato sono convinta sia un bene per aumentare l’impatto in termini di efficacia di queste stesse politiche: trovo difficile, infatti, immaginare che oggi politiche come quelle relative all’energia, che hanno addirittura una valenza geopolitica, possano essere efficacemente gestite da un livello che non sia, almeno, quello nazionale. O ancora, temo che programmi per la valorizzazione turistica del nostro Paese, che si trova a competere non con l’Europa, ma con il mondo intero, abbiano poche possibilità di avere successo se costruiti singolarmente, in maniera frammentata, da ogni singola regione in assenza di una strategia globale.

La terza osservazione, che è poi il punto cruciale, è che la Riforma opera un bilanciamento importante, perchè se da una parte disciplina una nuova ripartizione di competenze, dall’altra salvaguarda (e per alcuni versi rafforza) le autonomie speciali e consente invece, attraverso la nuova formulazione dell’articolo 116,3, alle Regioni ordinarie la possibilità di vedersi attribuite ulteriori nuove competenze, sempre che lo richiedano e siano in grado di gestirle. Una grande scommessa per un regionalismo differenziato. Da ultimo risulta pertanto di difficile comprensione il riferimento a un possibile intaccamento dell’art. 5 della Costituzione, considerando che la nuova versione del Titolo V si presenta perfino più generosa nei confronti del sistema regionale di quanto non fosse quella originaria del 1948.

La seconda ragione di contrarietà espressa alla riforma mi pare poggi sull’accentramento di poteri in capo al governo, che avverrebbe con il combinato disposto con la legge elettorale “Italicum”. Anche quì è bene chiarire che al referendum si voterà per la riforma costituzionale e non per la legge elettorale e che la riforma non modifica in alcun modo nè la forma di governo, nè i poteri attribuiti al Presidente del Consiglio. Non solo, la legge elettorale è ora sottoposta al giudizio della Corte Costituzionale che proprio sulla sua costituzionalità si esprimerà i primi di ottobre fugando ogni dubbio e timore. Peraltro, l’Italicum attualmente prevede l’attribuzione di un premio di maggioranza solo al Partito che raccolga almeno il 40% dei consensi al primo turno, o che vinca il secondo turno di ballottaggio ottenendo dunque più del 50% dei voti. Un punto di equilibrio attento sia al principio della rappresentanza, (consente a tutti coloro che abbiano almeno il 3% dei voti di essere rappresentati), sia alla stabilità fondamentale oggi per governare.

A ulteriore conferma, è bene inoltre ricordare che il premio di maggioranza attribuito dall’Italicum, ovvero 340 seggi, garantirà al Partito che vince una maggioranza, nella sola Camera, ma non permetterà da solo di eleggere il presidente della Repubblica nè altri organi di garanzia, per i quali la platea sarà molto più ampia, (in quanto voterà anche il Senato), e per i quali sono previsti quorum più elevati rispetto a quelli attualmente vigenti. Naturalmente ciascuno può avere le proprie opinioni e preferenze sul sistema elettorale, tuttavia sarebbe curioso decidere come votare ad una riforma, in base al proprio giudizio su una legge, ordinaria, che della riforma non fa parte.

Ultimo argomento di contrarietà è quello secondo il quale questa riforma è stata votata da una sola forza politica, ovvero il PD. In questo caso, sono i numeri a parlare. Questa riforma è stata votata 6 volte da ben 180 senatori su 315 elettivi, facenti parte di diverse formazioni partitche, incluso il nuovo centro destra, Scelta Civica, il Gruppo per le Autonomie e così via. Nelle prime quattro letture anche Forza Italia.

In conclusione, ogni occasione di dibattito e confronto nel merito dei contenuti è preziosa, nel rispetto della legittimità delle posizioni di tutti e nell’auspicio che la condivisione dei valori della nostra Repubblica, ben descritti nella prima parte della Costituzione, rappresenti uno stimolo per noi tutti alla pacatezza dei toni e al merito dei contenuti. In fondo, a essere in gioco oggi non è il destino di un Partito, nè di un governo o di un soggetto politico, ma il futuro del nostro Paese e la possibilità di non mancare, ancora una volta, un’occasione storica per la sua modernizzazione.