#VersoilCongresso - Faccia a faccia dei candidati ITALO GILMOZZI e ELISABETTA BOZZARELLI

GILMOZZI: «Partito più popolare Con il nazionale un legame forte»
BOZZARELLI: «Radici sul territorio Organizzazione solida e apertura all’esterno»
T. Scarpetta, "Corriere del Trentino", 22 aprile 2016

 

ITALO GILMOZZI

 

TRENTO Italo Gilmozzi è il favorito della vigilia. Smentendo chi prevedeva un congresso della «maggioranza» contro la «minoranza», è riuscito a far convergere su di sé i protagonisti di antiche e recenti contrapposizioni. Punta molto sulla voglia di pacificazione degli elettori pd e sulla propria personalità conciliante e popolare.

Il Pd del Trentino ha visto gli eletti, in particolare il gruppo consiliare, esercitare un lungo ruolo di supplenza nei confronti del partito. Cosa cambierà con lei segretario?

«Nel Pd ci sono state così tante voci perché dai tempi di Pacher manca una maggioranza. Questa volta ci sono due candidati, uno sforzo molto impegnativo, ma almeno è chiaro che chi vincerà governerà il partito, anche se coinvolgendo gli altri. Questo io ed Elisabetta ce lo siamo già promesso. È evidente che, mancando una voce, sono mancati anche i riferimenti provinciali. Per chi lavora a livello locale, questo è stato un grosso problema. Sulle questioni organizzative, mi pare che entrambi condividiamo scelte come quella del segretario organizzativo. Credo poi molto nelle commissioni di lavoro. In questi anni il Pd non ha prodotto molti documenti di contenuto».

Da anni, ormai, nel Pd del Trentino si discute, senza prendere decisioni, di un rapporto autonomo da Roma. Un tema superato?

«Prima una doverosa premessa: nell’ormai famoso incontro a Roma io non sono stato “incoronato”. Questa è la vulgata che si è voluta far passare e mi dispiace. Il fatto che fosse invitata anche Elisabetta dimostra che non era prevista alcuna incoronazione. Detto questo, è ovvio che il Pd nazionale non ci dirà come deve svilupparsi l’economia della Val di Cembra, ma io non credo sia sbagliato un rapporto forte con Roma. Nessuno si è scandalizzato quando siamo andati da Delrio a chiedere di non fare la Valdastico».

Al netto dei singoli episodi, l’inquietudine che caratterizza la legislatura è in buona parte riconducibile al fatto che il primo partito non esprime il presidente. Come uscirne?

«Le primarie le abbiamo perse perché non siamo riusciti a fare sintesi delle diverse sensibilità, o “bande”, e alcuni non hanno sostenuto Olivi. La coalizione ha risentito del disagio del partito di maggioranza, ma anche da parte della presidenza è mancata la capacità di fare squadra. Le primarie, con tutti i loro limiti, sono lo strumento che dovremo utilizzare qualora in coalizione non dovessimo trovare una reale condivisione sul prossimo candidato, ma anche se questa condivisione non la trovassimo nel Pd».

Un altro nodo mai sciolto è come rapportarsi con chi è rimasto nell’Upt con lo sguardo rivolto al Pd.

«Ormai l’elettorato è molto mobile, almeno la metà sceglie di volta in volta chi votare. Io credo che se il Pd saprà radicarsi sul territorio, potrà allargare la propria rappresentanza. Non penso tanto all’Upt come partito. Anzi, non ero d’accordo con gli esponenti del Pd che andavano a Sanbapolis alle iniziative di Dellai (anche Olivi, ndr ), erano di un altro partito».

Parlate spesso di radicamento, ma nelle valli non siete radicati come i vostri alleati. Le primarie le avete perse anche lì.

«Nelle valli c’è un voto meno d’opinione. Ci sono molte liste civiche e non sono per nulla convinto che siano tutte di destra. Credo che dovremo saper dialogare anche con quelle realtà, ma soprattutto che dobbiamo imparare a stare di più in mezzo alla gente. Quando c’è qualche appuntamento nelle valli il Patt c’è sempre, l’Upt spesso, il Pd quasi mai. Dobbiamo essere più popolari».

E nelle città come Rovereto e Trento, dove i voti li avete, perché poi andate in difficoltà?

«Io conosco la situazione di Trento. La difficoltà è politica: come a livello provinciale, l’inquietudine è soprattutto dentro i partiti. La debolezza politica si traduce in stasi amministrativa, diventa un circolo vizioso».

Che giudizio dà dell’accordo su A22?

«Non m’è piaciuto che Elisabetta abbia detto che Olivieri faceva parte dell’accordo per sostenere Gilmozzi: il discredito reciproco è quello che ci ha portato fin qui. La staffetta non è una soluzione positiva, lo vedo anch’io, ma siamo arrivati a quel punto perché Rossi ha deciso senza coinvolgerci».

La sua candidatura è frutto di un cartello tra «big» o di un progetto politico?

«Non sono sostenuto solo dai “big”. Però dico questo: se non fossi riuscito a far convergere su di me un consenso così largo, ci sarebbe stato un terzo candidato dell’area Civico-Borgonovo con i risultati che tutti conosciamo. Mi rendo conto delle difficoltà che mi attendono, ma non capisco chi parla di un Pd inclusivo e poi dice “Borgonovo va bene finché porta 10.000 voti, ma poi bisogna isolarla”».

 

ELISABETTA BOZZARELLI

 

TRENTO Sulla carta, lei è la sfidante. A differenza di Italo Gilmozzi, Elisabetta Bozzarelli non vanta il sostegno di molti «big» del partito. Può, però, contare su iscritti e simpatizzanti che non credono alla pace sottoscritta dai «big» in calce alla candidatura di Gilmozzi e sulla «generazione Pd», ossia sugli elettori che non provengono da antichi partiti e vecchie correnti.

Il Pd del Trentino ha visto gli eletti, in particolare il gruppo consiliare, esercitare un lungo ruolo di supplenza nei confronti del partito. Cosa cambierà con lei segretaria?

«C’è un aspetto politico, ma anche uno organizzativo, che non va sottovalutato. Per radicare un partito serve anche organizzazione. Io penso, ad esempio, di reintegrare la figura del segretario organizzativo. L’obiettivo è fare in modo che i nostri elettori si identifichino con gli organi di partito: i circoli, l’assemblea, la squadra che comporrà la segreteria. Se questo accadrà, si porranno le condizioni perché il Pd possa avere politicamente un’unica voce. Non più quella del capogruppo, quelle dei consiglieri, quella dell’assessore. Penso anche a un responsabile della comunicazione».

Da anni, ormai, nel Pd del Trentino si discute, senza prendere decisioni, di un rapporto autonomo da Roma. Un tema superato?

«No, ma prima dobbiamo decidere che rapporto vogliamo avere con la nostra comunità. Noi crediamo a un partito che parte da Trento perché qui sono le nostre radici, qui vive la nostra gente, in un contesto istituzionale diverso dalle altre regioni. Non possiamo essere un franchising del Pd nazionale. Al contrario, saper rappresentare il nostro territorio significa sostenere il Pd nazionale. L’incontro che si è tenuto con Gilmozzi a Roma pone degli interrogativi. Anch’io ero stata invitata, ma non sono andata».

Al netto dei singoli episodi, l’inquietudine che caratterizza la legislatura è in buona parte riconducibile al fatto che il primo partito non esprime il presidente. Come uscirne?

«Il tema del 2018 sembra molto importante, anche Olivi ne ha parlato al Marinaio. Io mi concentrerei sul 2016 e il 2017, per radicare il Pd nel tessuto sociale, economico, culturale del Trentino e per rinnovare il patto di coalizione. Fatto questo, sarà naturale, nel 2018, tradurre un legame profondo con il territorio in una candidatura».

Un altro nodo mai sciolto è come rapportarsi con chi è rimasto nell’Upt con lo sguardo rivolto al Pd.

«Credo sia uno dei temi del congresso. Il Pd può allargare la sua rappresentanza al mondo dell’Upt, ma anche a quello del Psi, che vanta una storia importante in Trentino. Può farlo se smette di parlare solo al proprio interno. Non si tratta di fagocitare nessuno, ma di aprirci a chi condivide valori comuni».

Parlate spesso di radicamento, ma nelle valli non siete radicati come i vostri alleati. Le primarie le avete perse anche lì.

«Nella mia tesi parlo di un partito utile al Trentino. Ecco, un partito che non sa rappresentare le valli non è utile al Trentino. Ogni nostro iscritto può rappresentare, in una comunità, un referente importante anche su questioni legate alla quotidianità delle persone come tenere i bambini dove non ci sono asili».

E nelle città come Rovereto e Trento, dove i voti li avete, perché poi andate in difficoltà?

«Io voglio guardare avanti. Ciò di cui abbiamo bisogno è riconoscerci in un progetto condiviso. Dobbiamo convincere le persone che la politica è bella perché ognuno può portare il suo contributo».

Che giudizio dà dell’accordo su A22?

«Il Pd deve volare alto. A22 non è una poltrona da occupare, o addirittura da dividere, è il luogo dove si incide sul futuro della mobilità in Trentino. Olivieri è un dirigente con una lunghissima storia, io credo che il Pd avrebbe potuto dare spazio e voce anche ad altri dirigenti. Io avrei potuto indicare altri professionisti. Penso a quando Dellai e Pacher prendevano delle decisioni che non erano “a ciascuno il suo pezzettino”».

Voi vi presentate come i giovani, eppure non tutti i vostri supporter sono di primo pelo. C’è chi vi dipinge come i «bersaniani» trentini.

«Noi ci definiamo “generazione Pd” non per questioni anagrafiche, ma perché siamo nativi democratici, nel senso che ci sentiamo del Pd, non ex Pci, Dc, Margherita, zeniani, oliviani e via dicendo. Fatico a pensarmi bersaniana. Se Manica e Dorigatti ci sostengono, a me fa piacere. Con noi, però, c’è anche Plotegher, che non ha esattamente la stessa storia».