Riforma costituzionale che serve all'Italia

Piero Calamandrei, nel Natale del 1948, introducendo il primo commento analitico sulla Costituzione a cura di Baschieri, Bianchi D'Espinosa e Giannattasio, osservava che il senso giuridico del giudice dovrà passare attraverso una necessaria fase preliminare, affidata a quella che sarà d'ora innanzi la sua virtù più vigile, cioè alla sua sensibilità costituzionale.
Avv. Paolo Mirandola, "L'Adige", 24 marzo 2016

L'ammonimento del grande giurista è rimasto per lunghi anni inascoltato e soltanto nel luglio del 1969 una parte minoritaria, della magistratura italiana (Magistratura Democratica) pubblicava su la rivista Il Ponte un fascicolo monografico dal titolo «La Magistratura in Italia» in cui denunciava senza mezzi termini l'imperdonabile ritardo del sistema giustizia che aveva, fino ad allora, ignorato la Carta Costituzionale, nella convinzione che i principi in essa proclamati avessero contenuto, come si diceva programmatico e non precettivo.
Il rilievo non deve sorprendere se è vero come è vero che, dopo il 1946, molti magistrati che, all'epoca, espressero plauso alle leggi razziali e composero addirittura i Tribunali speciali (quelli, per intenderci, che condannarono Gramsci, Paietta, Foa, Di Vittorio e molti altri) negli anni Cinquanta fecero molta strada raggiungendo negli anni Sessanta-Settanta i gradi più alti della Corte di Cassazione. Furono quegli stessi magistrati che dalla Presidenza dei vari Tribunali ordinarono perentoriamente ai Consigli Dell'Ordine di trasmettere le delibere di radiazione degli avvocati ritenuti di razza ebraica. Ricordo uno su tutti, Gaetano Azzariti, ispiratore delle leggi razziali (1938) e Presidente del Tribunale della razza per tutta la sua durata, che assurse poi alla carica di Presidente della Corte Costituzionale cui fu chiamato da Gronchi nel 1957. Certo non fu soltanto una parte della Magistratura ostile all'applicazione dei principi fondamentali della Costituzione, ma anche il legislatore che si è succeduto nel tempo e che non colse l'urgenza di mettere mano ai quattro codici che, nella gran parte, apparivano inapplicabili alla luce dei nuovi valori.
Tra questi vi era anche il cosiddetto principio del giudice naturale precostituito per legge violato anche in anni recenti dalla Corte Suprema quando, per motivi, cosiddetti di legittimo sospetto, trasferì il processo di Bolzano, contro gli irredentisti sud-tirolesi, a Milano, il processo sulla strage del Vajont da Belluno all'Aquila, il processo sulla strage di Piazza Fontana da Milano a Catanzaro.
E che dire dell'introduzione, assai recente, dell'art. 111, completamente rinnovato, che definisce i principi del giusto processo? Le associazioni forensi, Camera Penale in testa, si batterono, con l'opposizione sistematica di parte della magistratura, per l'inserimento di detto principio nella Carta Costituzionale.
Che dire ancora del cosiddetto armadio della vergogna, contenente più di settecento fascicoli di processi contro i criminali nazi fascisti, pronti per il dibattimento, dimenticato per anni dalle decine di persone che su quei processi avevano lavorato? Che dire, ancora, dell'applicazione sistematica da parte di molte Corti, dei benefici liberatori dell'amnistia Togliatti, anche ai torturatori fascisti e della condanna di decine di partigiani che, per evitare un'ingiusta carcerazione, dovettero espatriare, ingrossando il numero degli uomini ex nella sofferta narrazione di Giuseppe Fiori (Einaudi 1993).
La ragione di queste brevi e sommarie note sulla Costituzione negata si spiega perché, ancora oggi, alcuni settori della magistratura, meritoriamente lontani anni luce da chi, per lungo tempo, negò la rilevanza e la precettività del dettato costituzionale, ma anche autorevoli costituzionalisti e stimati osservatori, contrastano con forte determinazione la proposta di alcune riforme della parte ordinamentale del patto costituzionale, accampando la distruzione dei supremi valori. Soccorre sul punto una lontana lezione di K. Mannheim (1966) il quale affermava essere evidente che solo in un mondo intellettuale in rapida e profonda trasformazione, le idee e i valori, prima considerati inalterabili, hanno potuto essere sottoposti ad una critica totale. L'affermazione è ripresa in un indimenticabile lavoro di un gigante della scienza giuridica (Mauro Cappelletti, Processo ideologie, Il Mulino, 1969) il quale osserva che nelle epoche in cui i supremi valori tornano in discussione, nei periodi di incertezza, di crisi e di angoscia, il giurista non insensibile prova il bisogno di tornare al fondo delle cose. È questo il senso, a mio giudizio, della riforma costituzionale proposta dall'attuale governo, costruita dopo anni di analisi comparate e di dibattiti e che ritorna al fondo delle cose, riprendendo la discussione che si svolse nei lavori preparatori della carta costituzionale, nell'elaborazione della commissione dei '75, prospettando un bicameralismo imperfetto che i timori delle forze politiche allora contrapposte, della linea di demarcazione fra due mondi che andava da Stettino a Trieste, non permisero di realizzare.