Un modello che dal 1946 si evolve

Parigi 5 settembre 1946. Dopo una trattativa lunga e complessa, il Presidente del Consiglio dei Ministri della neonata Repubblica italiana, Alcide Degasperi e il Ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber, sottoscrivono un accordo, con il quale si garantisce alle popolazioni «di lingua tedesca della Provincia di Bolzano e quelle dei vicini Comuni bilingui della Provincia di Trento, una completa uguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana». É l’atto di avvio di quel processo autonomistico che connota la storia e la crescita di questa particolare regione alpina. 
Bruno Dorigatti, "Trentino, 4 settembre 2015

 

Quel Patto rappresenta non solo un delicato compromesso diplomatico ma anche il sigillo a un lungo percorso storico che ha sempre visto queste nostre geografie alpine quale cerniera fra cultura latina e mondo germanico. Non si è sempre trattato di un percorso agevole. Dopo una pacifica e secolare convivenza fra le nostre genti, le spinte dei nazionalismi, in avvio del Novecento, producono lacerazioni profonde rese ancor più acute dal dramma della Grande Guerra.

Quella tragedia ha infatti segnato vita e destino dei nostri popoli, vittime della guerra e di un conseguente spaesamento dovuto da un lato alla scissione di affetti, memorie e appartenenze e, dall’altro, alla devastazione del territorio. Poi, i feroci comportamenti da “occupanti” messi in atto dal fascismo; la cancellazione delle plurali identità delle nostre comunità e delle loro tradizionali autonomie; la repressione della cultura e lingua tedesca, come di quella ladina e delle altre minoranze cimbre e mochene, la vicenda cupa delle “Opzioni”, hanno scavato solchi profondi nelle coscienze; solchi lentamente colmati dalla sperimentazione di un’autonomia sempre più larga, coinvolgente e diffusa.

Grazie a essa si è evitato il rischio di una “balcanizzazione” dei rapporti etnici e di un lungo e sanguinoso scontro. L’autonomia è divenuta via via laboratorio continuo di sperimentazione, innovazione, ritrovato dialogo e modernizzazione del territorio, le sue economie e delle società che lo abitano. Ecco perché in occasione del 5 settembre a Trento come a Bolzano credo sia necessario recuperare un sereno distacco dalla crudezza degli avvenimenti che accaddero un secolo fa, traendo da essi la necessaria indicazione del superamento di antiche contrapposizioni e per la riscoperta di una concordia sociale nuova e inclusiva, senza prevaricare la storia di nessuno.

Sono le ragioni forti, che ci uniscono e fanno delle nostre due Province un significativo modello di convivenza, tolleranza, solidarietà e sviluppo, quelle che vanno oggi ricercate e potenziate, anziché le divisioni manichee, che impoveriscono le possibilità di crescita collettiva. Guardando indietro, ci colpisce oggi il coraggio e l’intelligenza di quanto fin qui fatto in due distinte fasi dell’autonomia. A noi però spetta il compito di proiettare, oggi, questo bagaglio esperienziale verso il traguardo di un terzo Statuto, capace di interpretare i nuovi bisogni e in grado di offrire proposte pratiche anche all’avanzante ridisegno costituzionale dello Stato.

Solo così potremo tenere il passo con la modernità che si evolve e che ci chiama all’assunzione di nuovi e più efficienti doveri, dentro e fuori dai confini locali. Appetibilità per innovativi insediamenti produttivi; centralità delle politiche del lavoro; investimenti costanti su ricerca e innovazione; tutela del territorio; recupero di solidarietà appannate, anche per un’accoglienza ragionata, pianificata e capace di essere palestra formativa per una nuova umanità.

Questa è, a mio avviso, la direzione di un’autonomia nuova, moderna e umana; la stessa lezione che ci giunge da quel Patto del 5 settembre di 69 anni fa.