«Non si crea lavoro riducendo i diritti»

La proposta Renzi non affronta il cuore del problema: è pura propaganda politica. Il problema è la carenza di diritti, non l’eccesso: con che coraggio, davanti a milioni di posti di lavoro andati in fumo negli ultimi anni, si dice che i lavoratori italiani sono troppo tutelati?». Bruno Dorigatti, esponente di punta del Pd Trentino e oggi presidente del consiglio provinciale, riveste i panni di sindacalista Cgil e critica duramente il Jobs Act di Renzi.
C. Bert, "Trentino", 1 ottobre 2014


Dorigatti, il problema è sempre l’articolo 18? La volontà di abrogazione dell’articolo 18 non mi convince, perché parte da un presupposto errato, cioè che le aziende non assumono perché temono di non poter licenziare un dipendente incapace. In realtà il problema è la debolezza del sistema produttivo, una fiscalità che grava molto sul lavoro dipendente e uno scarso collegamento tra imprese e mondo dell’istruzione e della formazione.

Ma il cuore del Jobs Act è il “contratto a tutele crescenti” per favorire le assunzioni: perché non la convince? Renzi propone di rendere più facili i licenziamenti e, nel contempo, di dare un sostegno al reddito a chi resta senza lavoro: il rischio però è che si abbassi il sistema di tutele, senza stanziare poi adeguate risorse per un welfare capace di limitare i costi sociali della precarietà.

Lei teme che i soldi per gli ammortizzatori non ci siano? Flexsecurity con le risorse di oggi significa precarietà, punto e basta. Servono soldi: queste proposte di riforma del diritto devono essere accompagnate da precise indicazioni sul reperimento delle risorse. Chi dice che la mobilità in uscita sarà compensata da un sistema di welfare sul modello scandinavo, dovrebbe dire dove verranno reperite le risorse. Altrimenti ci prendiamo solo in giro: non si imita la Danimarca con i soldi della Grecia.
Queste considerazioni smascherano la bugia di fondo: si chiede di deregolamentare promettendo interventi estensivi sul welfare che non verranno mai attuati. Prima di accodarsi all’ennesimo carro dell’ennesimo vincitore, i parlamentari trentini del Pd dovrebbero fornirci qualche certezza su questo enorme e drammatico punto di domanda.

Ma se riformare il mercato del lavoro producesse qualche assunzione in più, non ne varrebbe la pena? Siamo in recessione, e a questa si accompagna un progressivo aumento della disoccupazione e un raffreddamento dei consumi: questa è la situazione, e non ha nulla a che fare con la possibilità di licenziare i lavoratori senza giusta causa. Il punto è creare nuovi posti di lavoro, cosa che può avvenire solo con una ripresa rapida dell’economia: liberare risorse per i consumi e gli investimenti, questo è quanto deve fare chi governa l’Italia in questo momento. Renzi dice: «La gente è con me, non con i sindacati». Demonizzare il sindacato è un’operazione pericolosissima: chi non lo capisce – e auspica irresponsabilmente il conflitto - non ha la più pallida idea di cosa significhi governarlo, il conflitto sociale. Il Trentino dimostra che solo con la coesione si possono fare riforme nel segno dell’equità e delle opportunità per tutti i lavoratori.

Qualche responsabilità non ce l’hanno anche i sindacati? C’erano i sindacati in parlamento, a fare le leggi che hanno precarizzato il mondo del lavoro e creato il solco tra i lavoratori tutelati e quelli in balia del mercato, o i parlamentari?